Il secondo album, dal titolo The Blue Land, che il sassofonista transalpino Matthieu Bordenave ha registrato per la ECM Records, con il pianista tedesco Florian Weber, il contrabbassista svizzero Patrice Moret e il batterista inglese James Maddren, è all’insegna di una musica altamente introspettiva, enunciata in nome di una rotondità timbrica, capace di evocare sensazioni equamente offerte dai quattro artisti in nome di un fruttuoso dialogo foriero di maturità stilistica e qualità esecutiva

Dopo aver visto il suo debutto per la ECM Records con l’album La Traversée, registrato con il pianista tedesco Florian Weber e il contrabbassista svizzero Patrice Moret, il sassofonista francese Matthieu Bordenave, che dà del tu sia al sax tenore, sia a quello soprano, per incidere il suo nuovo lavoro discografico sempre per l’etichetta di Manfred Eicher, dal titolo The Blue Land, ha voluto coinvolgere (ottima scelta) il batterista londinese James Maddren. Ne è venuto fuori un disco che è indubbiamente un concentrato di raffinatezza, in quanto il credo del nostro sassofonista è votato a un suono morbido, alquanto arrotondato, e l’aggiunta di Maddren non ha fatto altro che accentuare questa predisposizione timbrica. Per avere una conferma di ciò, acuita dalla sagacia ritmica del batterista londinese, è sufficiente ascoltare la versione di Compassion, celebre brano composto da John Coltrane e pubblicato originariamente nel 1966 sullo LP Meditation. Le asperità, il tipico sound accarezzato contropelo ottenuto dal genio di Hamlet, viene addolcito, reso più lineare dal soffuso dialogo tra Bordenave e Maddren, permettendo di inserirlo tranquillamente nell’atmosfera quasi nebbiosa che permea l’intero The Blue Land.

Il leggendario John Coltrane, del quale Matthieu Bordenave ha voluto riproporre Compassion, un brano incluso nell’album Meditation, pubblicato nel 1966 dal sassofonista di Hamlet (© GettyImages).

Già, perché anche gli altri otto pezzi dell’album, tutti frutto della farina del sacco di Matthieu Bordenave, sono votati all’esaltazione di questa atmosfera vaporosa, tipica di un jazz europeo e, più marcatamente, di quello che nasce all’ombra della Tour Eiffel. Appare quasi lapalissiana l’affermazione che il sassofonista abbia voluto calcare maggiormente sul tasto della morbidezza, affiancando al sax tenore anche quello soprano, facendo sì che la potenza del primo si potesse stemperare con la grazia del secondo, in modo da far accomodare nell’assemblamento sonoro del quartetto una nota decisamente emozionante. Questa struttura, fatta di raffinatezza e morbidezza, viene ulteriormente ravvivata dalla sottilissima linea in cui si esprime la scrittura musicale data dalla partitura e dall’inevitabile necessità di voler esplorare i tipici territori dell’improvvisazione.

È proprio qui che subentrano la capacità e la sagacia interpretative degli altri musicisti, a cominciare da Florian Weber (lo si ascolti nel brano d’apertura, La porte entrouverte, come riesce con il suo incipit introduttivo a far calare l’ascoltatore nella dimensione magica e sognante dell’album, sebbene la sua linea sonora sia imbottita di continue dissonanze), capaci di seguire docilmente e autonomamente le sollecitazioni armoniche e melodiche di Bordenave, destreggiandosi tra ciò che è scritto nella partitura e ciò che dev’essere descritto con il cô improvvisativo.

Da parte sua, con la batteria James Maddren fornisce una prova superba nel brano, sicuramente il più “sperimentale” e audace, che dà il titolo al disco, andando ad esplorare lo spazio circostante tramite una continua modulazione timbrica data dai rullanti, senza mai però cessare il dialogo con Florian Weber e Patrice Moret, fornendo così un’ulteriore conferma che ci troviamo di fronte a un tipico esempio di jazz da camera infarcito da abbondanti dosi di post-swing, senza però cadere nella sterile trappola di una musica che viene offerta sull’altare del rilassamento, poiché questi nove brani non devono diventare motivo di svago distratto, ma necessitano di un attento ascolto, in modo da poterne comprendere i vari piani espressivi di cui sono intrisi. Ciò significa, prima di tutto, capire la riservatezza con la quale Bordenave espone i suoi ricami, che non sono mai invadenti o straripanti, ma sempre indirizzati a una forma di dialogo da imbastire con gli altri artisti, i quali, da parte loro, non approfittano mai di tale generosità espressiva, nemmeno nei loro assoli (ancora Weber nel trasognante incipit del brano Cyrus).

Un lavoro, dunque, altamente riflessivo, che suggerisce, che sprona a un ascolto introspettivo, calibrato in misura di ciò che risiede nell’immanenza di una ricezione che suggerisce sensazioni più che delle dichiarate emozioni, una musica che è soprattutto equilibrio non solo timbrico, ma soprattutto di prospettiva soggettiva (quella che viene offerta dalla sensibilità dei quattro interpreti) che si confronta con quella data dalla dimensione oggettiva (come accade nell’ultimo pezzo, Three Peaks, la cui composizione nasce dai ricordi di un’escursione fatta sulle montagne dei Pirenei).

Il marchio di fabbrica della ECM Records, per ciò che riguarda la presa del suono, è stato rappresentato da Gérard de Haro, che ha saputo confezionare un lavoro degno della tradizione dell’etichetta monacense. La dinamica è un concentrato di energia e di velocità, anche se la naturalezza del timbro, come spesso accade nella tipica filosofia di Eicher, è permeata da una patina di freddezza, come se si volesse porre un paletto spaziale tra emissione sonora e ascoltatore. Il palcoscenico sonoro ricostruisce molto bene il posizionamento dei quattro interpreti, andando ad aumentare la percezione di jazz da camera incarnato da questo disco, con una distribuzione spaziale capace di restituire profondità e ampiezza. Anche l’equilibrio tonale non tradisce le aspettative, con una debita messa a fuoco dei registri, i quali non sono mai sbilanciati e sovrapposti, ma riconoscibili anche nelle più tenui sfumature. Il dettaglio, infine, è un concentrato di sensazione materica espresso da ogni singolo strumento, scolpito nello spazio d’ascolto e circondato da dosi ragguardevoli di nero.

Andrea Bedetti

  • Matthieu Bordenave – The Blue Land

  • Matthieu Bordenave (sax tenore & sax soprano) – Florian Weber (pianoforte) – Patrice Moret (contrabbasso) – James Maddren (batteria)

Giudizio artistico 4/5

Giudizio tecnico 4/5

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