Al netto di ogni commento, critica o apprezzamento, il trombettista dell’Oklahoma rimane una figura iconica, catalizzatrice di un’epoca fortemente competitiva sul piano musicale, segnata da una sottile linea di confine – non sempre valicabile – fra bianco e nero.
Vivere d’arte e d’amore è stata la linea guida del trombettista per tutta la sua esistenza. Egli l’ha fatto a giri aumentati, fra il lecito e l’illecito, come un cuore che batte veloce e non si risparmia, incurante delle conseguenze: l’amore per l’arte e l’arte per vivere (o sopravvivere). Chet è stato un divo senza ottenere mai i vantaggi economici e materiali di una star. Perennemente sull’orlo del precipizio, Baker non è mai diventato ricco. Vivere d’arte e d’amore è come vivere d’aria e di risate. Così sosteneva un clown, il quale era convinto che nelle risate della gente, soprattutto dei bambini, ci fosse la massima gratificazione per un artista, così nell’aria, intesa come atmosfera circostante, ciascuno potesse trovare la propria dimensione.
Per uno strano paradosso, per sua stessa ammissione, Chet era l’opposto di un clown: spavaldo, avventuriero e desideroso di vivere in privato, tormentato e malinconico sulla scena. Gli opposti spesso si toccano, o finiscono per rappresentare solo il dritto e il rovescio della stessa medaglia, tanto che Baker arrivò a dire: «se suono divento triste e languido, ma se non suono o non canto mi deprimo». Soltanto colui che s’immola sull’altare della propria arte può arrivare a tanto. Dunque l’amore, le donne, il sesso veloce e le fughe verso i paradisi artificiali diventavano, nella routine quotidiana di Baker, un tampone, una camera di decompressione o, per paradosso, una dilatazione dello spazio e del tempo rispetto alle squallide esistenze dei comuni mortali. Del resto, un artista, con tutto il rispetto, sperpera tempo e danari e non ragiona come un commercialista, un broker o un immobiliarista pensando ai guadagni, agli introiti, agli investimenti e alle percentuali. Le uniche plus valenze nella vita di Chet Baker sono state quelle emotive.
Scrive il Verrina: «Al netto di ogni commento, critica o apprezzamento, il trombettista dell’Oklahoma rimane una figura iconica, catalizzatrice di un’epoca fortemente competitiva sul piano musicale, segnata da una sottile linea di confine – non sempre valicabile – fra bianco e nero; testimone di un mondo effimero e mutevole, dominato da loschi figuri notturni, spacciatori di emozioni a basso costo, illusionisti e meretrici; un sottosuolo colmo di egoismi e di incertezze, nonché epitome delle infinite contraddizioni presenti nell’universo jazzistico, forse un unicum nell’ambito della musica popolare del Novecento. Più semplicemente si potrebbe sostenere che Chet Baker sia nato sotto il segno del jazz durante un allineamento astrale favorevole».
A prescindere della carica mitopoietica del personaggio e del suo impatto mediatico, musicalmente parlando la figura di Baker è stata marginale, o se preferite collaterale, rispetto all’evoluzione della musica jazz del dopoguerra: strumentista scaltro ma modesto, almeno nella prima parte della sua carriera e compositore occasionale. Chet era avulso da tutto quel tumulto e fermento creativo o politico che, tra gli anni ’50 e ’60, alimentava l’universo jazzistico: per contro giocava di rimessa sfruttando le intuizioni dei musicisti locali con cui entrava in contatto, tra una disavventura giudiziaria o tra una scorribanda sentimentale e l’altra. Ernst Berendt scrive che «Chet Baker è stato un musicista fondamentalmente minore, molto apprezzato dai bianchi europei con il complesso del retaggio accademico. Il jazz è stato un’arte molto romantica, ma non estenuante e retoricamente fine a se stessa come i fragili soliloqui di Baker».
Chet Baker, per molti aspetti, essendo stato più vicino al melodramma pucciniano che non al tormento degli ex-schiavi neri che si ritrovavano in Congo Square nei pressi di New Orleans, ha scritto una storia a sé stante a latere di quella del jazz moderno. Distinguendo sul piano musicologico alcuni termini come musicista, compositore, interprete, strumentista, esecutore, arrangiatore, di Baker possiamo dire che sia stato uno dei più grandi intrattenitori musicali del Novecento, laddove musica coincide con loisir, nonché uno dei massimi interpreti della cultura afro-americana riadattata ad un entertainment di lusso, apprezzato soprattutto dai bianchi e dagli Europei.
CHET BAKER, VISSI D’ARTE, VISSI D’AMORE, Kriterius Edizioni, 2024
Disponibile su Amazon: https://www.amazon.it/dp/B0DQV7KT8T
Iscriviti alla nostra newsletter per rimanere sempre aggiornato.