Un bel po’ di anni fa (ero ancora un ragazzo, quindi fate voi… ), in una sua celebre canzone Franco Battiato cantava testualmente «Mister Tamburino non ho voglia di scherzare/rimettiamoci la maglia/i tempi stanno per cambiare».
Da allora, di lustri ne sono passati tanti sotto i ponti, al punto che quei tempi alla fine sono effettivamente cambiati. E questo vale anche per il dorato mondo dell’Hi-Fi, poiché le vacche magre, se non anoressiche, hanno fatalmente preso il posto di quelle grasse e pasciute e se tale allegoria non vi ha fatto capire l’antifona, allora ve lo spiegherò a chiare lettere: i tempi in cui per gli apparecchi deputati all’ascolto dell’alta fedeltà si spendevano cifre folli sono finiti da un bel pezzo e anche chi si avvicina a questo settore commerciale è stato costretto a stringere la cinghia fino all’ultimo buco disponibile o, addirittura, ad aggiungerne un altro ancora più stretto. Ma se i soldi per acquistare i componenti per creare un’adeguata catena d’ascolto non ci sono, almeno non così tanti come quelli che popolano i nostri sogni e i nostri desideri, vuol forse dire che non è più possibile, tranne che per pochi fortunati, aspirare ad ascoltare la musica in modo quantomeno decente?
Calma, gente di poca fede, perché se anche Mister Tamburino ha capito, dopo essersi rimesso la canottiera della salute, che il mondo non è più quello di prima, ciò non vuol dire che dalle attuali vacche scheletriche non si possa trarre ancora qualche vantaggio, perfino per ciò che riguarda il mondo dell’High-Fidelity, ossia, detto in soldoni (per l’appunto), che grazie ad alcuni produttori e aziende del settore a dir poco lungimiranti sia ancora possibile aderire al culto del dio ascolto consapevole e veritiero senza per questo dissanguare le nostre misere finanze. Basta rispettare una regolina semplice semplice, ma spesso, ahimè, disattesa e messa mestamente da parte, quella che recita papale papale: “Basta saper scegliere”. E oggi, saper scegliere significa fondamentalmente essere capaci di valutare correttamente il rapporto prezzo/qualità, quello che fino all’avvento dello stramaledetto euro permetteva a molti di prenderlo e cestinarlo senza ritegno, per consacrarsi all’idolo malvagio e perverso secondo il quale più un componente Hi-Fi costa, più è qualitativamente valido (e se siete ancora convinti di questo ignominioso concetto, allora tanto vale che non proseguite la lettura di questo articolo… ). Ma coloro che al contrario appartengono alla gloriosa crociata che si batte a favore di una qualità abbinata a un prezzo più che decente o, addirittura, ridicolo, faranno bene a continuare a leggere quanto sto scrivendo, per il semplice fatto che il poco latte munto da una vacca scheletrica in questione sarà più che sufficiente per entrare in possesso di un autentico gioiellino che intendo illustrare: l’amplificatore per cuffie Ahleluja in pura Classe A, prodotto dalla veneta Peter & Son-Level di Pier Giorgio Levorato.
L’amplificatore per cuffie Ahleluja
Prima di addentrarmi sulle caratteristiche tecniche e, soprattutto, di restituzione del suono che questo amplificatore riesce a esprimere, vorrei concentrarmi sulle sue misure e sul suo peso. D’accordo, stiamo parlando di un amplificatore per cuffie, ma pur sempre un amplificatore e come tale, siccome mi è capitato di avere a che fare con appassionati (?) che calcolano la qualità di un ascolto anche dal peso di un componente, neanche fossimo ai mercati generali all’ingrosso, non posso fare a meno di concordare in tutto e per tutto con quanto ha affermato lo stesso Levorato in sede di presentazione dei suoi prodotti Level, vale a dire che si deve ascoltare sulla base di quello che c’è dentro un apparecchio e non su quanto lo riveste, poiché è inevitabile che sul prezzo di un componente vada a incidere anche la sua livrea, quindi puntando sul risparmio riguardante il lato per così dire estetico, a tutto vantaggio del materiale che serve invece a far ascoltare in modo adeguato. Ciò non vuol dire che non abbiamo a che fare con un amplificatore che non sia gradevole anche solo da guardare, anzi, ma per nostra fortuna la sua “gradevolezza” si concentra all’interno dello chassis. E, sempre a proposito di misure, è indubbio che quelle con le quali si presenta l’amp Ahleluja riceverebbero il plauso dei Puffi, poiché stiamo parlando di un componente che, grazie ai suoi ventisei centimetri di lunghezza, agli otto di altezza e ai diciassette di profondità, può essere sistemato ovunque, anche nel salottino della bambola Barbie.
Ma il fascino di questo apparecchio sta proprio nel fatto che da tali misure e da tale peso si possa sprigionare un suono che è davvero ragguardevole (sì, lo so, state già salivando, ma il prezzo ve lo scrivo solo alla fine… ). Ora, qualche informazione di ambito tecnico; questo amplificatore della Level utilizza un circuito proprietario in Pura Classe “A”, utilizzando un sofisticato volume a relè. Inoltre, è predisposto per funzionare contemporaneamente con cuffie tra loro di differente impedenza, garantendone l’allineamento dei volumi d’ascolto grazie all’apposito controllo gain presente sul pannello posteriore.
Una volta estratto dalla solida e resistente scatola in cartone imbottita di polistirene espanso sagomato sulle dimensioni dell’amplificatore, in modo da poterlo proteggere efficacemente contro possibili urti, l’Ahleluja si presenta con la sua essenziale livrea rappresentata da un pannello anteriore il cui design ricorda quello della scuola scandinava, dotato unicamente da due uscite per jack stereo da 6,3 mm., il primo dei quali, ossia quello di sinistra, è appunto predisposto per permettere l’ascolto con cuffie a bassa o alta impedenza mediante il potenziometro che si trova sul pannello posteriore. Vi è poi un led, posto in mezzo al logo della A, al centro del pannello, che si attiva, quando, dopo aver collegato il cavo di alimentazione nella vaschetta IEC, si preme il piccolo tasto di accensione posto nella parte inferiore dello chassis. Da quel momento, si può utilizzare l’amplificatore mediante il telecomando, a cominciare dal controllo del volume principale.
Anche il pannello posteriore è dotato di ingressi e uscite essenziali, a cominciare dal trigger input e da quello output, con il primo sfruttabile attraverso un cavetto jack da 3,5 mm., che serve per accendere l’amplificatore da remoto con il segnale proveniente dall’uscita trigger output di un altro apparecchio della serie Level Mini, mentre il secondo, sempre collegabile con un cavetto jack da 3,5 mm., può essere usato ovviamente per accendere da remoto un altro apparecchio della stessa serie Level. Ci sono poi gli ingressi RCA dai quali può essere collegata la sorgente audio, rappresentata da un DAC, da un lettore digitale o da altro e, infine, la già citata manopola che regola il livello di uscita della presa cuffia frontale di sinistra (si noti che quando la manopola è al massimo, il livello di uscita è uguale a quello della presa cuffia di destra).
A questo punto, prima di passare al test di ascolto, posso fornirvi un paio di consigli per sfruttare al meglio questo gioiellino; proprio per esaltare al massimo le sue caratteristiche e le sue potenzialità audio, la prima cosa da fare è di collegarlo a un cavo di alimentazione adeguato, ossia di ottima qualità, anche se il suo consumo di corrente elettrica, come specificato nel libretto d’istruzioni accluso, è davvero irrisorio, ma ciò che conta è che tale flusso di corrente arrivi in modo congruo e possibilmente scevro da sporcizia e schifezze varie (per questo non mi stancherò mai di spiegare che qualunque punto di origine dal quale proviene l’energia elettrica con la quale alimentare i nostri impianti deve fare capo a una linea appositamente dedicata, quindi non condivisa con famigerati elettrodomestici, soprattutto lavatrici, lavastoviglie e frigoriferi, che possono causare alterazioni tali da compromettere la qualità dell’ascolto; a tale proposito, personalmente non solo ho una linea dedicata per il mio impianto di ascolto principale, ma l’ho adottata anche per quello da scrivania per l’ascolto da cuffia, in modo da sfruttare al meglio ogni singolo componente).
Altro consiglio: anche se l’amplificatore Ahleluja è dotato di quattro spessi piedini in gomma dura, io cerco sempre di limitare al massimo il deleterio effetto causato da un altro nemico dichiarato per ogni audiofilo che si rispetti, quello delle risonanze indotte (provocate dalle vibrazioni) che non sono presenti solo nei diffusori o nei lettori analogici, ma anche naturalmente in ogni apparecchio che viene attraversato dalla corrente elettrica, così come nei cavi di segnale e di potenza a causa del segnale audio, e che può essere particolarmente fastidioso quando si effettua un ascolto in cuffia. Quindi, il mio consiglio, indirizzato soprattutto a favore di coloro che sono all’inizio della loro avventura audiofila, è quello di indirizzarsi verso accessori che portino a un processo di disaccoppiamento, in modo da limitare tale fenomeno (N.d.A. riguardo questa problematica, mi rendo perfettamente conto di aver sollevato un polverone tra coloro che sono a favore di tale soluzione e tra quelli, invece, che non ne vogliono nemmeno sentire parlare: da parte mia, dopo aver adottato dei disaccoppiatori su ogni mio componente che forma la catena di ascolto per cuffia, a partire dal PC lettore, del preamplificatore e dei due amplificatori, uno per cuffie a bassa impedenza, e l’altro per quelle ad alta impedenza, di benefici ne ho indubbiamente avuti… ).
La prova d’ascolto
Bene, è tempo di svelare i risultati del test di ascolto, che ho effettuato utilizzando alcuni brani di musica liquida, collegando l’amplificatore Ahleluja esclusivamente al lettore PC (con Windows 11) e utilizzando come player un validissimo e spartano software russo, Album Player, per ciò che riguarda le tracce audio in DSD, e Foobar2000 per quanto riguarda quelle in formato WAV. Dopo aver fatto preriscaldare l’apparecchio per una quindicina di minuti (cosa sempre consigliabile da fare), per prima cosa ho ascoltato dei files DSD 128 dell’etichetta CBH Music riguardanti l’integrale in via di pubblicazione delle Sinfonie beethoveniane fatta all’inizio degli anni Sessanta da René Leibowitz con la Royal Philharmonic Orchestra, per la precisione brani della Seconda e della Settima, utilizzando come cuffia la validissima Meze 99 Classics, che nel rapporto qualità/prezzo nel variegato mondo delle cuffie a bassa impedenza rappresenta uno dei must per via della pulizia di suono che riesce a riprodurre. Di questa integrale possiedo il cofanetto di dischi in vinile (dolce ricordo della mia perduta giovinezza) e quindi ne conosco il suo DNA in fatto di riproduzione sonora, ma quando ho iniziato l’ascolto del primo tempo della Seconda sinfonia mi si è aperto un nuovo mondo. Va bene, è ovvio che la pulizia timbrica fornita dal DSD 128 rappresenta un bel passo in avanti, ma è indubbio che l’Ahleluja ci stava mettendo MOLTO di suo. Prima di tutto, mi ha colpito l’immagine spaziale che questo amplificatore riusciva a trasmettere alle Meze 99, sia in fatto di profondità, sia di ampiezza, permettendo di essere presenti fisicamente sulla scena dell’evento sonoro. Sapete che cosa voglio dire: un conto è ascoltare un brano musicale, un altro è esservi compartecipi, ossia coinvolti a tal punto da provare una sensazione fisica dell’evento che si sta affrontando con l’udito. E poi l’energia e la velocità, in fatto di dinamica, che l’Ahleluja ha dimostrato di possedere quando, nel passaggio dal pp dell’Adagio introduttivo al fff dell’Allegro da parte dell’orchestra, ha schiacciato il pedale dell’acceleratore, dandomi modo di tuffarmi nel vortice della sezione degli archi, mentre i fiati e gli ottoni mi tenevano avvinghiato al coppino con il loro timbro implacabile, preciso in fatto di decadimento degli armonici, un decadimento capace di trasmettere la loro disarmante naturalezza.
A quel punto, ho rimesso a posto la mascella che nel frattempo si era alquanto abbassata per via dello stupore subito, e memore della velocità, a livello di frustata, che l’orchestra enuncia all’incipit del primo tempo della Settima sinfonia, mi sono subito immerso nel suo ascolto. Ebbene, il nostro amplificatore ha saputo trasmettermi la sensazione di trasformare quei due fatidici attacchi in un vellutato gatto a nove code che andava a solleticare con una dura dolcezza le mie orecchie. Il passaggio al misterioso e abissale Allegretto mi ha dato modo di apprezzare al meglio la timbrica della sezione degli archi, con il mesto tema espresso dai violini e dalle viole, accolto misericordiosamente dal severo incedere dei violoncelli e dei contrabbassi. D’accordo, Leibowitz non è Carlos Kleiber, ma in fatto di pathos gli si avvicina di molto e il momento in cui irrompono i timpani, a scandire la separazione della vita dalla morte, è paragonabile a quando la signora con la falce in mano viene a bussare alla porta del prescelto. Colpi che l’amplificatore ha restituito implacabilmente, con un concentrato di velocità e di energia che decadevano SUBITO, senza aleggiare fastidiosamente nell’aria. La setosità dei violini che si è alzata nel frangente contrappuntistico mi ha dato l’impressione di una passeggiata fatta su una vaporosa nuvola che si distendeva davanti a me, mentre, sempre, l’ampiezza e la profondità del palcoscenico sonoro mi permettevano di voltare le pagine del leggio, di volta in volta, agli archi, ai fiati e agli ottoni…
Messo da parte lo splendido Beethoven di Leibowitz e della compagine londinese (a proposito, vi consiglio di accaparrarvi le tracce in DSD 128 sul sito della CBH Music… ) e aver testato la dinamica e la ricostruzione dell’evento sonoro da parte dell’Ahleluja, mi sono concentrato, tramite le leggendarie Sennheiser HD 650 (quindi cuffie ad alta impedenza), sulle tracce WAV di una registrazione jazz della ECM Records che è mia intenzione nei prossimi giorni recensire proprio per Grooveback Zone (quindi, stay tune… ), per la precisione The Blue Land, con la partecipazione di quattro artisti, Matthieu Bordenave al sax tenore e soprano, Florian Weber al pianoforte, Patrice Moret al contrabbasso e James Maddren alla batteria. Tale scelta, basandomi sulla precisa filosofia di presa del suono di Manfred Eicher, rispettata dal tecnico di turno Gérard de Haro, è stata fatta per rendermi conto come venivano riprodotti dall’amplificatore l’equilibrio tonale e il dettaglio. Mi sono concentrato sulla terza traccia, la riproposizione di un celebre brano di John Coltrane, Compassion, in cui sono presenti i quattro strumenti, per sincerarmi che l’amplificatore non fallisse nemmeno di fronte a tali parametri. Bene, missione compiuta! In fatto di equilibrio tonale, la riproposizione dei registri ha permesso di individuarli con una sovrana pulizia timbrica (la resa certosina della microfonatura ha dato modo di assaporare l’insufflare dell’aria nel sax) e di come tutti fossero perfettamente riconoscibili nel loro dispiegarsi, senza che uno predominasse sugli altri, mentre nel brano Refraction le spazzole restituivano magnificamente la magia di un suono che accarezzava ritmicamente sui piatti. E poi la matericità della presenza “carnale”, che quando viene restituita da una registrazione con i fiocchi e da un hardware come Cristo comanda, può essere reso in modo esemplare anche con un ascolto in cuffia. Tutto il nero di una notte profonda è stato trasmesso dall’Ahleluja con una tattilità sovrana, veramente notevole, senza mai avvertire (e in cuffia, purtroppo, può capitare maggiormente rispetto che con i diffusori) l’insorgere di un fastidio dato dall’esperienza d’ascolto, in quanto la capacità di questo amplificatore di restituire il dispiegarsi sonoro è anche di farlo in modo tale da non risultare mai aggressivo, pur gettando palate di energia e di velocità a profusione.
Conclusioni
Confido, a questo punto, di avervi fatto salivare a sufficienza, e quindi sia giunto il momento di svelare il costo di questo autentico gioiellino, del quale, lo ammetto senza remore e vergogna, mi sono ben presto innamorato. Tenuto conto del risultato di ascolto, della pregevolezza dei suoi componenti (ricordo ancora una volta che è in pura Classe A) e della sua duttilità per essere implementato facilmente in una catena d’ascolto (magari con gli altri componenti della serie Level Mini), mi chiedo che margine di guadagno possa avere Pier Giorgio Levorato, se tale meraviglia audiofila viene proposta a un prezzo di € 399,00 + IVA. Sì, avete letto bene, aggiungendoci anche l’implacabile imposizione fiscale, non raggiungiamo nemmeno i cinquecento euro. Senza fare i nomi dei due amplificatori di riferimento che usualmente adotto, posso dire solo che entrambi costano più di quattro volte l’Ahleluja, eppure i risultati di ascolto sono stati praticamente uguali. Questo significa che abbiamo a che fare con un apparecchio che non solo rientra pienamente nell’olimpo audiofilo, ma lo fa con un prezzo, rispetto alle sue prestazioni, da autentica barzelletta. Di fronte a ciò, questo vuol dire che se un neofita, che si avvicina al mondo dell’ascolto di qualità nel versante cuffia, trova in questo amplificatore il suo approdo ideale, a patto che lo accoppi con delle signore cuffie, che siano ad alta o bassa impedenza, come canterebbe il Duca di Mantova, “questa o quella per me pari sono”, un audiofilo incallito, che vuole allargare il suo “parco macchine”, resterà incantato dalle sue caratteristiche e si chiederà, dall’alto della sua esperienza, quando gli toccherà mettere mano al portafoglio, come cazzo facciano a costare così poco…
Produttore: Peter & Son
Linea: Level
Scheda tecnica:
- Tensione alimentazione: 100-220v / 50-60hz
- Ingressi: 1 stereo
- Uscita 1: jack stereo 6,3 mm.
- Uscita 2: jack stereo con livello variabile tramite potenziometro sul pannello posteriore
- Potenza uscita max : 750mW/32 ohm @ 1% THD
- Guadagno in tensione : 20dB
- THD : 0.0047%
- SNR : 110dB
- Controllo volume a 64 steps a resistenze commutate
- Trigger in + out
- Telecomando infrarossi
- Dimensioni: mm. 259x79x167 (LxAxP)
- Peso netto: Kg. 1,35
Correlati
Iscriviti alla nostra newsletter per rimanere sempre aggiornato.