Nell’anno che celebra il centenario della morte del grande operista, un recentissimo CD della Urania Records presenta, grazie all’esecuzione del Quartetto dell’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano, l’integrale delle sue opere per quartetto d’archi. Brani che furono composti in massima parte per scopi puramente didattici durante il periodo di studi nel Conservatorio milanese, ma che annovera anche un piccolo gioiello stilistico ed espressivo come l’elegia Crisantemi

Il centenario che ricorda la scomparsa di Giacomo Puccini, avvenuta a Bruxelles il 29 novembre 1924, comincia a dare i suoi frutti in ambito discografico, andando ad esplorare generi e composizioni che, fortunatamente, non riguardano esclusivamente il battutissimo repertorio operistico. Generi e composizioni, a dire il vero, che non abbondano, né a livello di quantità, né di sostanziale qualità, se si tiene conto che il compositore lucchese, dopo i mezzi fiaschi de Le Villi e di Edgar e una volta ottenuto il clamoroso successo con Manon Lescaut, comprese che la sua geniale creatività si attivava quando doveva scrivere per il teatro musicale, costringendolo, per così dire, a non abbandonare mai più il seminato della lirica, al di là di quella pagina sinfonica, trasudante retorica da tutti i pori, che è l’Inno a Roma.

Fotografia di Giacomo Puccini risalente agli anni milanesi.

Ad ogni modo, ben vengano progetti discografici, come quello appena sfornato dalla Urania Records, che ha visto il Quartetto dell’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano, composto dai violinisti Paolo Morena e Fabio Ravasi, dalla violista Cynthia Liao e dal violoncellista Gabriele Zanetti, presentare il CD The Complete Works for String Quartet del maestro lucchese. Com’è facilmente arguibile, Puccini si dedicò a questo genere cameristico durante i duri e faticosi anni di apprendistato, più precisamente allorquando lasciò le terre lucchesi per approdare a Milano, per essere ammesso al Conservatorio della città meneghina (frequentato dalla fine del 1880 fino al 1883) e, parallelamente, per prendere anche lezioni private. Fondamentali, in tal senso, furono gli insegnamenti che il lucchese ebbe da due musicisti e didatti di primissimo ordine, Antonio Bazzini e Amilcare Ponchielli, entrambi docenti di composizione. Tanto per far capire la vita che il futuro, sommo compositore faceva a Milano, sarà utile ricordare quanto scrisse alla madre nel corso di due lettere.

I maestri di Puccini al Conservatorio di Milano. A sinistra, Antonio Bazzini e, a fianco, Amilcare Ponchielli.

Nella prima, risalente al 10 novembre 1880, Puccini scrisse: «L’esame come già le ho scritto è andato bene e giusto stamattina sono stato al Conservatorio e ho veduto che sono stato il migliore di tutti, modestia a parte; Però ci è sempre un pelo: mi ha detto Bazzini che vi è la questione dell’età ma ha detto il direttore Ronchetti che saranno scelti i migliori esaminati allora spero bene tanto più che mi ha detto il direttore che sull’età ci passeranno sopra visto che io ho compiuti gli studi». In quella datata l9 dicembre dello stesso anno, entrò maggiormente nei dettagli, descrivendo le sue giornate, all’insegna dello studio e dei rari svaghi: «La mattina mi alzo alle otto e mezza, quando ci ho lezione, vado. In caso diverso studio un po’ di pianoforte. Mi basta poco, ma bisogna che lo studi. Ora compro un Metodo ottimo di Angeleri, che è uno di quei Metodi dove ognuno può imparare da sé benissimo. Seguito: alle dieci e 1/2 faccio colazione, poi esco. All’una vado a casa e studio per Bazzini un paio d’ore; poi dalle tre alle cinque via accapo al pianoforte, un po’ di lettura di musica classica. Anzi, mi vorrei abbuonare, ma ci sono pochi bigei. Per ora passo il Mefistofele di Boito, che me l’ha imprestato un mio amico, certo Favara di Palermo. Alle cinque vado al pasto frugale (ma molto di quel frugale!) e mangio minestrone alla milanese, che per dir la verità è assai buono. Ne mangio tre scodelle, poi qualche altro empiastro; un pezzetto di cacio coi bei e un mezzo litro di vino. Dopo accendo un sigaro e me ne vado in Galleria a fare una passeggiata in su e in giù, secondo il solito. Sto lì fino alle nove e torno a casa spiedato morto. Arrivato a casa faccio un po’ di contrappunto, non suono perché la notte non si può suonare. Dopo infilo il letto e leggo sette o otto pagine d’un romanzo. Ecco la mia vita!… ».

Nonostante fosse talvolta un allievo indisciplinato al Conservatorio (per le continue assenze alle lezioni, il giovane Puccini si beccò anche una multa dal Consiglio Accademico nel gennaio 1881), gli anni a Milano gli permisero di esplorare un ambiente musicale vivace e innovativo, entrando in contatto con compositori, editori musicali, mecenati e avendo inoltre la possibilità di conoscere il repertorio che passava sulle scene dei teatri milanesi. Ed è proprio durante questi anni meneghini, conclusi nel 1883 con il conseguimento del diploma, che Puccini si consacrò esclusivamente alla pratica compositiva strumentale, pratica che, come si può ascoltare dai brani che fanno parte del presente disco (escluso il brano Crisantemi, che risale invece al 1890) ebbe un fine squisitamente didattico.

Attenzione, però, per il fatto che tali composizioni siano servite a far maturare il Puccini più fecondo e geniale, non significa che debbano essere prese sottogamba o incautamente snobbate. Come ho già avuto modo di spiegare in altra sede, se si vuole comprendere in profondità il Puccini che noi tutti conosciamo e ammiriamo, si deve necessariamente partire dal Puccini in fasce, quello che ho definito l’Ur-Puccini, ossia il Puccini delle origini, quello che già in queste primissime composizioni mostra uno sprazzo geniale che confluirà poi negli immortali capolavori lirici, fucina di un linguaggio musicale a dir poco rivoluzionario, destinato a mutare volto e sostanza al teatro sonoro del Novecento (non per nulla, come poi evidenziato, alcuni temi presenti in questi lavori quartettistici confluiranno in alcune opere liriche, Manon Lescaut su tutte).

Nella tracklist del CD Urania Records sono comprese tre Fughe, di cui la terza si eleva dalla superficie del tutto scolastica, ma essenziale per lo studio e lo sviluppo della pratica contrappuntistica. Come spiega nelle note di accompagnamento il compianto Ettore Napoli, questo trittico è stato pubblicato per la prima volta nel 1988 da Pietro Spada sulla base di manoscritti giacenti presso l’Istituto Musicale Boccherini di Lucca, fonte assolutamente irrinunciabile e basilare di tutti i primi lavori pucciniani. Sulla stessa linea squisitamente didattica si presentano poi i tre Minuetti, sui quali primeggia per inventiva e sagacità di scrittura il terzo, il cui ascolto permette di apprezzare, però, la fase già germogliante della struttura melodica in Puccini, così fondamentale una volta in cui verrà poi implementata nella solida acquisizione armonica.

Prima pagina del manoscritto autografo della Fuga a 4 voci di Giacomo Puccini, risalente tra la fine del 1881 e il giugno del 1882

Se oggi è possibile eseguire e registrare il Quartetto in re maggiore, lo si deve al musicologo tedesco Dieter Schickling, scomparso lo scorso anno, uno dei maggiori studiosi dell’opera pucciniana, il quale nel corso del tempo è riuscito a ricostruire la partitura del lavoro in questione. Questo perché solo il primo tempo ci è giunto integro e scritto da Puccini stesso non in partitura, ma solo nelle quattro parti; gli altri tre tempi sono stati ritrovati nel corso dei decenni, seguendo le tracce di quello che l’autore aveva battezzato Quartetto in re. La prima notizia relativa a questo quartetto proviene da una lettera del musicista alla madre datata 11 marzo 1881: «Stasera ci ho da studiare per domani che ho la lezione di Bazzini e devo fare un quartetto d’archi», come riportato dal breve saggio che Schickling ha dedicato alle composizioni per quartetto d’archi di Giacomo Puccini. Da ciò si deve desumere che questo lavoro cameristico ebbe un’origine didattica, come si può evincere fin da un primo ascolto, tenuto conto della sua verve puramente accademica, anche se non mancano brillanti soluzioni melodiche e felici applicazioni armoniche.

Prima pagina del manoscritto autografo con la parte di primo violino del Quartetto in re di Giacomo Puccini.

Dell’Allegro iniziale, come si è già spiegato, sono pervenute tutte le parti complete, delle quali solo quella del primo violino è vergata di proprio pugno da parte di Puccini; le altre invece devono essere ascritte al fratello minore Michele, anche lui musicista, o a copisti rimasti sconosciuti. Del secondo tempo, un breve ma denso Adagio, all’Istituto Boccherini vi è una partitura in notazione pianistica a quattro parti, distribuita a sua volta su due pentagrammi sovrapposti, quasi certamente ad opera di un copista, ad eccezione delle indicazioni espressive e strumentali che possono essere state vergate dallo stesso Puccini. Proprio per questo motivo, qui il lavoro di ricostruzione è stato assai più complesso, anche per il fatto che manca del tutto la parte centrale. I manoscritti autografi del terzo tempo portano il titolo di “Scherzo”, con una data, quella del 1882; il problema è che non sappiamo se tale materiale fosse stato destinato dall’autore al quartetto in questione oppure a una composizione orchestrale rimasta allo stato larvale e mai ultimata. È questa la sezione più lacunosa di tutto il Quartetto, con la parte centrale che è allo stato di abbozzo con l’indicazione “Trio in Fa” e disposta su tre-quattro pentagrammi. Infine, perfino il tempo finale, anch’esso uno Scherzo (!), ha posto problemi di assemblaggio nel corpus del lavoro cameristico, anche se la sua definizione sembra riguardare il carattere espressivo piuttosto che la struttura.

Un discorso a parte, come si è già accennato sopra, vale per la composizione dell’elegia Crisantemi, scritta quando il compositore lucchese aveva già dato alla luce sia Le Villi, sia Edgar, e creata in una sola notte del 1890 da un Puccini particolarmente colpito dall’improvvisa morte di Amedeo di Savoia, Duca d’Aosta, il secondogenito di Vittorio Emanuele II, scomparso per una polmonite fulminante a soli quarantacinque anni. Questo brano venne eseguito pochi giorni dopo la morte del duca al Conservatorio di Milano e riscosse un enorme successo. I due temi che compongono l’elegia possiedono tutti gli elementi di lirismo espressivo che resero poi celebre in tutto il mondo il compositore toscano; Puccini li riproporrà poi nell’ultimo atto della sua terza opera lirica, Manon Lescaut, composta due anni più tardi, per esprimere l’abbandono di Manon e Des Grieux al loro destino, ormai soli e perduti nella desolata terra della Louisiana.

Foto del Duca Amedeo d’Aosta, secondogenito di Vittorio Emanuele II, al quale Puccini dedicò l’Elegia Crisantemi.

La lettura da parte dei quattro interpreti dell’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano è naturalmente del tutto convincente e appropriata. Il “naturalmente” scaturisce da lavori la cui esecuzione non risulta essere perigliosa da un punto di vista tecnico e, in questi casi, tali lacune o assenze devono essere rimarginate da un necessario ricorso all’espressività. E in ciò Paolo Morena, Fabio Ravasi, Cynthia Liao e Gabriele Zanetti non mancano di evidenziare di volta in volta quella patina di espressione lirica che, sia in chiave didattica o accademica che dir si voglia, sia in quella che riguarda lavori più evoluti, come nel caso dell’elegia Crisantemi e perfino in quell’artificio ricostruito rappresentato dal Quartetto in re, appare ineludibile per fornire la debita sostanza a brani che devono essere ascoltati in un processo di prospettiva futura, ossia andando a posizionarli, per essere considerati artisticamente validi e autoreferenziali, in una dimensione tipica di work in progress, di ponte di collegamento rispetto ai risultati più felici e immortali della poetica musicale pucciniana.

La presa del suono, effettuata da Roberto Brenna, è complessivamente positiva. La dinamica è sufficientemente veloce ed energica in modo da poter ricostruire, a una discreta profondità, i quattro strumenti dislocati nello spazio sonoro, permettendo di conseguenza anche la presenza di una piacevole ampiezza ed altezza del suono. Anche il parametro dell’equilibrio tonale non lascia a desiderare, con una compiuta differenziazione dei registri dei quattro strumenti, senza che mai quello medio-grave vada a interferire o, peggio, a sovrapporsi a quello acuto. Il dettaglio, infine, non lesina in fatto di matericità, conferendo così una sensazione tattile e fisica del quartetto in fase di ascolto, il quale non risulta mai essere affaticante.

Andrea Bedetti

  • Giacomo Puccini – The Complete Works for String Quartet
  • Quartetto dell’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano (Paolo Morena e Fabio Ravasi, violini; Cynthia Liao, viola; Gabriele Zanetti, violoncello)
  • CD Urania Records LDV 14111 (referencemusicstore.it)

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