Un disco della Urania Records vede l’Ensemble Mark Rothko e il mezzosoprano Albane Carrère eseguire due quartetti per archi e due cicli di Lieder che il compositore viennese scrisse in momenti di grande effervescenza creativa in un’epoca a dir poco irripetibile, quella che coincise con il tramonto della grande epopea mitteleuropea

In quello scorcio temporale, semplicemente affascinante e coinvolgente, che fu la Vienna tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, l’arte musicale visse un momento teorico e creativo a dir poco irripetibile, quello in cui, nel giro di pochissimi decenni, la porta che custodiva la camera della visione conservativa fu progressivamente chiusa per permettere la graduale apertura di un’altra porta, quella che permise l’accesso a una nuova visione del mondo dei suoni, culminata nella deflagrante lezione impartita dalla Seconda scuola di Vienna, grazie ad Arnold Schönberg, Alban Berg e Anton Webern. Ma prima che il rivoluzionario linguaggio seriale prendesse il sopravvento o, quantomeno, segnasse un nuovo cammino da intraprendere per i compositori delle nuove generazioni, Vienna rappresentò un immane crogiolo di idee, spinte, discussioni musicali con le quali i musicisti che vissero quella delicatissima fase di passaggio tra il prima e il dopo furono costretti a confrontarsi con coraggio ed entusiasmo.

Tra coloro che accettarono di cavalcare la tigre dell’innovazione e del progresso musicali ci fu sicuramente un compositore viennese, Karl Weigl, nato nel 1881, il quale aderì al credo di Alexander von Zemlinsky, del quale fu tra l’altro studente privato, e soprattutto di Arnold Schönberg, con i quali, tra il 1904 e il 1905, diede vita al Vereinigung schaffender Tonkünstler, un circolo creato per studiare, sviluppare e diffondere la musica contemporanea, a cominciare da quella cameristica, le cui ultime propaggini prendevano spunto dalle conquiste cromatiche e armoniche di Wagner, ma portando il linguaggio tonale ai limiti della propria filosofia e della propria possibilità compositive.

Karl Weigl con la seconda moglie, l’ex allieva Vally.

Weigl, confrontandosi con il più anziano (di sette anni) Schönberg, con Zemlinsky e, soprattutto, con Robert Fuchs e i suoi insegnamenti in materia compositiva, nel biennio 1905-1906 creò due quartetti per archi, il primo in do minore op. 20 e il secondo, con la presenza della viola d’amore, in mi maggiore, quest’ultimo scritto avendo a mente da una parte il Quartetto n. 1 in re minore op. 7 dello stesso Schönberg e dall’altro il meraviglioso edificio quartettistico di Beethoven. Ora, questo Secondo quartetto, unitamente al Quarto quartetto in re minore, insieme con i Tre Lieder per contralto e quartetto per archi e i Tre Lieder per mezzosoprano e quartetto per archi del compositore viennese, è stato registrato in prima assoluta mondiale dall’Ensemble Mark Rothko, formato da Carlo Lazari e Giada Visentin al violino, Benjamin Bernstein alla viola e viola d’amore, e Marianna Sinagra al violoncello, con il mezzosoprano francese Albane Carrère, in un CD pubblicato dalla Urania Records.

Due degli illustri maestri di Karl Weigl: a sinistra, Alexander von Zemlinsky e, a fianco, Arnold Schönberg.

Come giustamente fa notare lo stesso Benjamin Bernstein nelle note di accompagnamento al CD, questo Secondo quartetto di Weigl, oltre a vantare un originalissimo linguaggio armonico, è intriso da quella dimensione estetica e spirituale data dall’irruzione del celeberrimo Tristan-Akkord, che Wagner inserì all’inizio del Tristan und Isolde, destinato a rivoluzionare moltissime concezioni armoniche della musica del Novecento, al punto che nella Seconda Scuola di Vienna questo capolavoro operistico fu apertamente considerato come il precursore dell’atonalità, in quanto la continua ambiguità tonale e la tensione legata ad essa portava l’intera costruzione armonica verso un principio di dissoluzione, provocando una sistematica tabula rasa di quanto previsto e imposto fino a quel momento dal linguaggio tonale. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che Weigl tra il 1904 e il 1906 (quindi durante il periodo di composizione dei suoi due primi quartetti per archi) divenne accompagnatore musicale di Gustav Mahler al Teatro di corte di Vienna e che il sommo compositore boemo, grandissimo interprete del teatro wagneriano, nel 1903 diresse una leggendaria versione proprio del Tristan und Isolde, esasperando e portando al limite questa tensione scaturita dal particolare impianto armonico dell’opera, versione che fu senz’altro vista e traumaticamente assimilata dal giovane Weigl.

Ma, oltre al Tristan-Akkord citato nell’introduzione lenta del suo Secondo Quartetto per archi, Weigl confeziona questa pagina cameristica sulla base della grande lezione quartettistica beethoveniana, con chiari ed evidenti richiami derivati dal Quartetto n. 1 op. 59, dal n. 13 op. 130, dal n. 14 op. 131, dal n. 15 op. 132 e dalla Große Fugue, richiami che vanno a inquadrarsi in tutte quelle sollecitazioni armoniche ed espressive che, ancora una volta, il compositore viennese aspira dalla densità cromatica del Tristan und Isolde wagneriano.

Per via dell’ardua lettura e dell’impervia esecuzione, il Secondo quartetto per archi resta, all’interno della produzione cameristica di Weigl, un capitolo a sé; dopo di esso, il compositore viennese abbandonò il sentiero di un avanguardismo estremo le cui redini furono poi riprese e ampliate dai risultati rivoluzionari della Seconda Scuola viennese. Al contrario, il suo Quarto quartetto per archi rientra negli argini di un linguaggio pienamente tonale, increspato solo dalla consueta presenza di un’instabilità armonica che si rifà, ancora una volta, alle concezioni wagneriane. Questo Quarto quartetto in re minore, opera postuma in quanto mai pubblicata durante la vita di Weigl, nacque in due momenti distinti, dapprima con l’elaborazione del cosiddetto Requiem für Eva, che venne scritto nel 1923 e considerato dall’autore come brano autonomo e autoreferenziale, ma al quale l’anno successivo furono aggiunti altri tre tempi, trasformando di fatto il Requiem nel terzo tempo della pagina cameristica in questione.

Questo Requiem è uno struggente Adagio in forma A-B-A-B-A in mi bemolle minore, che vanta un Trio centrale in fa diesis minore. Intorno ad esso, Weigl imbastì dapprima, quale primo tempo, un Allegro il cui impianto classico, sul tipico solco beethoveniano, presenta però un costrutto armonico portato ai limiti del linguaggio tonale, in quanto abbondano continui prospetti dissonantici. Il secondo tempo, Allegretto, risente molto della tipologia compositiva mahleriana verso lo Scherzo, con la classica forma ABA, che già anticipa nel suo sviluppo il tema principale del Requiem che segue. Infine, il finale, Allegro appassionato, rappresenta un ritorno al linguaggio del tardo romanticismo, se si tiene conto che la spasmodica tensione incarnata nel Requiem viene spazzata via da un tipico tema gioioso che rimanda a Brahms, mentre il secondo tema enunciato richiama i mondi fatati e bucolici di Dvořák, il quale a sua volta lascia spazio all’episodio centrale esposto dall’assolo di viola basato su un tema popolare. A questo punto, l’intero materiale tematico viene riproposto, fino a condurre il brano a una coda gioiosa e frenetica.

Memore della grande lezione di Schönberg, cultore del genere liederistico e di quello quartettistico, nel 1934 Karl Weigl iniziò a scrivere tre cicli di Lieder originali per voci femminili e quartetto per archi. Il primo ciclo, per soprano, debuttò nella Brahms-Saal con il celebre soprano Elisabeth Schumann e il Quartetto Rosé nel 1937 (ricordo che questo prestigioso Quartetto, per volere del suo fondatore, Arnold Rosé, aveva tenuto a battesimo nella prestigiosa Musikverein viennese nel 1902 una “scandalosa” composizione di un ancora sconosciuto musicista locale, Arnold Schönberg, intitolata Verklärte Nacht… ). Nel 1936, Weigl compose un altro trittico di Lieder, destinati alla voce di contralto, che non furono mai eseguiti durante la vita dell’autore, il quale dopo l’annessione dell’Austria al Reich nazista, dovette pensare seriamente a lasciare il Paese per via delle sue origini ebraiche. La situazione politica austriaca si fece man mano sempre più difficile per il compositore e per la seconda moglie Vally, e la coppia cercò disperatamente gli aiuti burocratici e anche finanziari per emigrare negli Stati Uniti. Alla fine, con la documentazione d’espatrio in ordine e grazie all’aiuto economico di un appassionato di musica americano e alto dirigente dei grandi magazzini Bloomingdale’s, Ira Hirschmann, il 15 settembre 1938 i Weigl iniziarono un rischioso viaggio attraverso la Svizzera e la Francia fino a Southampton, in Inghilterra, dove si imbarcarono sulla nave passeggeri SS Statendam il 1° ottobre per approdare finalmente in America.

Il leggendario Quartetto Rosé in una foto risalente agli anni Venti. Da sinistra, Paul Fischer, Arnold Rosé, Anton Rusitzka e Anton Walter.

Però, prima di lasciare per sempre l’Austria, Weigl, l’anno precedente, riuscì a comporre un ultimo ciclo per mezzosoprano; anch’esso formato da tre brani, fu eseguito per la prima volta a Vienna da Nanni Annibali e da un complesso femminile, il Quartetto Weiss, in quello stesso 1937. Ascoltando questi meravigliosi Lieder, si comprende come il compositore viennese, ormai conscio di quanto sarebbe successo pochi mesi dopo, volle donare un ultimo struggente tributo musicale alla sua terra e a quella cultura mitteleuropea di cui era stato uno degli ultimi grandi artefici. Sul solco dorato e nostalgico de Die Welt von gestern di zweigiana memoria, queste tre pagine affondano le proprie radici nel cuore della tradizione austro-germanica con chiari riferimenti a Franz Schubert, Johannes Brahms e, soprattutto, al sempre presente Gustav Mahler e al suo ciclo Des Knaben Wunderhorn.

La preziosità di questa registrazione non sta solo nella sua testimonianza storica, visto che parliamo di un autore la cui discografia è ancora purtroppo assai lacunosa e che lo vede, quasi sempre, coinvolto in dischi miscellanei, ma anche per via della notevolissima lettura fatta sia dai quattro componenti dell’Ensemble Mark Rothko, sia del mezzosoprano Carrère. La cartina al tornasole di questa interpretazione, da parte del quartetto, è data dall’esecuzione dell’ostico e impervio Quartetto n. 2, una delle pagine cameristiche tecnicamente più difficili di tutta la letteratura quartettistica del Novecento storico. La lucida decisione esecutiva, la capacità di calibrare ottimamente la volumetria timbrica, la capacità di rendere al meglio la delicatissima fase degli attacchi e le scelte agogiche di questo brano, autentico caposaldo sismografico di un’epoca musicale in piena effervescenza ed evoluzione, esaltano compiutamente questa prima incisione mondiale. Anche l’esecuzione del Quarto quartetto, il cui lirismo deve fare i conti con un impianto armonico che è fondamentalmente un campo minato, non tradisce le attese e viene restituito con il giusto eloquio e con un suono capace di mettere in rilievo le asperità tecniche ed espressive.

i componenti dell’Ensemble Mark Rothko.

Capitolo a parte merita il discorso dei due cicli liederistici; personalmente, li considero la punta di diamante di questo disco, poiché i vertici compositivi Weigl li raggiunse proprio con questo genere, unitamente con la sua capacità di trasfigurare il verso poetico in una dimensione sonora (torno a ripetere ancora una volta che il compositore viennese apprese questa lezione da quanto trasmesso teoricamente e creativamente da Schönberg). Il senso lancinante dato dalla nostalgia, da quel senso di Sehnsucht tipico del popolo viennese, fatto di amarezza e di sottile ironia, il rapporto con la morte e con il suo potente e onnipresente alleato allegorico, ossia la notte, sono resi in modo mirabile da Weigl, e i componenti del quartetto sono prodighi di sfumature, di colori anche solo accennati, di timbri che sono pennellate klimtiane, sui quali la voce di Albane Carrère si appoggia per dare pieno sfogo alla dimensione lirica dei versi che colano liquidamente nella straordinaria partitura weigliana (se proprio devo trovare un appunto nella lettura del mezzosoprano è che talvolta, quando la voce raggiunge e staziona sul registro sovracuto, perde leggermente di messa a fuoco e di stabilità nell’emissione).

Il mezzosoprano francese Albane Carrère.

È solo una sfumatura negativa che, però, non sminuisce minimamente l’importanza e la bellezza di questo progetto discografico che rende merito a un musicista che dev’essere ancora scoperto e apprezzato, soprattutto nel nostro Paese.

Il lavoro di presa del suono effettuato da Gabriele Zanetti non tradisce sostanzialmente lo spirito dell’interpretazione artistica. La caratura della dinamica è adeguata in fatto di energia e di necessaria velocità, anche se la trasparenza timbrica non è ai massimi livelli. Il parametro del palcoscenico sonoro ricostruisce i quattro artisti al centro dei diffusori a una debita profondità, con una discreta altezza sonora, mentre l’ampiezza è un po’ più contenuta e ristretta. Di buona fattura l’equilibrio tonale, sufficientemente reattivo nel riproporre i registri dei quattro strumenti ad arco, ben distinti e focalizzati, soprattutto quando messi a confronto con quello della voce del mezzosoprano francese. Il dettaglio rende in modo veritiero la matericità e la tattilità degli strumenti, permettendo un ascolto che non è mai faticoso con i suoi oltre settanta minuti di durata e tenendo conto di un costrutto armonico che, per via della massiccia presenza dissonantica, penalizza inevitabilmente la prospettiva melodica.

Andrea Bedetti

Giudizio artistico 5/5

★★★★★

Giudizio tecnico 4/5

★★★★

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