alcune considerazioni estetiche e musicali (parte IV)
A beneficio soprattutto delle nuove generazioni che non conoscono ancora la grandezza del direttore tedesco e prendendo spunto dalla registrazione dal vivo dell’integrale sinfonica di Johannes Brahms, messa a disposizione nel formato liquido dalla CBH MUSIC, ecco alcuni spunti che possono far comprendere meglio la sua visione interpretativa, sempre in bilico tra classicismo apollineo e romanticismo dionisiaco, alla ricerca di un gesto che non fosse solo eminentemente tecnico, ma votato ad esprimere un’insondabile spiritualità
Qui, entriamo in merito alle quattro registrazioni delle altrettante sinfonie brahmsiane nel formato liquido della CBH Music, tutte effettuate rigorosamente dal vivo tra il gennaio del 1945 e il maggio del 1954, ossia nel periodo di massima maturità stilistica e direttoriale di Furtwängler; la prima osservazione da fare in linea generale, anche rispetto a quanto ho scritto finora sulla concezione estetica e spirituale di Furtwängler, è che nessuno come lui cercò di coniugare e far consistere nelle sue letture la sfera dionisiaca con quella apollinea. In tal senso, l’interpretazione della Prima sinfonia risulta ad essere a dir poco profetica. È qui, infatti, che l’eredità della tradizione beethoveniana (ricordiamoci che quando questo capolavoro sinfonico fu eseguito, la critica del tempo lo definì tout court la “Decima sinfonia” del sommo di Bonn) si viene a incontrare e, parallelamente, a scontrare con le istanze e le pulsioni romantiche, facendo confluire la dimensione classica con le frequenze spasmodiche di un linguaggio che andava a minare la stabilità di una visione che, dopotutto, era ancora presa a modello. E qui, Furtwängler, pienamente conscio di ciò, cerca di mediare con una lettura che, prima di tutto, è “racconto” di ciò che avviene, tramite una veemenza timbrica, modulata in una scansione ritmica che fa fermentare la restituzione agogica, un perpetuarsi di fiammate telluriche che si alternano ad arcipelaghi di calma trasognata, un continuo alternarsi di fuoco e ghiaccio, di esplorazione senza timori tra luce accecante e penombra inquietante, fino a quando, irrompendo il tempo finale, la conquista appare certa, ossia con la piena declamazione di una visione nella quale le pulsioni instabili trovano una loro stabilizzazione coerente, fattiva, con un equilibrio delle parti, rappresentate dalle sezioni dell’orchestra, che trovano una soluzione di continuità nell’immaginario spaziale e temporale del dispiegarsi sonoro.
Sia ben chiaro, però, che quando si parla di “racconto” offerto all’ascolto nel modo di dirigere di Furtwängler, l’immagine non deve correre a un’espressione “rapsodica” di stampo omerico, quanto sulla “lotta”, per l’appunto, esaltata come nessun’altra forma teatrale, creata dalla tragedia greca. È qui che si annida la ricerca spirituale nel direttore tedesco, proprio come negli intendimenti di un Eschilo e di un Sofocle che puntano a trasmettere una maieutica capace di insegnare e placare attraverso la rappresentazione del dolore e della sofferenza in chiave di una redenzione fattiva, capace di rappacificare uomini e dèi, per assorbire in modo più propositivo, da parte di entrambi, i colpi di mannaia inferti dal fato implacabile. Spiritualità come accettazione, come verticalità che si trasforma in orizzontalità.
Questo viaggio intrapreso in nome di una verticalità che gradatamente si trasforma in una misterica orizzontalità, viene compiuto nella lettura della Seconda e della Terza sinfonia, in cui la dimensione totalizzante assume connotati di vera e propria ricerca filosofica del suono, in attesa di affrontare i misteri insondabili della Quarta sinfonia. La lettura di queste due pagine sinfoniche è humus da fertilizzare e germogliare, è quintessenza di un approcciarsi a vastità che vengono rese sia in termini di espansione timbrica, che a tratti diviene lussureggiante (primo tempo della Seconda sinfonia), per poi nuovamente contrarsi dolcemente e malinconicamente (terzo tempo della Terza sinfonia). Non voglio certo affermare che l’intendimento di Furtwängler fosse quello di stabilire un’interpretazione in chiave preparatoria, nell’attesa di dare pieno sfogo alle dimensioni titaniche, nel senso delle domande che devono trovare una risposta, poste dalla Quarta sinfonia, ossia considerando in tale ottica la Seconda e la Terza come un work in progress, una sonda interlocutoria, ma fornendo una spiegazione all’impianto unitario di tutto l’universo sinfonico, e non solo, della visione brahmsiana. Semmai, la concezione unitaria delle quattro sinfonie del gigante amburghese è simile alle stazioni del calvario cristiano, da considerarsi naturalmente in chiave spirituale e non religiosa, tappe di un continuo domandarsi che è già fonte di risposta, gradini della scala di Giobbe che è sfida stessa all’idea del divino.
Rispetto a quanto si è delineato finora, potrà sembrare sorprendente la lettura che Furtwängler fece della Quarta sinfonia nel concerto dal vivo a Salisburgo nel 1950, in quanto potrebbe apparire “irrisolta” nel suo quietarsi nel corso di quel mistero sonoro rappresentato dal primo tempo, sembrando quasi “balsamica”, propedeutica, assertiva per certi versi, a fronte delle tappe sinfoniche precedenti, come se il direttore germanico avesse voluto offrire un esempio di mediazione, di sonorità “diplomatiche”. In realtà, non è così. La tensione dirompente dev’essere cercata nell’implosività del suono stesso, nel suo nucleo interiore, in ciò che Furtwängler lascia intendere senza mai svelarlo, nell’indicare senza mai risolvere compiutamente. Ciò che vuole dimostrare con questa versione della “sua” Quarta sinfonia è di aggiungere un’ulteriore patina di mistero che si va ad aggiungere al mistero che si annida nei segni della partitura; per Furtwängler, alla luce di quanto finora scritto, risolvere non significa “spiegare”, delucidare, ma approfondire, poiché il gesto direttoriale non può ambire all’assoluto, ma soddisfare il momento stesso del relativo, di quanto si sta compiendo in quel preciso momento, per dare modo all’atto tecnico, liberatorio del gesto che diviene suono, di ambire alla dimensione sfuggente creata nell’istante di identificazione con la missione maieutica del rito musicale. L’ambizione ermeneutica che si stempera nella placidità della contemplazione: basta ascoltare l’incipit del quarto tempo di questa sinfonia per rendersene conto. In altre letture fatte di questo tempo, il direttore germanico aveva costruito un Klang implacabile, ctonico, abissale, capace di scoperchiare infiniti cimiteri (su YouTube, ascoltate le prove del finale fatte in previsione dell’esecuzione londinese del 1948, oppure la lettura fatta nel giugno del 1943 a Berlino, con il quarto tempo che si trasforma in una spasmodica e lugubre marcia funebre), ma qui sembra assumere le vesti di un Siddharta che si tuffa nelle acque di un fiume eracliteo, commosso dal fluire placido del tempo, che tutto accoglie e tutto restituisce.
Tenuto conto di quanto si è scritto finora, non apparirà quindi sorprendente o, peggio ancora, scandaloso il fatto che Wilhelm Furtwängler non abbia lasciato la Germania in concomitanza con la presa del potere da parte di Hitler e del nazionalsocialismo. Questo argomento ha da sempre suscitato aspri dibattiti e feroci prese di posizione (nel 1949, quando l’Orchestra sinfonica di Chicago trattò con Furtwängler per farlo diventare il nuovo direttore stabile, diversi musicisti, tra cui Vladimir Horowitz e Jascha Heifetz, minacciarono che non avrebbero più suonato in quella città, se a capo di quell’orchestra ci fosse stato il “nazista” Furtwängler) e si continuerà all’inverosimile per sapere fino a che punto il musicista e il direttore germanico si “compromise” con il regime hitleriano. Questa non è la sede adatta per entrare nel particolare, ma si può senz’altro affermare che se il nazismo si servì di lui, la stessa cosa fece Furtwängler nei confronti dei gerarchi (soprattutto di Joseph Goebbels) e della classe politica al potere (così come, d’altra parte, fecero anche Herbert von Karajan, Karl Böhm, Clemens Krauss, Richard Strauss, Willem Mengelberg, Oswald Kabasta e tanti altri). Ciò che molti dimenticano o fanno finta di non sapere è che la decisione di restare Wilhelm Furtwängler la prese anche sotto il pressante invito di diversi musicisti, a cominciare dall’“ebreo” Arnold Schönberg. Fu la stessa moglie del compositore austriaco a rivelare i particolari di un incontro tra i due, avvenuto a Parigi nel 1933, all’indomani dell’ascesa al potere da parte di Hitler.
In quell’occasione Furtwängler seppe da Schönberg che i nazisti avevano vietato al compositore austriaco di rappresentare le proprie musiche in quanto ebreo e “degenerato”. Il musicista e direttore tedesco soffrì di ciò, come tedesco e come amico. Con tono disperato chiese al musicista austriaco: «Adesso, che cosa devo fare?». La risposta di Schönberg fu: «Lei deve rimanere e dirigere buona musica». È quanto appunto fece Furtwängler fino al febbraio 1945 quando, raccogliendo un invito fattogli dal direttore d’orchestra svizzero Ernest Ansermet, riparò in territorio elvetico con la scusa di eseguire alcuni concerti, lasciando la Germania in fiamme e in rovina. Soprattutto nell’ultimo periodo della guerra, la missione di Furtwängler fu particolarmente importante. Ecco che cosa raccontò Elisabeth, la moglie del musicista e direttore tedesco, di quei giorni: «I frequentatori dei concerti dovevano in parte arrampicarsi sulle macerie per arrivare alla Bernburger Straβe, fino a che anche il vecchio edificio della Filarmonica venne distrutto dalle bombe. Incontrai allora un conoscente, del quale avevo sentito che la casa era stata distrutta dalle bombe la notte precedente e lo salutai nella speranza che, evidentemente, si fosse trattato di una notizia falsa. “No, ho proprio avuto stanotte la casa bombardata, ma che cosa potrei fare di meglio che andare a un concerto di Furtwängler?”. La “benedizione” delle bombe divenne sempre più forte, tuttavia i concerti furono sempre eseguiti, e io vorrei qui citare Boleslaw Barlog, che fu poi direttore artistico del Teatro di Berlino: “Ogni otto o quattordici giorni un concerto di Furtwängler era una ragione per sopravvivere”. Era questo anche ciò che sentiva Furtwängler: per il suo pubblico tedesco impoverito di tante persone; per amore di questo pubblico era rimasto».
È sufficiente osservare i rari filmati di quei concerti (che Furtwängler diresse perfino nelle fabbriche davanti a centinaia di operai) e ascoltare le registrazioni, effettuate nella Filarmonica di Berlino, tra l’inizio del 1942 e la fine del 1944, per rendersi conto del coinvolgimento, del “rito” musicale officiato per resistere alla tragedia incalzante della guerra. Un chiaro esempio di come l’arte sia in grado di lenire le ferite più terribili. E ancor più notevole è sentire il timbro, il Klang che Furtwängler fece esprimere dai suoi orchestrali: un suono incredibilmente struggente e tremendo allo stesso modo (esemplare, a tale proposito, l’esecuzione della ouverture Coriolan di Beethoven, dove l’impatto orchestrale sembra voler arginare il momento del crollo, l’irruzione della fine imminente).
Anche questi episodi aiutano a comprendere, a focalizzare quella visione che Furtwängler volle fare propria: il ruolo di guardiano, di custode con la bacchetta in mano, unica arma e consolazione contro il distacco del passato e l’irrompere del futuro. La sua più grande amarezza fu certamente quella di aver sempre vissuto in bilico tra il prima e il dopo, senza poter assaporare pienamente la consapevolezza sfuggente del presente. In un certo senso, la sua vita e la sua opera possono essere racchiusi in una celebre affermazione di Gustave Flaubert: «Quando gli dèi non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo, solo».
Per quanto riguarda il dato tecnico di queste quattro registrazioni è necessaria una dovuta premessa, che si basa su un fattore ineludibile, quello di trovarci di fronte a prese del suono che non sono di certo ottimali, se non addirittura precarie, ma il cui valore viene compensato, come si è già spiegato in questa sede, dall’aspetto storico-interpretativo (su mia precisa domanda, la CBH MUSIC mi ha assicurato che nelle prossime settimane, oltre al formato 44.1/16, saranno messi a disposizione degli appassionati anche i formati in PCM fino a 192kHz-24bit e in DSD128 ossia a 5.6MHz). La cattura del suono che presenta i problemi più evidenti a danno dell’ascolto è sicuramente quella che riguarda la Prima sinfonia, la cui dinamica è alquanto e fastidiosamente impastata, restituendo una grana assai sfuocata e che si manifesta soprattutto nel corso del tutti orchestrale (ad essere messo a dura prova è principalmente il primo tempo), con il risultato che gli effetti relativi all’equilibrio tonale vengono di fatto annullati, oltre al fatto (proprio a causa della dinamica deficitaria) che si presentano dei picchi di saturazioni quando si passa sulla gamma del registro acuto, con la sezione degli archi che ne soffre più di tutte.
Per ciò che riguarda la ricostruzione del palcoscenico sonoro, se la Prima sinfonia e la Quarta sinfonia si trovano in uno spazio sonoro più ravvicinato, la Seconda e la Terza Sinfonia risultano trovarsi collocate a una maggiore profondità, con un fuoco d’immagine che, ovviamente, viene concentrato al centro dei diffusori a causa della versione mono, senza però trasmettere un senso di “claustrofobia”, ma mostrando una discreta distribuzione delle varie sezioni orchestrali. Il dettaglio si viene a realizzare in modo più propositivo in quelle registrazioni in cui la dinamica e la ricostruzione spaziale ottengono i risultati migliori, quindi nella Seconda e nella Terza, con una definizione materica che riesce a connotare quantomeno un’idea di “tridimensionalità” delle sezioni e con una maggiore veridicità timbrica di quella degli archi. Non mancano, in tutte le prese del suono delle leggere distorsioni sonore, il che è pienamente comprensibile, anche se può apparire paradossale che, complessivamente l’esito migliore, a livello complessivo, riguardi la registrazione più vecchia, ossia quella effettuata a Vienna nel gennaio 1945, il che deposita a favore delle tecniche all’epoca d’avanguardia, da parte dei tecnici tedeschi e austriaci.
FINE QUARTA ED ULTIMA PARTE – PER I CAPITOLI PRECEDENTI QUI
- Johannes Brahms – Symphony No. 1 in C Major, Op. 68
- Berliner Philharmoniker – Wilhelm Furtwängler
- Live Berlino, 15 settembre 1953
- CBH Music CBH 218
- Johannes Brahms – Symphony No. 2 in D Major, Op. 73
- Berliner Philharmoniker – Wilhelm Furtwängler
- Live Vienna, 28 gennaio 1945
- CBH Music CBH 219
- Johannes Brahms – Symphony No. 3 in F Major, Op. 90
- Berliner Philharmoniker – Wilhelm Furtwängler
- Live Torino, 14 maggio 1954
- CBH Music CBH 220
- Johannes Brahms – Symphony No. 4 in E Minor, Op. 98
- Berliner Philharmoniker – Wilhelm Furtwängler
- Live Salisburgo, 15 agosto 1950
- CBH Music CBH 221
Giudizio artistico:
Giudizio tecnico:
Correlati
Iscriviti alla nostra newsletter per rimanere sempre aggiornato.