alcune considerazioni estetiche e musicali (parte II)

PRIMA PARTE QUI

A beneficio soprattutto delle nuove generazioni che non conoscono ancora la grandezza del direttore tedesco e prendendo spunto dalla registrazione dal vivo dell’integrale sinfonica di Johannes Brahms, messa a disposizione nel formato liquido dalla CBH MUSIC, ecco alcuni spunti che possono far comprendere meglio la sua visione interpretativa, sempre in bilico tra classicismo apollineo e romanticismo dionisiaco, alla ricerca di un gesto che non fosse solo eminentemente tecnico, ma votato ad esprimere un’insondabile spiritualità

Una visione sintomatica che ci fa comprendere con quale stato d’animo il musicista e interprete germanico abbia potuto dirigere non solo le proprie composizioni, ma anche quelle altrui. Da qui i tormenti, i dubbi, le angosce e, inevitabilmente, le riflessioni, i pensieri, e le concezioni sull’arte del dirigere. Furtwängler è stato un figlio indebito del proprio tempo e, in termini musicali, è appartenuto alla cosiddetta “età d’oro” dell’interpretazione direttoriale. Furono anni quelli in cui, oltre a lui, operarono tra gli altri Erich Kleiber, Otto Klemperer, Bruno Walter, Willem Mengelberg, Clemens Krauss, Arturo Toscanini, Felix Weingartner, Fritz Reiner, Hans Knappertsbusch, Leopold Stokowski, Fritz Busch, Sir Thomas Beecham: un’epoca che può essere racchiusa tra la fine della Prima guerra mondiale e l’inizio degli anni Cinquanta. Non si può certo affermare, quindi, che Furtwängler fosse una voce solitaria nel deserto. L’arte dell’interpretazione orchestrale raggiunse, infatti, in quegli anni, vertici assoluti che oggi possiamo soltanto ricordare e rimpiangere amaramente. Eppure, nessuno indagò in profondità il mistero della rappresentazione musicale come cercò di fare Wilhelm Furtwängler. Nessuno tra i grandi interpreti seppe scandagliare, osservare e costruire una visione che andasse al di là di ciò che si definiva con il termine di interpretazione. «Furtwängler fu l’unico a comprendere che il dirigere musica non apparteneva alla sfera dell’essere, ma a quella del divenire», ha giustamente affermato il pianista e direttore d’orchestra Daniel Barenboim.

L’età dell’oro della direzione orchestrale. Da sinistra, Bruno Walter, Arturo Toscanini, Erich Kleiber, Otto Klemperer e Wilhelm Furtwängler.

Proprio dagli scritti critici e teorici di Furtwängler possiamo farci un’idea di questo desiderio di divenire. Un aspetto che il compositore e direttore germanico cominciò ben presto ad indagare negli scritti Über Auswendig-Dirigieren (Sul dirigere a memoria, 1926), Probleme des Dirigierens (Problemi della direzione d’orchestra, 1929) e Vom Handwerkszeug des Dirigierens (Sullo strumento del mestiere del direttore d’orchestra, 1937). Questi continui richiami scritti, queste pagine dedicate immancabilmente allo stesso tema ci fanno comprendere come Furtwängler amasse e si appassionasse nell’arte del dirigere e, allo stesso tempo, come trovasse meschina la maggior parte dei suoi colleghi, da lui accusati di eseguire e non di interpretare. «I direttori d’orchestra: una metà dovrebbe essere messa al museo, l’altra al circo», ripeteva spesso. Una simile espressione così feroce (che non è da Furtwängler) si spiega con il fatto che il musicista e direttore tedesco non provò rispetto e stima per quei colleghi (ed erano abbastanza numerosi) che ebbero la tendenza di perdere di vista o, peggio, di rinnegare il fine ultimo al quale l’interprete deve restare sempre fedele: l’aspetto spirituale.

Nel Terzo Dialogo dei Gespräche über Musik (Dialoghi sulla musica, 1937), rispondendo a una domanda del musicologo tedesco Walter Abendroth, Furtwängler descrisse in che cosa si differenziava l’interpretazione dei “classici” (Haydn, Mozart, Beethoven) rispetto a quella dei “moderni”. «Quello che in altri tempi si eraammirato ingenuamente come tecnica, non corrisponde al concetto che ne abbiamo oggi», rispose sinteticamente e densamente Furtwängler. «Non era la “tecnica” di un Mozart o di un Beethoven e più tardi di un Paganini e Liszt, che avvinceva i loro contemporanei, sebbene il linguaggio umano che trapelava attraverso quella tecnica, rendendolo una loro necessità intima. Tutti i problemi riguardanti l’interpretazione sono nati dacché la tecnica è divenuta un elemento staccato dalla personalità totale dell’artista e quindi raggiungibile con meditato esercizio. Questi problemi non sono propriamente “tecnici”; essi si riferiscono unicamente al punto di coincidenza fra tecnica e spirito». E continuando nella spiegazione: «Tuttavia si constata che il modo d’unificazione tra elementi spirituali e tecnici è sempre diverso nei singoli maestri, il che costituisce una particolare difficoltà che si presenta all’interprete nell’esecuzione dellegrandioperedel passato. Questi modi sono così differentiche i medesimi mezzi d’espressione assumono significato diverso nei vari artisti».

Furtwängler durante una prova con i suoi Berliner Philharmoniker.

Così, con questa risposta il musicista e direttore germanico identificò esemplarmente la questione primaria, irrinunciabile per ogni direttore d’orchestra che si rispetti: saper conciliare (cosa a dir poco improponibile) l’aspetto tecnico, fondamentale nella costituzione formale dell’interpretazione, con quello, non meno indispensabile, spirituale. Un problema, questo, facile nel definirlo in parole, difficilissimo, proibitivo nel renderlo musicalmente. Per spiegare meglio che cosa intendesse per aspetto “tecnico” e “spirituale”, Furtwängler proseguì ponendo l’accento su quattro geni dell’epoca cosiddetta “classica”: Bach, Mozart, Haydn e Beethoven. «In Bach per esempio ogni nota ha un valore funzionale armonico e melodico ad un tempo; il ritmo non è un fattore a sé stante; il tutto fluisce senza alcun ingorgo o arresto. Non troviamo in lui il minimo cenno d’incertezza; il calmo e costante vigore di coordinamento tra le linee tematiche e lo sviluppo armonico raggiunge un massimo nella manifestazione dell’essere, come uno stato costante inserito in un divenire. In Mozart non troviamo più questo stato costante: l’accadere ha giàil sopravvento.Mozart comincia ad usare contrapposizioni ritmiche che Bach non conobbe o volutamente evitò. Ma anche in Mozart lo svolgimento complessivo avviene senza soste; egli non è più epico come Bach e nonè ancora drammatico come Beethoven. Questi due elementi si unificano in lui in modo esemplare e mai più raggiunto. […] Haydn – propriamente il creatore della “sonata” – introduce per primo con l’improvviso sbocciare della libertà del ritmo il turbine degli arresti e delle sospensioni nella musica. Con lui hanno inizio i problemi che più tardi occuperanno Beethoven. Mozart è più elegante, per così dire di sangue nobile, mentre Haydn è più plebeo; Mozart ha più nobiltà, maggior dolcezza, Haydnè più intensamente intimo ed ha maggior baldanza. Nei quartetti e nelle sinfonie di Haydn sboccia un’esuberante gioia vitale. La musica è in lui giovane come in nessun altro, né prima, né dopo di lui. […] Haydn è il primo nel quale l’unità musicale nel suo complesso, il grande patrimonio dell’epoca, non scaturisce più per via spontanea – come in Bach, oppure nel più fortunato Mozart – ma deve venir conquistata. Qui ha effettivamente inizio la musica moderna. In Haydn, e più tardi in Beethoven, l’essere di Bach, l’accadere di Mozart si fa un divenire. Nella musica di Bach ogni composizionesembragiungeredaseallafine:inquella diHaydnedi Beethovenessa viene portata a termine. Con ciò l’unità fra logica ed episodio musicale, e logica e avvenimento spirituale divengono il compito dell’epoca. […] Solo con Beethoven la musica viene messa in grado di esprimere quello che avviene nella natura in forma di catastrofe. Anche la “catastrofe” è un’espressione della natura; non è meno naturale, non meno naturalmente organica di quanto si sviluppa lentamente. Il carattere della musica era stato fino allora epico, ora è in grado di divenire dramma. Anche nello sviluppo storico in Grecia, Omero precede i tragici: non è un caso. L’epica precede,in quanto la descrizione è la prima forma dell’incontro con la realtà. Solo quando la realtà sarà dominata mediante la descrizione l’artista sarà in grado di passare alla forma d’astrazione necessaria affinché i personaggi agiscano in modo autonomo; egli potrà allora contrapporsi ai suoi propri personaggi, non più dipendenti da lui, ma viventi di vita propria, avviati al loro destino».

Questo lungo passaggio della risposta di Furtwängler ci aiuta a comprendere innanzitutto due aspetti di notevole importanza: la disarmante semplicità con la quale il musicista e direttore germanico riesce a definire il traumatico passaggio di un’epoca (da Bach/Mozart ad Haydn/Beethoven), e la lucida interpretazione del linguaggio musicale dei quattro compositori in questione. Nel primo caso l’elemento che unifica e struttura è dato dall’aspetto spirituale, nel secondo dal dato tecnico. Quando Furtwängler simboleggia in Bach l’«essere», in Mozart l’«accadere», in Haydn e in Beethoven il «divenire», sintetizza in modo mirabile le trasmutazioni dello spirito nella musica di quel tempo: solo l’interprete moderno, capace di seguire il filo rosso di questo aspetto spirituale, è in grado di ri-elaborare il linguaggio musicale di quell’epoca. Non basta l’aspetto tecnico, sebbene l’avvento del cosiddetto virtuosismo (che Furtwängler identificò con due musicisti come Paganini e Liszt) coincida con un cambiamento di rotta nei gusti del pubblico che vede nell’elaborazione “tecnica” il motivo precipuo d’interesse e d’ascolto.

L’accusa che il musicista e direttore tedesco lanciò nei confronti dell’interpretazione musicale del proprio tempo è che la maggior parte della Leitung tendeva ormai ad assimilare quasi esclusivamente la componente tecnica, tralasciando quella eminentemente spirituale. Ci si è sempre chiesti, per esempio, quali fossero i punti che differenziavano e ponevano agli antipodi due direttori come Wilhelm Furtwängler e Arturo Toscanini; alla luce di quanto detto finora, si può affermare che il primo privilegiava l’aspetto spirituale (da qui le numerose accuse di frequenti oscillazioni agogiche nelle sue interpretazioni), il secondo invece un aspetto chiaramente tecnico (con una continua ricerca ritmica accomunata alla volontà di far “cantare” l’orchestra e i singoli strumenti).

Una foto, scattata a Bayreuth, che mostra i due amici-nemici Furtwängler-Toscanini. Da sinistra Alexander Spring, assistente alla direzione a Bayreuth, Wilhelm Furtwängler, Heinz Tietjen, direttore artistico a Bayreuth dal 1931 al 1944, Winifred Wagner, moglie di Siegfried Wagner, figlio del compositore Richard Wagner, Arturo Toscanini e Carl Kittel, compositore e direttore orchestrale, amico e collaboratore di Siegfried Wagner.

L’allarme lanciato da Furtwängler sulla supremazia della tecnica sull’elemento spirituale si condensò anche sotto un altro punto di vista, dato che l’asservimento tecnico da parte della maggior parte degli interpreti orchestrali esaltava, fuor di ogni logica, il lato oscuro della “materia”, ossia il grado di difficoltà dell’esecuzione. Il musicista e direttore tedesco fu sicuramente uno dei primi ad accorgersi che l’aspetto “virtuosistico” stava prendendo il sopravvento non solo nella sfera delle interpretazioni solistiche (erano gli anni, quelli, in cui furoreggiavano personaggi come Vladimir Horowitz e Arthur Rubinstein nel pianoforte e Fritz Kreisler e Jascha Heifetz nel violino), ma anche in quella delle interpretazioni orchestrali. In effetti, al di là di aspetti squisitamente “istrionici” da parte di alcuni direttori d’orchestra (alcune rare immagini cinematografiche dell’epoca ci danno modo di vedere i movimenti, gli atteggiamenti e le “civetterie” di alcuni dei più celebri direttori di allora, quando si trovavano sul podio), le parole di Wilhelm Furtwängler furono motivate dal fatto che gli interpreti orchestrali tendevano a rendere indubbiamente più difficile, più ellittica l’arte del dirigere.

«Ciò non di meno il musicista di oggi crede di seguire l’attuale evoluzione, assoggettandosi al giogo della “materia”, esaltandone le complicazioni, ponendola quasi come meta a sé stante», scrisse a tale proposito Furtwängler nel Secondo Dialogo dei Gespräche über Musik. «Ne consegue di necessità che il nesso organico del sentimento viene più o meno compromesso. Ma giunti a questo punto non v’è più via di scampo. La materia, non più tenuta in freno da un ordine superiore, comincia a ramificarsi incontrollata. Allora l’intelletto sarà libero di impadronirsi di volta involta con la massima intensità di ogni dettaglio e le complicazioni non faranno che aumentare». Parole profetiche, senza alcun dubbio. Ciò voleva dire, sempre seguendo il lucido ragionamento del musicista e direttore tedesco, che in questo modo l’elemento esclusivamente armonico si sarebbe sviluppato smisuratamente, trascurando di fatto quello armonico-melodico, con un unico e inevitabile risultato: rendere oltremodo monotono, perfino nel ritmo, il linguaggio musicale. «Consideriamo i grandi maestri! Bach appare relativamente complicato nell’armonia e semplicissimo nel ritmo», ammonì Furtwängler a tale proposito. «Beethoven è infinitamente più semplice nella melodia e nell’armonia, ma in compenso infinitamente più complesso nel ritmo e nella struttura complessiva che ne dipende. La complessità di Wagner, e più tardi quella di Strauss e quella di Debussy e di Stravinskij hanno ognuna un altro punto di riferimento. Ciò significa che una certa complessità di una funzione viene compensata da una relativa primitività di altre, come conseguenza inevitabile del fatto che la facoltà d’appercezione dell’uomo è limitata».

Wilhelm Furtwängler s’intrattiene con Richard Strauss dopo una riunione della Reichskulturkammer avvenuta il 15 novembre 1933.

Andrea Bedetti

FINE SECONDA PARTE – TERZA PARTE QUI

  • Johannes Brahms – Symphony No. 1 in C Major, Op. 68
  • Berliner Philharmoniker – Wilhelm Furtwängler
  • Live Berlino, 15 settembre 1953
  • CBH Music CBH 218
  • Johannes Brahms – Symphony No. 2 in D Major, Op. 73
  • Berliner Philharmoniker – Wilhelm Furtwängler
  • Live Vienna, 28 gennaio 1945
  • CBH Music CBH 219
  • Johannes Brahms – Symphony No. 3 in F Major, Op. 90
  • Berliner Philharmoniker – Wilhelm Furtwängler
  • Live Torino, 14 maggio 1954
  • CBH Music CBH 220
  • Johannes Brahms – Symphony No. 4 in E Minor, Op. 98
  • Berliner Philharmoniker – Wilhelm Furtwängler
  • Live Salisburgo, 15 agosto 1950
  • CBH Music CBH 221

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