Il sampler accluso in questo secondo numero di GRooVE back Magazine permette di scoprire la “filosofia di produzione” della casa discografica creata da Marco Lincetto, la quale non solo presenta titoli appartenenti a diversi generi musicali, dal pop alla classica, passando attraverso il jazz e il progressive rock, ma lo fa senza mai abbandonare una qualità tecnica del suono che si prefigge lo scopo ultimo che dovrebbe accompagnare ogni etichetta che si rispetti: restituire la musica per quello che è, senza aggiungere o togliere nulla

Marco Lincetto e la sua “creatura”, la Velut Luna, che ha iniziato a esistere dal 1995 e che fino ad oggi ha messo a disposizione degli audiofili e degli appassionati di musica più di trecentottanta registrazioni dedicate a diversi generi musicali. Tutti questi titoli, però, pur nella loro differente appartenenza musicale, vantano una prerogativa, che lo stesso Marco Lincetto ha voluto spiegare a chiare lettere sulla pagina web della casa discografica, delineando la sua “filosofia” di approccio e di restituzione del suono catturato. Ecco che cosa si prefigge, dunque, questa etichetta: «Velut Luna pensa che ogni esecuzione di musica vera, cioè suonata dal vivo, da musicisti attuali, su strumenti acustici e in un ambiente vero, sia unica e irripetibile. Ogni strumento suonato da due musicisti diversi o due diversi strumenti suonati dallo stesso musicista ma in un diverso ambiente e in momenti diversi non avranno mai lo stesso suono. L’obiettivo di Velut Luna è di documentare con i mezzi più idonei l’avvenimento musicale mentre sta accadendo, senza togliere e senza aggiungere niente all’evento musicale. Il nostro intento è di rifiutare qualunque forma di standardizzazione e omologazione del suono».

Spiegato a parole, tutto ciò può apparire semplice, ma nella realtà delle cose è assai più difficile, ma Lincetto non è mai venuto meno a quanto ha voluto esprimere in teoria e, in quasi trent’anni di attività, ha saputo sfornare sempre prodotti artisticamente e tecnicamente validi. E per capirlo, soprattutto a beneficio di coloro che non conoscono nei fatti e nei risultati la Velut Luna, in questo numero della rivista mettiamo a disposizione dei lettori un sampler con dieci brani che appartengono ad altrettanti titoli dell’etichetta in questione. Titoli che rientrano nel genere del progressive rock, della classica, del jazz, della canzone d’autore e del pop. Vediamo, quindi, questi dieci brani che, attraverso il loro ascolto, spiegheranno assai meglio delle parole la qualità e la “filosofia di produzione” che sta tanto a cuore a Marco Lincetto.

Libero arbitrio

Il prog è morto, viva il prog! No, no, le cose non stanno propriamente in questo modo, quindi aspettate e riavvolgete il nastro! Sì, perché il rock progressivo non alberga solo nel mondo dei nostri ricordi degli anni Settanta, ma vive ancora adesso. E lo fa anche attraverso un musicista italiano, il sessantatreenne Amos Ghirardelli che, alla testa di altri sei validissimi artisti, ha voluto rinverdire i fasti di questo glorioso genere musicale in un nuovissimo disco, intitolato Libero arbitrio e suddiviso in una tracklist formata da cinque brani, di cui l’ultimo, Malinconia, è il primo che appare in questo sampler della Velut Luna. Su una stimolante base ritmica, Amos Ghirardelli comincia a volare con le sue tastiere con sentori alla Vangelis, passando poi il testimone alla chitarra elettrica di Matteo Ballarin che interviene con un contributo che riporta alla mente Steve Hackett, dipanando una melodia che rimanda a quelle dei Genesis post Peter Gabriel. Oltre ai due musicisti citati, bisogna ricordare anche gli altri artisti coinvolti in questo progetto: Andrea Valfrè alle tastiere, Filippo Ghirardelli al pianoforte, Andrea Ghion al basso, Roberto “Bob” Parolin alla batteria e Massimo Bellio alla voce.

Nino Rota

Cambiando radicalmente genere musicale, eccoci alle prese con un’autentica chicca che farà felici sia coloro che amano la classica, sia quelli che sono anche ammaliati dalla magia del cinema d’autore, poiché il punto che unisce questi due mondi si chiama Nino Rota, l’indimenticabile musicista milanese, il cui nome è legato, tra gli altri, a quello di Federico Fellini. Ma, come ci fanno comprendere benissimo i tre musicisti che hanno dato vita a questo disco, dal titolo Nino Rota e dedicato a quattro sue pagine cameristiche, ossia Luca Lucchetta al clarinetto, Francesco Martignon al violoncello e Gianluca Sfriso al pianoforte, il nostro compositore non può e non dev’essere relegato nella scomoda ed esclusiva posizione di creatore di colonne sonore, poiché Rota è stato un musicista a tutto tondo, capace di spaziare in diversi generi, a cominciare da quello classico e, nel caso specifico, alla musica da camera. Ma è altrettanto vero che il musicista milanese, affrontando il lato colto della materia sonora, non abbandona mai la tipica verve umoristica e ironica, condita da un tocco di sottilissima amarezza esistenziale, la stessa che è andato a riversare nei commenti musicali presenti nei capolavori cinematografici del maestro riminese. Per capirlo, ascoltate l’Allegrissimo che conclude lo straordinario Trio per clarinetto, violoncello e pianoforte scritto nel 1973, reso con una vividezza e un’aderenza al mondo di Rota davvero encomiabile da parte dei tre interpreti.

Dieci Studi sul Trillo

Uno degli indubbi meriti dell’etichetta discografica di Marco Lincetto è quella di porre la dovuta attenzione su autori ingiustamente dimenticati dagli uomini e dal tempo, come nel caso del grande compositore, pianista e didatta padovano Silvio Omizzolo, autentico punto di riferimento per decine di futuri musicisti da lui formati al Conservatorio Pollini della città veneta. Così, il pianista Giovanni Tirindelli, che è stato tra l’altro uno degli ultimi allievi di Omizzolo, ha voluto registrare una delle opere cardine del suo maestro padovano, una pagina che unisce alla perfezione il lato creativo, artistico, con quello eminentemente didattico, ossia Dieci Studi sul Trillo, in cui questo artificio musicale viene esaltato, sviluppato, modificato, applicato magistralmente alle leggi della tastiera pianistica in un vortice di trovate, di articolazioni, di geniali adattamenti, come nel brano presente in questo sampler, in cui è possibile ascoltare la Mazurka, la cui linea melodica, brillante e accattivante, viene continuamente stimolata, percorsa e impreziosita proprio dal continuo intervento del trillo.

Le radici di una intolleranza

Cambiando totalmente genere ed entrando in quello della canzone d’autore, se ascoltiamo il quarto brano di questa tracklist di presentazione della Velut Luna, vale a dire Empi divi, ci sembrerà di sentire riecheggiare il tipico spirito musicale di Franco Battiato, anche se non si tratta di lui. Già, perché sto invece parlando di uno dei personaggi più eclettici, interessanti e politicamente (s)corretti del panorama musicale italiano, Antonello Cresti, il quale, oltre ad essere musicologo specialista della musica inglese contemporanea, agitatore culturale e politico, è anche un musicista, come dimostra il suo disco dal sintomatico titolo de Le radici di una intolleranza, un prodotto decisamente iconoclasta, tellurico, in cui Cresti, sulla scia filosofica di Marx e di Nietzsche, usa il martello applicato in musica per dissacrare questa belluina e abbrutita società, figlia di un sistema nel quale, giustamente aggiungo io, non si riconosce assolutamente. Su tali prerogative, la lezione data dalla “musica informativa” di Franco Battiato diviene il timone, ma non è l’unico, attraverso il quale Cresti decide di solcare le acque torbide e putride del nostro presente. E lo fa, con questo CD, con le prime sei tracce, mentre la settima, Fuoco, è farina del sacco di Claudio Rocchi, un altro musicista che aveva la sana abitudine di non mandarle di certo a dire. Il martello di Cresti, in Empi divi, prende di mira i musicisti del mondo classico, quelli, tanto per intenderci, che credono di essere degli dèi in terra senza averne alcun diritto e nessuna prerogativa (è interessante come il brano inizi su una base preregistrata di un’orchestra che prova gli strumenti prima di un concerto, sulla falsariga di quanto fecero i New Trolls nell’incipit di Concerto grosso n. 1). Un album, il suo, da ascoltare e meditare, senza dimenticare il fondamentale apporto del pluristrumentista Frankie Giordano, che si destreggia abilmente tra chitarre elettriche e acustiche, basso elettrico, tastiere, batteria e samples.

Frequency of Humanity

Quando sono venuto a sapere l’età dei due fratelli Lucchin, Gabriele e Niccolò, che formano il duo Martian Noise, non ci volevo credere. Sì, perché questi due eccezionali polistrumentisti hanno rispettivamente diciannove e diciassette anni! Ma ascoltateli nel loro CD Frequency of Humanity e straccerete i loro dati anagrafici per il semplice fatto che fanno musica con i controfiocchi! Al di là del fatto che Niccolò suona la batteria come se avesse almeno dieci anni di più e con un background artistico di ben altra levatura, Gabriele, udite udite, si applica in questo disco su uno  Steinway & Sons D274 Concert Grand Piano, sull’organo Hammond C3, sulla Fender Rhodes MKI, sulla tastiera Prophet 600, sull’Akay AX-80, sull’expander Oberheim Matrix 1000 e sul sintetizzatore Vermona Perfourmer. Chi mastica un po’ di rock come si deve, capirà già che ci troviamo di fronte a due appassionati dell’epopea del grande Prog delle origini, sì proprio quello dei mitici anni Settanta, nato e cresciuto fra la Gran Bretagna e il nostro Paese (quando quest’ultimo faceva ancora musica come Cristo comanda). Così, grazie anche ai loro genitori, i due fratelli Lucchin sono cresciuti con pane ed Emerson Lake & Palmer, Yes, Genesis, Rick Wakeman, Pink Floyd, Alan Parsons Project e, in barba alla loro giovanissima età, hanno acquisito una conoscenza a dir poco enciclopedica e profonda di quel raffinato genere musicale. E, allora, come non dare credito, a quanto riporta un passaggio delle note introduttive al disco, ossia «Era quindi inevitabile arrivare a questo FREQUENCY (of Humanity), che lungi dal rappresentare un triste clone derivativo delle opere dei Maestri, ne riprende gli stilemi, con calligrafico rispetto, offrendo tuttavia Musica realmente nuova e per i giorni nostri assolutamente innovativa, fresca e rigenerante, in un oceano ristagnante di banalità, di non-musica volgarmente predicatoria»? D’altronde, è sufficiente ascoltare la quinta traccia del loro CD, riportata nel sampler in questione, ossia Hanging Garden, per capire che ci troviamo di fronte a due puledri di purissima classe, destinati, se gli dèi musicali improvvidamente non li abbandoneranno, a fare grandi cose.

Gira l’anima

Continuiamo con il genere della musica d’autore con un album intriso di differenti venature stilistiche, visto che provengono da artisti, tra gli altri, come Toquinho, Vinicius De Moraes, Pat Metheny, Pixinguinha, Joe Barbieri, Tania Maria, Noa, Egberto Gismonti e Lucio Dalla. Autori, per la maggior parte, della grande scuola brasiliana che sono stati convogliati nella voce e nel pianoforte di Tiziana Cappellino e nelle chitarre di Pietro Ballestrero nel loro disco Gira l’anima. È ovvio che, partendo dalla tipica musicalità e ritmicità date dalla musica brasileira, i due artisti abbiano voluto plasmare il loro disco esaltando queste componenti, che però sono smussate, levigate, edulcorate da un forte senso di intimità dato al suono, anche grazie alla voce calda e suadente di Tiziana Cappellino. In questo modo, è venuto fuori un prodotto che, al di là della contaminazione degli stili e delle culture presenti, si pone l’obiettivo di valorizzare il concetto della bellezza che ogni creazione d’autore riesce a promuovere, anche quando ci troviamo di fronte a melodie che possono risultare, a un primo ascolto, semplici e perfino banali. E per fare ciò basta uno Steinway gran coda e delle chitarre acustiche, che sono presentati e preservati, nella loro essenza timbrica, dalla proverbiale fedeltà dell’incisione da parte di Marco Lincetto, come di consueto catturata rigorosamente live in studio. E il brano inserito nel sampler, un classico come Cara di Lucio Dalla, permette di apprezzare al meglio questo mix in cui la poesia dei testi, il suadente fascino della materia strumentale e la voce che canta o che vocalizza, portano a una vera e propria contemplazione musicale.

Double Time

Non poteva, ovviamente, mancare in questo sampler un contributo al genere jazz, qui rappresentato da un pianista e compositore italiano, Osca Del Barba, che ha registrato per l’etichetta discografica di Marco Lincetto un CD, Double Time, del quale ho già parlato proprio per GRooVE back Magazine in un articolo apparso sulla versione web della rivista. L’artista bresciano, con questo lavoro, ha voluto fissare due diversi momenti della sua vita musicale, con le prime cinque tracce che sono state registrate nel 2018, mentre le ultime quattro risalgono al 2012. E se i primi cinque tracks riguardano rivisitazioni personali di brani molto famosi, dei veri e propri “classici” del jazz, gli altri quattro sono creazioni e delle improvvisazioni dello stesso Del Barba. Questo è il significato del “duplice tempo” presente nel titolo e che, se vogliamo, è fissato anche nel pezzo presentato nel sampler della Velut Luna, Istante immenso, che fa parte del materiale creativo del compositore bresciano. Come ho già avuto modo di scrivere nella recensione, questo brano, insieme con quelli che fanno parte della sua vena creativa, «portano a capire il percorso attraverso il quale [Del Barba] ha saputo forgiare, partendo da un nucleo tematico, una semplice serie di accordi, un’idea sonora, un’articolazione programmatica in cui la prospettiva melodica non viene mai meno, attuata non solo a livello di coinvolgimento di ascolto, ma quale stratificazione necessaria per ultimare il segno propositivo della sua musica. Non un abbellimento, uno sterile strizzare l’occhio (e l’orecchio) di chi ascolta, ma la piena consapevolezza che la melodia può essere ancora necessaria per costruire, per innalzare, per fornire quel respiro tridimensionale di cui si nutre anche l’arte sonora più complessa e raffinata».

Papier-Mâché

Il ritorno all’altro filone colto si concretizza nella chitarra classica di una giovane musicista, Federica Artuso, già allieva di Stefano Grondona, che ha registrato nel CD intitolato Papier-Mâché un programma di venti brani scritti da nove compositori appartenenti alla grande scuola ispanica, utilizzando due particolarissime chitarre, costruite entrambe dal liutaio Fabio Zontini, in quanto la loro cassa armonica è stata realizzata in cartone, fedeli riproduzioni della leggendaria chitarra FE14, per l’appunto la Papier-Mâché, creata nel 1862 da colui che è passato alla storia come lo “Stradivari delle sei corde”, ossia Antonio de Torres Jurado, e conservata oggi al Museo della Musica di Barcellona. L’andaluso Torres decise di costruire una chitarra classica in cartone per dimostrare che si poteva ideare uno strumento capace di riprodurre suoni e timbri unici nel loro genere senza ricorrere al legno, e il milanese Zontini da quasi vent’anni porta avanti questa tecnica rivoluzionaria costruendo chitarre in cartone, due delle quali, per l’appunto, realizzate tra l’aprile e il settembre 2023 ed entrambe pesanti (si fa per dire) appena 995 grammi, oltre a montare corde in budello naturale, sono state appositamente utilizzate da Federica Artuso per registrare questo disco, catturato mirabilmente da Marco Lincetto. Il brano tratto dal CD della giovane chitarrista classica, Milonguea del Ayer, appartiene a un famoso chitarrista argentino della prima metà del Novecento, Abel Fleury, in bilico tra tradizione colta e quella folklorica.

Italian Music for Guitar and Piano

Anche gli ultimi due brani presenti nella tracklist del sampler Velut Luna appartengono al genere classico. Il primo di essi è dedicato all’Italian Music for Guitar and Piano, come recita il titolo del CD, e presenta composizioni per questo duo cameristico dell’immancabile Mario Castelnuovo-Tedesco, Franco Margola, Carlo Mosso, Adriano Lincetto (padre di Marco), Luigi Giachino e Giuseppe Crapisi, interpretate da Lapo Vannucci alla chitarra e da Luca Torrigiani al pianoforte. Un tributo, quindi, a una tradizione che nella cultura musicale del nostro Paese non si è mai sopita, anche in un secolo così “rivoluzionario” come il Novecento, allorquando, come scrive giustamente Ennio Speranza nelle note introduttive al disco «diversi compositori sono riusciti a ottenere degli splendidi risultati attraverso un sapiente lavoro sui “pieni” e suoi “vuoti” dei rispettivi strumenti, un’attenzione tutta particolare a un dialogo non convenzionale, una scrittura filigranata e, ovviamente, una buona dose di istinto che non guasta mai. Il disco che avete tra le mani è la testimonianza di tali esiti e vede una collana di lavori originali per chitarra e pianoforte composti tra il 1950 a oggi di autori italiani noti e meno noti». E tra gli autori che non vantano ancora una dovuta fama presso il grande pubblico c’è il torinese Luigi Giachino, il quale ha composto appositamente per il duo Vannucci & Torrigiani il brano Il silenzio del tempo, scritto nel 2015 e registrato in prima assoluta mondiale, di cui il secondo tempo, intitolato Ineluttabile, è stato inserito nel sampler. Si tratta di una suite tinta di venature jazz e di sapori quasi impressionisti. Il tempo qui proposto, continua a spiegare Speranza nel booklet, «è un vibrante, incisivo, ostinato che vede frequentissimi cambi di metro quasi alla maniera di un pezzo progressive rock senza rinunciare però a improvvisi squarci di lirismo».

Adriano Lincetto – Legacy

L’ultimo brano che conclude questo sampler dedicato alla Velut Luna è un atto d’omaggio che Marco Lincetto ha riservato al padre, Adriano Lincetto, un brano tratto dal progetto Adriano Lincetto – Legacy, formato da sei volumi racchiusi in un Pendrive USB da 32GB che contiene i files master PCM lineari 88.2kHz/24bit con tutte le registrazioni delle opere musicali del compositore padovano. Nel primo volume è inclusa la Suite orchestrale I Sogni di Gianò, suddivisa in cinque tempi, di cui l’ultimo, il Finale, è qui presentato nell’interpretazione dell’Orchestra di Padova e del Veneto diretta da Fabio Framba e con la partecipazione del mezzosoprano Silvia Regazzo. Si tratta di un pezzo che racchiude in sé la grande tradizione della plurisecolare scuola veneta, la cui melodia, enunciata dagli archi, sembra riprendere stilemi di chiara matrice barocca, esprimendo una nobiltà di visione e di intenti, da cui prende poi spunto la linea pura di un secondo tema in cui il flauto prima e l’oboe poi dialogano con gli archi, che si ritraggono in un emozionante tremolo che porta alla conclusione il Finale.

Andrea Bedetti

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