Oltre ad offrire ai lettori, in ogni numero della rivista, un disco in formato liquido, è nostra intenzione fornire anche una scheda di presentazione, attraverso la quale poterli introdurre a quanto andranno ad ascoltare. Non una vera e propria “guida all’ascolto”, ma piuttosto degli appunti sparsi grazie ai quali inquadrare meglio i vari brani presenti. Cominciamo con il Vol. 2 Hi-Res Sampler dell’etichetta CBH Music, composto da otto tracce in cui sette eccelsi direttori d’orchestra danno sfoggio della loro arte interpretativa. Un disco che potrebbe avere, come sottotitolo, “Invito alla grande musica sinfonica”
Come dare inizio a una discoteca selezionata, composta da titoli validi sia sotto l’aspetto artistico, sia sotto quello tecnico? Se si riflette bene, soprattutto se si è alle prime armi, se si è dei neofiti, ma anche se si hanno alle spalle un bel po’ di ascolti e se si è un po’ avvezzi alla storia della musica colta, il problema resta, poiché la materia discografica è a dir poco sterminata e se ci si avventura senza avere le idee sufficientemente chiare, si rischia davvero di restare impantanati tra le miriadi di case discografiche, autori, interpreti, generi, senza contare i tanti consigli, suggerimenti, dritte che affollano i siti e i forum sul web, tutti pronti a tirare la giacchetta, scrivendo e strombazzando “Questo disco è imperdibile” o “ Una registrazione che non deve mancare sui nostri scaffali!”, oppure ancora “Ragazzi, questa incisione è da urlo!”.
Da parte nostra, ossia di coloro che lavorano e scrivono per questa rivista, che si occupa appunto di musica, sia a livello di produzioni discografiche, sia di quel materiale che può essere necessario per migliorare o dare inizio a un impianto di ascolto, con il chiaro intento, quindi, di soddisfare gli appassionati musicofili e quelli audiofili, con questa rubrica vogliamo semplicemente aggiungere un piccolo mattone alla volta, con un obiettivo ben preciso: cercare di costruire un muro, fatto appunto di tanti mattoncini, che simbolicamente può rappresentare una discoteca che non vorremmo pomposamente definire “ideale” o “consigliata”, quanto soltanto “suggerita”, per il semplice fatto che ognuno è naturalmente padrone di aggiungere o meno i propri mattoni, di seguire i propri gusti e le proprie preferenze.
Infatti, il nostro compito vuole essere quello di essere semplicemente una voce, tra le tante, che non consiglia, non ammonisce, non dispensa strizzatine d’occhio o ammiccamenti per aggiungersi al coro di coloro che si ritengono i custodi di ciò che è valido e dev’essere necessariamente salvato e posseduto da ciò che non lo è. La nostra voce, in materia, vuole essere solo una discreta presenza, che di numero in numero presenterà un disco, che può essere scaricato del tutto gratuitamente, come del resto la rivista stessa, con il semplice intento di offrire, per l’appunto, un mattoncino sonoro, che poi verrà valutato e verificato da chi vorrà ascoltarlo, sia in termini di qualità artistica, sia in quelli che riguardano la sua qualità tecnica di riproduzione.
Inoltre, come avrete già letto, il titolo dell’articolo o, per meglio dire, di questa “rubrica” (non vogliamo nemmeno definirla “Guida ideale”), avrà il solo obiettivo di introdurre il lettore a quanto andrà ad ascoltare, fornendogli unicamente dei ragguagli storici, delle curiosità, delle informazioni che gli permetteranno, così ci auguriamo, di apprezzare meglio le interpretazioni che gli verranno offerte di volta in volta.
Sulla base di ciò, abbiamo quindi pensato che il primo disco da allegare all’altrettanto primo numero della rivista potesse essere un titolo esemplificativo, un mirato assaggio di quanto grandi interpreti del passato, unitamente all’indubbia qualità tecnica delle loro registrazioni, furono in grado di esprimere con le loro letture ed esecuzioni di capolavori assoluti della musica orchestrale e sinfonica. Ecco, allora, che la scelta è caduta sul Vol. 2 Hi-Res Sampler dell’etichetta CBH Music, che presenta in formato liquido ad alta e ad altissima risoluzione titoli del passato che hanno fatto, questo sì, la storia del disco. D’altronde, basta dare un’occhiata agli interpreti che questo disco racchiude per comprendere che appartengono al gotha, all’olimpo della direzione orchestrale, ossia Herbert von Karajan con i Berliner Philharmoniker, Leopold Stokowski con la Houston Symphony Orchestra, Erich Leinsdorf con la Boston Symphony Orchestra, Antal Doráti con la London Symphony Orchestra, Kirill Kondrašin con la Moscow Philharmonic Orchestra, Hermann Scherchen con i Wiener Philharmoniker e Leonard Bernstein con la New York Philharmonic Orchestra, che presentano brani di opere immortali di autori quali Čajkovskij, Vivaldi, Mozart, Mahler, Bartók e Orff.
Vediamo, allora, di introdurre i nostri lettori, passo dopo passo, alle otto tracce che compongono questo Sampler di altissima qualità, il quale rappresenta anche un’opportunità per conoscere un’etichetta come la CBH, visto che questi brani provengono da altrettanti titoli che si possono acquistare direttamente dal sito web della label (https://www.cbh-music.com/). Cominciamo, seguendo l’ordine progressivo della tracklist, dalla prima traccia, che presenta il Finale dal fantasmagorico Concerto per orchestra di Béla Bartók, con la direzione di Antal Doráti alla testa della London Symphony Orchestra, in una registrazione avvenuta a Londra nel 1964 a cura della casa discografica Mercury e proveniente da un disc-to-reel (numero di catalogo della CBH 190 nel formato WAV 192/24).
Sapete che cosa contraddistingue i grandi direttori di origine ungherese, come nel caso di Doráti, ma potremmo includere anche Fritz Reiner, Ferenc Fricsay, István Kertész, Eugene Ormandy, Georg Solti, George Szell, Sándor Végh, tanto per citare i più famosi? La loro indubbia e straordinaria capacità di saper rendere orchestralmente il senso ritmico di una composizione, ossia il suo pulsare, come se la musica che stavano dirigendo fosse un muscolo cardiaco da saper mantenere al corretto battito vitale. Prova ne è proprio la lettura fatta da Antal Doráti, uno dei maggiori interpreti delle opere del grande, grandissimo compatriota Béla Bartók, del Concerto per orchestra, composto tra il 15 agosto e l’8 ottobre 1943 ed eseguito in prima assoluta a Boston il 1º dicembre dell’anno successivo da Sergej Kusevickij con la Boston Symphony Orchestra. In questa registrazione, abbiamo un perfetto esempio di come il Finale di questo Concerto per orchestra debba essere interpretato. Il Presto finale, introdotto da poche battute in tempo pesante con una specie di motto da parte dei corni, rappresenta un vertiginoso intreccio di danze popolaresche che si alternano brillantemente nel corso del movimento. Si noti, come subito dopo il declamatorio incipit dei corni, si scatena l’elettrizzante moto perpetuo di violini e viole, il cui andamento ritmico, per ottenere un risultato così coinvolgente e convincente, dev’essere disciplinato perfettamente; e lo stesso avviene nel proseguo del Finale, in cui le varie sezioni orchestrali dipanano la loro linea melodica, che dev’essere sempre sostenuta, pungolata, stabilizzata da un andamento agogico che non dev’essere mai falsato di una sola nota, con il rischio di compromettere tutto l’edificio sonoro, anche perché qui ci troviamo di fronte a un organico orchestrale dai numeri importanti, visto che prevede ben quattro strumenti per ogni categoria di legni, quattro corni, tre trombe, tre tromboni, basso tuba, due arpe, una sezione di percussioni decisamente nutrita (timpani, tamburo militare, grancassa, tam-tam, piatti, triangolo), oltre a un massiccio schieramento di archi.
Il secondo brano proviene dal catalogo della russa Melodiya, la quale a livello tecnico ha alternato delle ottime prese del suono ad altre terribilmente sciatte e indecorose. Con questa registrazione della Sinfonia n. 1 di Gustav Mahler, diretta da Kirill Kondrašin con la Moscow Philharmonic Orchestra nel 1969 e proveniente da un nastro a bobina da sette pollici (numero di catalogo CBH 191 nel formato DSD 128), la resa tecnica è complessivamente buona, anche se, come avveniva spesso con la casa discografica sovietica, la ricostruzione del palcoscenico sonoro è oltremodo ravvicinata (all’inizio del secondo tempo, qui presentato, il triangolo è praticamente a mezzo metro sulla destra dall’ascoltatore), e la gamma grave è decisamente generosa. Sia ben chiaro, come direttore Kondrašin non è da annoverare tra i sacerdoti del tempio consacrato a Mahler, ma in questa lettura dimostra di saper mantenere il sangue freddo attraverso un suono granitico, scolpito nel marmo michelangelesco. Ci troviamo di fronte a un tempo Kräftig bewegt, dock nicht zu schnell (ossia Vigorosamente mosso, ma non troppo veloce), con il tipico schema tripartito di uno Scherzo, in cui il senso ritmico e le innumerevoli sfumature musicali mutano continuamente, a cominciare dalla musica da taverna, espressa nel Trio centrale del movimento, con le sue carezze timbriche che fissano un malinconico valzer carico di ricordi d’infanzia. Certo, quella musica da valzer maldestra, come quella che veniva eseguita nelle locande boeme frequentate dal Mahler bambino, non sono restituite dal direttore russo con quella dolcezza carica anche di sottile ironia (quanto è difficile renderla con la musica di questo compositore!), ma la sua esecuzione, sostenuta dalla validità della compagine moscovita, permette di cogliere quelle linee essenziali, quel passaggio tra un presente oppressivo, dato dall’incedere ora conclamato, ora sfuggente, espresso dagli ottoni, e quel passato ormai irraggiungibile nel quale trovare conforto e rifugio.
E poi, Mozart con il suo Requiem, che qui viene eseguito in quella che considero una delle migliori versioni in disco mai registrate, grazie a quella meravigliosa bacchetta che fu il berlinese Hermann Scherchen, la cui missione interpretativa non fu relegata solo a beneficio delle opere di Bach e del repertorio del Novecento storico, a cominciare dall’amato e venerato Arnold Schönberg, ma capace di spaziare in largo e in lungo, coinvolgendo anche altri musicisti, proprio come Mozart. Questa registrazione fu fissata dai tecnici della Westminster tra il 13 e il 15 giugno 1958, con la presenza del soprano Sena Jurinac, del contralto Lucretia West, del tenore Hans Loeffler e del basso Frederick Guthrie, dei Wiener Philharmoniker e del Wiener Singverein e il Sampler presenta lo straordinario Confutatis (numero di catalogo CBH 193 nel formato DSD 64). A differenza di quanto fecero i tecnici della Melodiya, quelli della Westminster ricostruirono la compagine orchestrale e quella corale a una grande profondità, con il chiaro intento di simboleggiare un qualcosa che proveniva e che aveva a che fare con l’al di là, Ecco, allora, le voci maschili, rese con un magistrale effetto tellurico da parte di Scherchen, che si alternano in questo brano con quelle femminili, che al contrario sono dolcemente eteree, restituendo così una sorta di effetto manicheo, un confronto allegorico tra ciò che resta fisico, in balia del male, distinto da ciò che è invece ancora puro, metafisico, ossia regno del bene. E, infine, ottenendo un incantevole, magico risultato, quando alla fine del Confutatis, le voci maschili si uniscono a quelle femminili, dando vita a un mix, a una compenetrazione tra ciò che è qui e di ciò che è oltre, il tutto con un apporto strumentale dato dai Wiener Philharmoniker, in cui la sezione degli archi, soprattutto quelli gravi, scandisce inesorabilmente un incedere impietoso, martellante, quando intervengono le voci maschili, così come al contrario risulta soffice, come una nuvola sonora, nel momento in cui si dispiegano le voci femminili.
Certo, l’immagine di Leonard Bernstein che affronta e registra la partitura delle Quattro Stagioni di Vivaldi con gli archi della New York Philharmonic Orchestra farà inorridire i puristi delle esecuzioni filologiche, ma in questa incisione che risale al 1965, anche se la presa del suono avvenne nel 1963-64 ad opera di Fred Flaut della CBS (numero di catalogo CBH 200 nel formato WAV 96/24), con John Corigliano violino solista, Lenny dimostra, come sempre, di saperci fare. È sufficiente ascoltare il tempo Presto che conclude il concerto dell’Estate per rendersi conto di come il direttore, compositore e pianista statunitense, sebbene in chiave del tutto “afilologica” riesca a far tirare fuori dagli archi della sua compagine quella corretta tensione emotiva attraverso un timbro decisamente aggressivo, pungente, ritmicamente impeccabile. Semmai, a non essere propriamente a proprio agio nei panni di violino solista è John Corigliano, il quale per ventitré anni fu il Konzertmeister, ossia primo violino, della compagine newyorkese, in quanto si avverte come affronti con una velata titubanza i suoi interventi, così come i suoi attacchi non siano un modello di virtù stilistica, senza tener conto che il suono del suo violino non sia propriamente brillante, terso e, soprattutto, pulito.
Continuiamo con Vivaldi e con un altro direttore che non ha mai avuto un ottimo rapporto con la montante marea delle cosiddette interpretazioni storicamente informate, ossia Herbert von Karajan. Nel 1969, il grande interprete salisburghese confezionò per la Deutsche Grammophon un disco intitolato Baroque Festival (numero di catalogo CBH 201 nel formato WAV 192/24) presentando con i fedeli componenti della Berliner Philharmoniker pagine di Albinoni, Vivaldi, Pachelbel, Boccherini, Corelli e Bach. Del Prete rosso Karajan volle eseguire il Concerto in la minore RV 523 per due violini, archi e basso continuo, una scelta felice, in quanto questa pagina concertistica, pur non essendo tra le più celebri del compositore veneziano, è sicuramente tra le più riuscite ed efficaci, soprattutto grazie all’emozionante Largo centrale, durante il quale i due violini solisti dialogano esclusivamente con il basso continuo. A più di mezzo secolo di distanza, è ovvio che una lettura come quella proposta da Karajan non possa essere più considerata attendibile, ma è indubbio che la nobiltà, la solennità con le quali il leggendario direttore riesce a impregnare i tre tempi del Concerto riescono ancora ad affascinare. A livello di presa del suono, effettuata come spesso avvenne in quegli anni da Günter Hermanns, purtroppo ci troviamo alla fine della golden age delle registrazioni analogiche, con la presenza di quell’annosa “patina” (una perniciosa caratteristica che ha afflitto le prese di suono dell’etichetta gialla a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta) che va a velare la gamma dei registri (il registro grave degli archi tende persino a rimbombare, mentre quello acuto mostra a volte punte di saturazione) e a impedire la dovuta messa a fuoco degli strumenti, ma se volete avere una dimostrazione di come veniva eseguita la musica barocca prima dell’avvento della filologia interpretativa, questo disco può essere un’ottima soluzione.
Dal cuore del barocco veniamo poi catapultati in quello del Novecento storico, con una delle sue pagine più celebri, i Carmina Burana di Carl Orff, che fu naturalmente affrontata da quel volpone, votato alle interpretazioni pirotecniche, quale fu Leopold Stokowski. Il direttore inglese registrò il capolavoro del compositore tedesco nel 1959 per l’etichetta Capitol (numero di catalogo CBH 202 nel formato DSD 128) e nel Sampler in questione troviamo il brano iniziale e che è anche il più celebre (non per nulla, sia il mondo cinematografico, sia quello pubblicitario lo hanno saccheggiato a più non posso… ), vale a dire Fortuna Imperatrix Mundi. Un brano di grande impatto timbrico, che Stokowski, grazie all’ottima Houston Symphony Orchestra e, soprattutto, alla Houston Chorale, porta su un piano che è più simile all’effetto dato dal coro di una tragedia greca, con le voci che assumono le sembianze di un implacabile incedere come quello che è rappresentato dal fato. E poi, l’esplosione orchestrale (la presa del suono effettuata da Peter Berkowitz, alquanto ravvicinata, corrobora ulteriormente la lettura “effettistica” di Stokowski), dato dal colpo di piatti che dà fine alla funambolica galoppata timbrica scandita dai timpani. Per chi ama le registrazioni in “Cinemascope” sonoro!
Dal Mahler di Kondrašin passiamo a quello di un altro direttore “comprimario”, Erich Leinsdorf (sia ben chiaro, se definisco comprimario questo interprete austriaco naturalizzato americano, non è per il fatto che le sue letture siano state di modesta entità, ma semplicemente perché, sfortunatamente per lui, si trovò a operare in un’epoca nella quale i grandi e i grandissimi abbondarono a dismisura, senza contare che gli esiti migliori con la bacchetta li ottenne soprattutto in campo lirico… ). Eppure, la sua lettura della Sinfonia n. 5 di Mahler, effettuata nel 1963 alla testa della splendida Boston Symphony Orchestra per la RCA (numero di catalogo CBH 211 nel formato WAV 44.1/16), è degna di nota, in quanto questo capolavoro causa dei solenni grattacapi a chi la deve dirigere, poiché rappresenta un periglioso giro sulle montagne russe, nel senso che si passa da momenti di tale veemenza timbrica, che si riscontrano raramente in tutto il repertorio sinfonico, ad altri di paradisiaca e struggente tenerezza, mettendo continuamente sotto pressione sia la direzione, sia l’orchestra. Fortunatamente, nel Sampler della CBH non è stato inserito l’annoso e stucchevole (se non eseguito con la dovuta accortezza) Adagietto, bensì il secondo tempo, lo Stürmisch bewegt. Mit grösster Vehemenz (ossia, Tempestoso ed animato. Con la più grande veemenza), il cui incipit è interpretativamente assai impegnativo, visto che presenta un breve ostinato dei bassi seguito da un motivo agitato di scale ascendenti e discendenti, la cui enunciazione deve trasmettere un senso di ansia e di rappresa impotenza. Inoltre, dopo la presentazione dei due temi, il primo reso con i violini primi e il secondo che non è altro che la citazione quasi letterale del secondo episodio della Marcia funebre iniziale, che rappresenta il primo tempo della sinfonia, si raggiunge il cuore del movimento, con un passaggio in cui la dimensione angosciante e una spasmodica febbre raggiungono livelli timbricamente esplosivi.
Ebbene, Leinsdorf, con la preziosa complicità della compagine bostoniana (che all’epoca rientrava tra le cinque migliori orchestre al mondo), riesce a disciplinare e a convogliare un Klang sempre convincente, sorretto da un’intensa scarica emotiva (la febbre trasmessa dagli archi acuti è notevole per fattura e per pulizia), il che gli permette di giostrare adeguatamente nel pulsare agogico del movimento, restituendo un suono che è simbolo stesso di un’imbarcazione sballottata dalla forza e dalla violenza di un oceano in tempesta. Assai buona la presa del suono fatta da Lewis Layton, che mette in mostra una dinamica nucleare, oltre ad essere velocissima (il decadimento armonico degli ottoni, così sollecitati, è pressoché perfetto), una qualità tecnica che permette di apprezzare ulteriormente la prova esecutiva.
La tracklist si conclude con il ritorno di Lenny Bernstein, che esegue, sempre con i componenti della New York Philharmonic Orchestra, una delle pagine orchestrali più adatte per capire perché Pëtr Il’ič Čajkovskij sia considerato (giustamente) uno dei più grandi orchestratori della storia della musica. Il brano è il famosissimo 1812 Ouverture Solennelle in mi bemolle maggiore, op. 49, pezzo amatissimo anche dagli audiofili, che amano vedere schiantarsi le pareti della loro sala d’ascolto quando entrano in azione i colpi di cannone con i quali si conclude il brano… In effetti, ben pochi compositori hanno saputo restituire con altrettanta efficacia la descrizione di una battaglia, esaltando l’apporto delle varie sezioni orchestrali, in una continua esplosione (è proprio il caso di dirlo) di colori timbrici che investono la macchina strumentale è che raggiungono il culmine alla fine della pagina, quando nell’echeggiare delle note della Marsigliese francese, l’orchestra si lascia andare a un festoso dispiegamento sonoro, scandito dalla gioiosa presenza delle campane tubolari.
Ora, in questa registrazione, fatta dai tecnici della CBS nel 1962, nella quale furono incluse altre celeberrime pagine del musicista russo quali il Capriccio italiano, la Marcia slava e l’ouverture-fantasia Romeo e Giulietta (numero di catalogo CBH 226 nel formato WAV 44.1/16), e mi dispiace deludere i suddetti audiofili, Bernstein non volle utilizzare i colpi di cannone, evitando così di cadere nella possibile trappola che ogni direttore deve scansare allorquando dirige questa pagina, ossia non cedere alla retorica, visto che ci troviamo di fronte a una composizione di chiara matrice patriottica. Semmai, Lenny, e lo si può notare facilmente durante l’ascolto, si pone l’obiettivo di non calcare la mano sugli sbalzi timbrici, aumentando di conseguenza la dose “effettistica” del brano, ma evidenziando maggiormente la capacità descrittiva che Čajkovskij riesce magnificamente a rendere attraverso l’uso sapiente delle sezioni orchestrali, impastando e dividendo, aggiungendo e raschiando, dando una fuggevole pennellata a mo’ di schizzo, così come soffermandosi su alcuni particolari (si prenda a titolo di esempio, come il musicista, dopo la prima, trionfante declamazione dell’inno francese, riesce a smorzare la tensione emotiva attraverso un mirato passaggio dato dai violoncelli e dai contrabbassi, che addolciscono miracolosamente l’elettrificata atmosfera… ).
CBH-MUSIC DSD & Hi-Res
AUDIO SAMPLER VOL.2
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