Affascinato dalla figura del grande scrittore piemontese, il compositore e saxofonista Gianni Virone, con la collaborazione di Gianpiero Brignone, direttore della Fondazione Fossano Musica, e dello scrittore Pierfrancesco Di Noia, ha creato una jazz opera incentrata sull’autore de La luna è i falò, che è stata anche registrata dalla Da Vinci Jazz
Amo il Piemonte, le sue terre, la sua gente, persone che badano al sodo e sono di poche parole, quelle che ritengono indispensabili senza lasciarsi andare a futili chiacchiere. Amo la loro cucina e, soprattutto, i loro meravigliosi vini. E, in modo particolare, amo le Langhe e lo scrittore che, come nessun altro, ha saputo descriverle e cantarle con i suoi romanzi e con le sue poesie, Cesare Pavese. Il mio amore per Pavese è nato al liceo e da quel momento, ormai è trascorso mezzo secolo, non l’ho più lasciato da parte, rileggendo più volte la sua opera, maturandola in modo diverso attraverso la mia maturità di uomo e di intellettuale, confrontandomi con lui, come se fosse stato un fratello maggiore virtuale, ma sempre presente, passeggiando in quelle vie torinesi che gli erano di casa, mangiando anche nella sua trattoria preferita, Le tre galline, nel cuore di Porta Palazzo, per ripercorrere gli stessi profumi e gli stessi gusti da lui provati.
Quindi, quando ho saputo che un musicista jazz, Gianni Virone, nato a Chieri, cittadina del torinese, sassofonista e compositore, aveva dato vita a un progetto discografico con la Da Vinci Jazz dedicato alle Langhe e a Cesare Pavese, ho voluto ascoltare il suo disco e adesso, come è giusto che sia, ne voglio scrivere, anche perché in nome di quelle terre e di quello scrittore, che ad appena 41 anni decise di porre fine alla sua vita, ho sentito che il filo che mi univa a entrambi mi spingeva a rappresentare le immagini e le parole con il suono creato per ricordarle e per narrarle.
Il progetto discografico in questione, pubblicato qualche mese fa, si intitola Le langhe non si perdono, un verso presente nella poesia di Pavese I mari del nord, e la sua nascita, come spiega lo stesso Virone nelle note di accompagnamento, è coincisa con la pandemia causata dal COVID, tra il 2020 e il 2021. Durante quel periodo, il sassofonista piemontese ricevette una proposta da Gianpiero Brignone, direttore della Fondazione Fossano Musica, una delle più importanti istituzioni piemontesi dedicate alla diffusione e all’insegnamento musicali, quella di pensare alle musiche per uno spettacolo dedicato alla figura di Cesare Pavese, voluto dalla Fondazione Pavese di Santo Stefano Belbo. Riprese in mano le opere dello scrittore, il musicista di Chieri, affascinato dalla personalità pavesiana, ha cominciato a scrivere dei brani, basandosi soprattutto su una peculiare tecnica armonica di Olivier Messiaen, ossia i modi a trasposizione limitata, e utilizzando alcuni testi poetici di Pavese. In breve, il progetto si è ampliato, coinvolgendo anche lo scrittore Pierfrancesco Di Noia, grande esperto di Cesare Pavese e cultore del clarinetto, il quale ha scritto i testi di questo spettacolo immaginando la figura di Cesare Pavese sul palcoscenico (interpretato dall’attore Pinuccio Bellone) che racconta sé stesso e il suo rapporto con gli altri e la vita, circondato da un paesaggio sonoro fatto del jazz della sua epoca, ossia quello degli anni Trenta e Quaranta.
Quindi, a livello di ascolto, non si deve dimenticare che questo disco rappresenta necessariamente il riversamento musicale di uno spettacolo, una vera e propria jazz opera, in cui l’elemento visivo e scenico, se non indispensabile, rappresenta un quid fondamentale. Spettacolo e, quindi, disco che presentano i due volti esistenziali della vita e dell’opera pavesiane, quella incarnata, appunto, dalle Langhe, cuore della tradizione contadina alla quale lo scrittore ha sempre pensato e immaginato con emozione e nostalgia, e quella rappresentata da Torino, con i suoi ritmi frenetici, che Pavese immaginava come una piccola America, capace di generare quel fenomeno sonoro spontaneo, fatto di ritmo e di ribellione, di swing e di catene spezzate, un fenomeno chiamato jazz e al quale dedicò anche una poesia, intitolata A solo di saxofono.
Come spiega ancora Virone, la band che si esibisce dal vivo, accompagnando lo spettacolo sulla figura di Cesare Pavese, è formata da nove elementi, che rappresenta l’attuale corpo docenti della sezione jazz presso la Fondazione Fossano Musica, anche se in sede di registrazione del CD, tutti i brani, otto per la precisione, sono stati riorchestrati per essere eseguiti da una formazione più ampia.
La prima osservazione da fare, dopo che ho ascoltato questo disco, è che a mio avviso questi brani hanno un loro perché e un risultato più plausibile nel momento stesso che vengono eseguiti in sede di concerto e di spettacolo. Questo perché si avverte, di fondo, che la loro funzione, e il coinvolgimento che ne può derivare, è squisitamente legata a una narrazione scenica, con l’elemento e la struttura sonori che fanno da accompagnamento, da corollario fomentatore di sensazioni, di emozioni, di immagini e, inevitabilmente, di ricordi che scaturiscono dall’impatto esistenziale vissuto da Pavese nella sua terra contadina e tra le piazze e le vie torinesi. D’altronde, nello stesso disco, la funzione musicale o, per meglio dire, strumentale, diviene collante con l’apporto dato dal canto di Sonia Schiavone e dalla voce narrante dello stesso Pinuccio Bellone, con la conseguente impressione che qui la musica non è certo il cuore nevralgico del tutto, un primus inter pares, ma resta, per così dire, connotato marginale rispetto alla forza, all’energia sprigionate dal “racconto” fatto dal canto e dalla narrazione.
Quanto alla musica in sé, rappresenta il frutto di un lavoro che affonda le sue radici sul tipo di jazz composto e suonato all’epoca di Pavese, nella Torino degli anni Trenta, quando gli appassionati di questo genere musicale, stimolati dalla passione del collezionista Alfredo Antonino, si riunivano quasi clandestinamente al Caffè Crimea per ascoltare registrazioni a 78 giri e musica dal vivo. Ergo, un jazz facilmente orecchiabile, in cui la sezione dei fiati e degli ottoni la faceva da padrone, sulla scia di quello proposto dalle orchestre di Louis Armstrong e Duke Ellington, insomma, quello stesso tipo di jazz che sarebbe piaciuto così tanto, venti anni dopo, a un Fred Buscaglione.
Nulla da eccepire sulla resa sonora da parte di tutti gli artisti chiamati al progetto, a cominciare da Gianni Virone che si cimenta con suoi vari sax, punta di diamante della nutrita sezione dei fiati, che annovera anche Claudio Chiara, sax e flauto, Cristiano Tibaldi, tromba principale, Cesare Mecca e Fulvio Chiara alla tromba, Aldo Caramellino e Humberto Amesquita al trombone e Gianfranco Marchesi al trombone basso, oltre alla valida presenza di Fabio Gorlier al pianoforte, Alessandro Chiappetta alla chitarra elettrica, di Francesco Bertone al basso e di Ruben Bellavia alla batteria.
Alessandro Taricco e Gianni Virone hanno curato una più che buona presa del suono, grazie a una dinamica corposa, molto energica, ma anche disciplinata e veloce (la sezione dei fiati, sotto questo aspetto, è stata un ottimo banco di prova). Anche il palcoscenico sonoro, dotato di una più che discreta profondità, con la quale tutti gli artisti coinvolti sono stati efficacemente ricostruiti, è da apprezzare, in quanto è in grado di riproporre anche una dimensione scenica, in cui la spazialità dell’evento prende forma davanti all’ascoltatore. Nulla da eccepire sul risultato offerto dall’equilibrio tonale e dal dettaglio.
- A.VV. – Le langhe non si perdono – Jazz Opera inspired by Cesare Pavese
- Gianni Virone & FFM Jazz Faculty
- CD Da Vinci Jazz C00751
Giudizio artistico 3,5/5
Giudizio tecnico 4/5
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