Time Warp» è un frutto maturo elaborato dalle ghiandole creative di un quartetto all-star, un format non molto praticato da Corea nell’arco della sua discografia, tanto che questo incontro a quattro resta un unicum legato al solo disco in oggetto.
Nella sua lunga carriera, Corea tornerà spesso a piangere sulle spoglie (im)mortali del post-bob. «Time Warp» è una sorta di concept album dotato di una struttura sequenziale e consequenziale, dove i brani sono legati l’uno all’altro da un fil rouge ideale che porta avanti uno sviluppo tematico concettualmente coerente. L’ordito armonico intessuto da Corea sembra fatto apposta per agevolare gli assoli dei singoli membri del line-up. Lo spettro sonoro mostra un’onda fatta di discese e risalite, quai a voler sottolineare i cambi di mood: si va dal rilassato e dal meditativo al ritmo serrato ed incalzante. Dopo «One World Over (Prologue)» della durata di cinquantuno secondi, segnata da un’ammaliante interpretazione di Berg al sax soprano, la title track, «Time Warp» diviene un vero case-study a livello di interazione e di improvvisazione, simile ad una jam ricca di soulfulness e di ribollente energia sotterranea che esplora i concetti di tempo, spazio e movimento; una combinazione sonora finalizzata a creare un habitat accattivante e contagioso.
Il portato ritmico-armonico di Corea diventa il nucleo gravitazionale dell’intera costruzione imperniata su accordi dinamici ed inserti che forniscono le linee guida al groove. Il walking di basso, elargito con generosità da Patitucci, risulta vivace, melodico e particolarmente fruibile, tanto da condurre gli ascoltatori nel tempo e nello spazio attraverso un orbitante giro di giostra. La batteria garantisce un comping mercuriale, enfatizzando i ritmi sincopati e le strette transizioni tra le idee. Dal canto suo, Bob Berg esplora i confini del ritmo, della melodia e dell’armonia, dimenandosi fra l’eterea ed impalpabile religiosità coltraniana ed il materialismo storico di Michael Brecker. Se si considerano la copertina ed il booklet del disco di chiara ispirazione fumettistico-cinematografica, si potrebbe pensare perfino ad una specie di Star Trek o di Guerre Stellari, in cui le spade laser ed i raggi fotonici siano stati trasformanti in strumenti musicali all’interno di un progetto post-bop.
«Time Warp» è un frutto maturo elaborato dalle ghiandole creative di un quartetto all-star, un format non molto praticato da Corea nell’arco della sua discografia, tanto che questo incontro a quattro resta un unicum legato al solo disco in oggetto. Patitucci, rispetto alle sue precedenti performance all’interno dell’Akoustic Band ed dell’Elektric Band, risulta più concreto e diretto, più scarno e lontano da talune ridondanze virtuosistiche, evidenziandosi con un bassista oramai maturo, calibrato e concreto nel sodalizio ritmico con il kit percussivo di Gary Novak. Berg, al netto di ogni riferimento ad altri moduli espressivi, appare fedele al suo stile virile e testosteronico, caratterizzato a tratti da un fraseggio traversale e spigoloso. Corea è un dominus perfetto, latore di un pianismo dal brand inequivocabile, sempre in bilico fra melodismo, sperimentazione, tradizione afro-americana e neo-classicismo.
In «The Wish» il quartetto si esprime a livelli di accademia del jazz moderno, in un gioco di luci accecanti e ombre avvolgenti, nelle quali il sax di Berg s’inabissa muovendosi in varie direzione e trovando sistematicamente la compliance con l’intera retroguardia ritmica, mentre Corea aggiunge, qua e là, preziosi intarsi armonici senza tentare mai di assumere il comando della pattuglia. Ad abundantiam, Berg diventa il protagonista assoluto in «Tenor Cadenza» con un assolo da enciclopedia. Il cambio di passo conduce a «Terrain», un altro gioiello di sintassi post-bop scandito con un modus agendi che rende ciascuno dei quattro sodali indispensabili all’impresa. «Arndok’s Grave» è un classico componimento in puro stile Chick Corea, onirico, sospeso e fiabesco, in cui il sax di Berg vaga in maniera flessuosa come un serpente. Lungo il decorso della trama narrativa è possibile percepire il tintinnio ed sibilo del vento, mentre ninfe d’acqua composte da milioni di gocce di pioggia navigano su un fiume color smeraldo a bordo di una canoa fatta di foglie.
Il passaggio a «Bass Intro For Discovery» diventa una luccicante vetrina per Patitucci, che suona una linea melodica ad arco prima di passare ad un più tradizionale slap, fino a giungere a «Discovery», un’altra apoteosi collettiva che conferma la capacità compositiva del pianista italo-americano ed il suo saper scegliere organicamente gli uomini più adatti alle sue finalità. In poco più di nove minuti, incasellati in una tela melodico-armonica a maglie larghe, il quartetto condensa un piccolo Bignami di idee ad imperitura memoria, un paradigma ispirativo per tutti gli iscritti alla scuola dell’obbligo del post-bop. «Piano Intro To New Life» è una sopraffina perifrasi per pianoforte solo che Corea esegue da par suo, spalancando le porte a «New Life» che, con i suoi undici minuti, si sostanzia come il componimento più lungo dell’album, in cui il sodalizio a quattro diventa ancora più determinante e dove le motivazioni dei singoli conducono sempre ad un afflato collettivo e sinergico. Bob Berg svolazza come un aquilone sospinto da un vento di maestrale, reggendo il filo della narrazione fra picchiate ed arrampicate, Corea fornisce gli ornamenti giusti, mentre dalle retrovie, Patitucci e Novak lubrificano gli ingranaggi ritmici rendendoli costantemente scorrevoli. «One World Over (Prologue)» è una breve e seducente introduzione, quasi un’endovena riabilitante, con una magnifica interpretazione di Berg al sax soprano.
Non fu del tutto scontato che Chick Corea e Bob Berg potessero suonare insieme a metà dei Novanta, anni di smarrimento per jazz moderno, con i protagonisti della sua storia post-bellica invecchiati, talvolta smarriti e non sempre facilmente collocabili dall’industria discografica su un mercato alla ricerca di frivolezze, agenti chimici contaminanti o di liquami urticanti spacciati per musica simil-jazz. Per questo, e per tutti i motivi testé elencati, «Time Warp» si colloca di diritto tra i passaggi più importanti dell’intero catalogo chickcoreano.
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