L’ascolto di questo finale della Esoteric Pro Audio permetterà a coloro che diffidano ancora della classe D di apprezzare come ormai queste amplificazioni in switching siano perfettamente performanti e possano rappresentare un’ottima soluzione alternativa a quelle in classe A, con il vantaggio di non disperdere masse di calore, letali soprattutto durante gli ascolti in estate, e di vantare dimensioni e pesi ridotti
Prima di affrontare il prodotto in questione, l’amplificatore Mini Caravaggio della Esoteric Pro Audio, avrete sicuramente la bontà di lasciarmi fare una riflessione che riguarda come sia cambiato il mondo dell’alta fedeltà negli ultimi vent’anni, sia a causa di determinati fenomeni esterni, sia a causa di precisi fenomeni interni. Quando esattamente vent’anni fa ho cominciato a dare vita al mio attuale impianto audio, ho dovuto fare una prima scelta, affidandomi a un’amplificazione a stato solido, a scapito di quello valvolare, indirizzandomi su un impianto multiamplificato a quattro vie, dotato di altrettanti finali di potenza, tutti rigorosamente in classe A, e di un preamplificatore disposto su due telai, oltre ad avere ovviamente un crossover attivo con taglio sotto i 40 Hz. Questo impianto, che sfiora adesso i sette quintali di peso e che ogni volta che ho dovuto traslocare, esattamente in tre circostanze, mi ha provocato discussioni con le ditte di trasloco le quali, vista la sua entità, volevano applicare un sovrapprezzo per poterlo trasportare, quando è pronto per l’ascolto, previo un debito riscaldamento per portare a regime i mosfet, mi permette durante la fase invernale di lasciare la caldaia spenta, poiché il calore che emanano i quattro finali di potenza rende superfluo il consumo di gas.
Il rovescio della medaglia, però, è dato quando irrompe la stagione estiva e se fino a qualche anno fa, l’ascolto che facevo da giugno fino ai primi giorni di settembre poteva essere comprensibilmente un po’ faticoso per via delle temperature raggiunte, da quando l’anticiclone africano ha spodestato quello delle Azzorre, portando simpaticamente (si fa per dire) a toccare oltre 40º, per me accendere questo impianto è diventato praticamente impossibile, visto che nelle giornate meno calde (si fa sempre per dire), con i finali/stufe in attività ho visto arrivare il termometro che ho nella sala d’ascolto superare allegramente i 38º. A simili temperature, l’ascolto si trasforma in una sauna che richiede l’implementazione di canaline di scolo nelle quali far defluire il sudore di chi si trova malauguratamente nella sala che ospita tale impianto. Ergo, se avessi saputo, ma il senno è sempre del poi e mai del prima, non avrei mai fatto tale scelta a causa della quale adesso, tra maggio e settembre, sono costretto ad affidarmi ad ascolti quasi esclusivi con la cuffia, grazie a un secondo impianto ibrido/valvolare che nel frattempo ho allestito e che, pur dispensando anch’esso calore, quantomeno mi permette non solo di ascoltare, ma anche di sopravvivere. E questo rappresenta il fenomeno esterno.
Quello interno, ossia che appartiene al mondo dell’Hi-Fi, riguarda l’amplificazione in classe D. All’epoca della mia decisione di diventare un adepto della classe A, già cominciavano a prendere piede i primi modelli di amplificatori in classe D ma, tenuto conto della loro progettazione e della loro realizzazione, delle scatolette plasticose con risultati all’ascolto da fare venire il latte alle ginocchia, ovviamente io e altri come me, tutti dotati di placche dorate con la scritta Hi-End ostentate spavaldamente sui baveri delle giacche, ci davamo di gomito ridacchiando al pensiero di questi cubottoli indecorosi che cercavano di farsi pietosamente strada nell’olimpo della riproduzione musicale. Ebbene, anche qui come sopra, dopo circa quattro lustri le cose sono cambiate. E di molto. Sì, perché, nel frattempo, l’amplificazione in classe D di passi in avanti ne ha fatti eccome e il gap abissale che esisteva prima e che rappresentava un solco invalicabile nei confronti della classe A è di fatto (quasi) annullato. Senza contare, poi, e qui mi rifaccio al pistolotto iniziale sugli effetti di quello stramaledetto anticiclone africano, Caronte o come diavolo si chiama, la classe D, oltre a vantare ora sistemi di amplificazione progettati e realizzati come Cristo comanda, ha un ulteriore merito, quello di non scaldare come una stufa di ghisa!
Quindi, quando ho ricevuto questo amplificatore Mini Caravaggio, sapendo che si tratta di un apparecchio in classe D, progettato da uno che se ne intende e che ha saputo affinare nel corso degli anni miglioramenti su miglioramenti relativi a questo tipo di categoria, ossia Mirko Marogna, che ha la sua azienda in quel di Villafranca di Verona, non ho potuto fare altro che manifestare tutta la mia curiosità e tutto il mio interesse nei confronti di questo prodotto che, per inciso, porta il nome di uno dei massimi pittori e scultori di tutti i tempi. Quindi, mi sono detto, un pur minimo motivo per meritare tale denominazione ci sarà!
Il prodotto
Il Mini Caravaggio discende direttamente dal fratello maggiore Caravaggio Hybrid Amplifer, questo amplificatore in classe D colpisce immediatamente per due motivi: il primo è dato dal peso, pesante se riferito alla classe alla quale appartiene, leggero se si considera che stiamo parlando di un finale di potenza, ossia poco più di nove chili; il secondo, riguarda le sue dimensioni, ventiquattro centimetri di larghezza, trentacinque di profondità e appena dodici di altezza, quindi può essere posizionato ovunque con la massima facilità (altro punto a suo vantaggio!). Come spiega la stessa presentazione sulla pagina web del sito della Esoteric Pro Audio, il Caravaggio Hybrid Amplifier esiste in due versioni, quello stereo, da 700 W per canale su 4 Ohm, e quello dual mono da 1400 W su 8 Ohm. Oltre ad avere la circuitazione proprietaria in classe D, si è prestata la massima cura della masterizzazione delle schede, in modo da renderlo estremamente performante e silenzioso. L’amplificatore è alimentato da tre alimentatori, uno switching per la potenza e gli altri due ultra lineari per le basse tensioni dedicate ai buffer (da qui la denominazione Hybrid), con tutte le schede a bordo che vantano la caratteristica di avere le piste dorate su tutti gli strati. La parte di alimentazione ultra lineare monta trasformatori dedicati per ogni tensione realizzati su specifiche dell’azienda, mentre una particolare cura è stata prestata alla scelta dei condensatori per il filtraggio dell’alimentazione switching, fondamentali per l’impostazione timbrica dell’apparecchio e per la capacità di riprodurre i transienti in tutta la loro ampiezza. Il cablaggio interno è fatto a mano, utilizzando rame monocristallino purissimo isolato in teflon, in modo da non avere perdite nei trasporti di correnti e dei segnali. Altrettanta attenzione è stata riservata al telaio che è costruito con tre differenti materiali, grafite, alluminio e acciaio inox, tutti smorzati con materiale antivibrante, per poter controllare le vibrazioni e di conseguenza limitare le colorazioni artificiali affinché il suono si percepisca neutro, preciso e ricco di armoniche naturali.
Definire le linee del Caravaggio a dir poco essenziali significa ancora inneggiare al dio degli orpelli, poiché nel pannello anteriore, oltre alla dicitura dell’azienda, vi è solo un piccolissimo led che, quando l’apparecchio si accende, diviene di colore verde. La parte superiore del telaio è rivestita da un pannello di acciaio inox, mentre il pannello posteriore, sempre in nome di “ciò-che-non-è-essenziale-è-solo-inutile”, presenta solo un’ottima vaschetta IEC con accanto l’interruttore di accensione e spegnimento, oltre agli ingressi bilanciati e ai connettori, solidi e per progettati, da collegare ai cavi di potenza. Tutto qui.
Il Mini Caravaggio in test si differenzia dal fratello maggiore nella parte di alimentazione, completamente switching, mentre la parte di amplificazione rimane identica e monta piedini in gomma, al posto di quelli in grafite, che hanno il compito di stabilizzare il finale e di assorbire possibili vibrazioni indotte, anche se io preferisco andare sul sicuro inserendo, prima di ogni seduta di ascolto, un set di buoni disaccoppiatori.
Collegato il Mini Caravaggio al mio pre di riferimento e ai diffusori, ho acceso l’apparecchio e dopo pochi minuti ho dato inizio al test di ascolto. Ecco come è andata.
La prova di ascolto
Ho effettuato un test di ascolto sia con dei CD, sia con dei vinili e, infine, con brani di musica liquida. Ci sono due aspetti che voglio subito evidenziare, sulla base di un ascolto prolungato, in totale più di cinque ore, fatto nella mia sala d’ascolto in una calda, anzi caldissima giornata della prima, torrida metà di agosto. Il primo è che se sono uscito vivo da tale prova è per il fatto che il lavoro di amplificazione è stato fatto da un apparecchio di classe D, perché se avessi dovuto basarmi sui quattro finali di potenza in classe A che ho in dotazione, a scrivervi sarebbe ora il mio ectoplasma e non il sottoscritto. Questo significa che il Mini Caravaggio ha svolto impeccabilmente il suo compito, senza trasformare ulteriormente la sala in un altoforno delle acciaierie Krupp, ma risultando solo tiepido (!) alla fine di quelle cinque ore. Il secondo aspetto riguarda, sempre alla fine del test di ascolto, l’assenza assoluta di fatica di ascolto, grazie alla neutralità di suono che l’amplificatore in questione ha saputo evidenziare sia nella fase di riproduzione digitale, sia in quella analogica. E questo, se permettete, significa già molto. Ma andiamo avanti.
Ho voluto iniziare con un vinile che coniugasse la presenza delle voci con quelle degli strumenti musicali; per questo, ho optato per un disco della leggendaria etichetta Archiv, con una meravigliosa interpretazione filologica dell’Orfeo di Claudio Monteverdi, diretto Jürgen Jürgens alla testa della Camerata Accademica Hamburg e di cantanti come Nigel Rogers, Emilia Petrescu e Anna Reynolds, in una registrazione del 1974, che conosco ormai in ogni minimo dettaglio e che centellino nell’ascolto, in quanto questa copia mi accompagna fin dai tempi del liceo! Nel terzo atto, l’aria corale Nulla impresa per uom viene preceduta dal richiamo della Sinfonia con la quale si apre l’atto in questione rappresenta un momento solenne, in cui il coro intona il canto in stile polifonico, con l’accompagnamento orchestrale relegato in sottofondo. Il nitore del canto che si alza con le voci maschili e femminili viene reso con un ottimo dettaglio e con una notevole ricostruzione del palcoscenico sonoro da parte del Mini Caravaggio e colpisce la pulizia del timbro che aumenta, di conseguenza, il piano di distinzione tra le voci e il loro intersecarsi, mentre, in secondo piano, gli strumenti musicali non perdono il loro scontorno, ma risultano essere fissati spazialmente in modo assai preciso. Restringendo poi l’ascolto a un LP esclusivamente strumentale, ero molto curioso di ascoltare come questo finale di potenza in classe D riuscisse a restituire i quartetti per archi di Béla Bartók nella lettura fatta dal prestigioso Julliard String Quartet in una registrazione, non certo audiofila, della CBS a metà degli anni Ottanta.
Ho voluto di proposito ascoltare un’incisione che vantasse una presa del suono non eccelsa proprio per rendermi conto di come il Mini Caravaggio se la cavasse nel restituire una tessitura basata sul registro acuto e sovracuto che si dipana nel Lento del Quartetto n. 1. Anche qui, il prodotto della Esoteric Pro Audio ha mostrato di che pasta è fatto, in quanto la linea lancinante data dal primo e dal secondo violino è stata riproposta con la dovuta correttezza e, soprattutto, permettendomi di distinguere i due strumenti, senza che il loro registro si sovrapponesse, offrendo così un timbro indistinto. Altrettanto buono è stato il dettaglio, che ha permesso, ad onta della cattura non proprio ottimale, di avvertire come il legno degli strumenti potesse essere coinvolto nella restituzione degli armonici, aumentando così la fase di coinvolgimento.
Dal vinile al CD; anche qui ho voluto valutare la reazione dell’amplificatore in classe D di fronte a un’opera lirica, stavolta fissata in un’ottima presa del suono, quella della EMI, nella collana Great Recordings of the Century, con il primo capolavoro di Richard Wagner, ossia Der fliegende Holländer, nella leggendaria direzione di Otto Klemperer alla guida della New Philharmonia Orchestra e con un cast di voci tra le quali primeggiano quelle dei due protagonisti, ossia Theo Adam nei panni dell’Olandese e Anja Silja in quelli di Senta, registrata nel 1968 negli studi di Abbey Road. Certo, ma questo era tipico dell’epoca, il timbro è oltremodo potente, energico, anche per via di una microfonatura che a volte può risultare assai ravvicinata, ma che permette all’ascoltatore di stare, come si suol dire, “sul pezzo”, vale a dire immerso nella scena, con i cantanti, il coro e l’orchestra proiettati in avanti all’interno del palcoscenico sonoro. La capacità del Mini Caravaggio è stata quella di restituire un filo di trasparenza in più rispetto alla densità timbrica che contraddistingue questa incisione (io non possiedo la versione originale su LP, ma chi la ha, mi ha garantito che la versione analogica vanta una maggiore pulizia e uno scontorno più evidenziato, capace di esaltare ulteriormente questo tipo di ascolto “immersivo”). Ma, come già anticipato, il nostro amplificatore, sebbene di poco, riesce in questo intento, ossia di far “respirare” meglio sia la voce dei cantanti, sia il timbro orchestrale, soprattutto quello della sezione degli archi, il quale risulta essere un po’ più convincente nel restituire la caratteristica setosità.
Un CD al quale, in termini artistici e tecnici, tengo molto è quello dell’etichetta discografica Onyx, con un trittico orchestrale formato da Belkis. Regina di Sheba di Respighi, Le metamorfosi sinfoniche su un tema di Weber di Hindemith e La tragedia di Salomè di Schmitt, con Sascha Goetzel che dirige la Borusan Istanbul Philharmonic Orchestra; tre quadri sinfonici di grande impatto timbrico, a cominciare dalla pagina respighiana, resa assai bene dalla compagine turca, la quale vanta, per ovvi motivi richiesti dalla partitura, una sezione di ottoni ed una di percussioni particolarmente nutrite e agguerrite. La restituzione dei corni (ben cinque!), delle trombe, dei tromboni, della tuba, così come dei timpani e delle altre percussioni, da parte del finale in classe D, non tradisce le attese, con un colore timbrico che non risulta alterato o scorretto, oltre ad essere posizionati, per ciò che riguarda il palcoscenico sonoro, in modo veritiero nella disposizione orchestrale. Inoltre, è apprezzabile il senso di profondità che il Mini Caravaggio riesce a offrire nella sala d’ascolto, permettendo di sprigionare un maggior realismo spaziale della registrazione.
Per quanto riguarda la musica liquida, facendo affidamento sull’ottimo catalogo della CBH Music (www.cbh-music.com), ho scelto un performante formato a 192 kHz/24 bit della fantasmagorica lettura che il grande Dimitri Mitropoulos fece della Sinfonia fantastica di Berlioz, alla testa della mastodontica New York Philharmonic Orchestra, il 24 febbraio 1957 alla Carnegie Hall newyorkese. Di fronte a una sinfonia così colossale, con un impiego incalzante di tutte le sue sezioni, il Mini Caravaggio non è andato in panico, ma da solerte vigile audio ha saputo smistare perfettamente il traffico sonoro, degno delle peggiori ore di punta! Mi ha colpito, ancora una volta, la sua capacità di ricostruzione del palcoscenico sonoro (e, credetemi, il capolavoro sinfonico di Berlioz non è semplice da restituire in tutta la sua efficacia!), con la dislocazione delle varie sezioni che non presentato scorrettezze di sorta. Inoltre, il dettaglio ha permesso di isolarle e di scontornarle in modo da rendere al meglio il registro dei vari strumenti chiamati in causa, dando modo così di avere la compagine orchestrale dispiegata con un’ampiezza e un’altezza di suono più che ragguardevoli.
Chi ha avuto finora la bontà di leggermi, si sarà accorto che tra i vari parametri di giudizio e della loro relativa risposta, per ciò che riguarda il Mini Caravaggio, non ho preso in considerazione la dinamica. Ecco, la dinamica; se proprio c’è, non dico un difetto, una manchevolezza, un punto debole in questo finale, ma quantomeno una resa leggermente inferiore, incapace di porsi allo stesso livello degli altri aspetti audiofili, questo è rappresentato dalla dinamica, la quale, naturalmente, non è assente, in quanto si avverte, è presente, ma con una velocità e un’energia complessive che non raggiungono livelli di assoluta eccellenza. Per sincerarmene ulteriormente, dopo aver ascoltato i titoli dei quali ho già scritto, ho voluto fare un’ulteriore prova, diciamo quella del nove. Così, ho messo mano a un SACD della Telarc, notoriamente, nel bene e nel male, famosa tra gli audiofili per le sue prese del suono così generose in fatto di dinamica, vale a dire quello che presenta tre capolavori orchestrali di Stravinskij, il balletto Petruska, lo Scherzo alla russa e la Suite, nella versione del 1919, dell’Uccello di fuoco, diretti da Paavo Järvi alla testa della Cincinnati Symphony Orchestra. Quest’ultimo brano vanta il pezzo intitolato Danza infernale del re Kascej, il cui incipit rappresenta una terrificante frustata per tutta la catena audio. Nella registrazione dell’etichetta statunitense, questo brano si trasforma in una schioppettata mica da ridere, con i tweeter e i woofer che rischiano di ululare dal dolore se non riescono a reggere l’impatto dei decibel e a distribuire in modo corretto l’irruzione della dinamica.
Con l’ausilio del Mini Caravaggio ho ascoltato più volte questo incipit e alla fine mi sono reso conto che la risposta dinamica era buona, indubbiamente, ma se devo usare un’allegoria è come se la sua irruzione e irradiazione nella sala d’ascolto fosse stata data da un cazzotto di un pugile rientrante nei pesi piuma, quando invece la mia amplificazione di riferimento rientra nella categoria dei supermassimi, con il conseguente cazzotto che può sferrare in simili occasioni. Va bene, i quattro finali di potenza che ho a disposizione complessivamente sfiorano i tre quintali, quando devono restituire la dinamica lo fanno in maniera ottimale, sia in termini di energia, sia in quelli di velocità ma, lo ricordo ancora una volta, ora la classe A deve pagare un pegno mica da ridere con il calore esorbitante che spande a destra e a manca. E, a conti fatti, la dinamica che il Mini Caravaggio ha tirato fuori non era una mozzarella fiordilatte smosciata, ma era solo di un paio di spanne sotto a una batteria di fuoco (in tutti i sensi, purtroppo) che, con i tempi che corrono, posso apprezzare pienamente solo sette-otto mesi all’anno, senza tenere conto delle dimensioni pachidermiche a fronte di quelle ridottissime del finale in classe D! Ah, dimenticavo, se il Mini Caravaggio ha un costo che si aggira sui 3.600 euro, quello complessivo dei quattro finali in dotazione sfiora cinque volte quello della Esoteric Pro Audio…
Conclusioni
Alla fine della fiera, spero di aver fornito una valutazione dalla quale possono venir fuori dei punti fermi e che è bene ribadire: 1) il “tempo delle mele” riguardante le amplificazioni in classe D è finito, lasciando posto a una maturità e a una validità dei risultati che solo vent’anni fa apparivano utopistici, a patto, naturalmente, come nel caso del Mini Caravaggio, ci si affidi a un finale progettato e costruito come si deve; 2) a fronte della dispersione di calore sprigionata da chi possiede finali in classe A e anche dello spazio che occupano in un ambiente domestico (la legge della WAF per molti è purtroppo sempre valida e attuale!), le amplificazioni in classe D possono rappresentare un’ottima alternativa; 3) visto che le banconote da 500 euro non crescono sugli alberi, anche il dato economico ha il suo peso e 3.600 euro, ossia il costo del Mini Caravaggio, non solo sono soldi ben spesi, ma risultano essere un investimento prezioso e duraturo se questo finale viene inserito in una catena che a monte presenta una preamplificazione di qualità e a valle una coppia di diffusori capaci di essere assai sensibili e ricettivi in termini di efficienza; 4) sui piatti della bilancia solo il parametro della dinamica è risultato leggermente inferiore rispetto agli altri, ma se si vanno a sommare i tre punti precedenti, la somma che viene fuori permette, in termini di partita doppia, di essere oltremodo in attivo, con la voce “avere” ben pasciuta.
A proposito di dinamica, se proprio si deve spaccare il capello in quattro, oltre al Mini Caravaggio, per ciò che riguarda l’amplificazione in classe D, l’azienda di Villafranca di Verona, come ho già fatto presente, ha anche il Caravaggio in versione dual mono… E un uccellino mi ha già confidato che, ascoltandoli, il peccatuccio veniale relativo a questo parametro ha fatto ciao ciao con la manina. Magari, chissà, sulle pagine di GRooVE back Magazine mi troverò a disquisire di essi per sincerarmene di persona…
Esoteric Pro Audio
Via Biante Remagni, 6
37069 – Villafranca di Verona (Verona)
Sito web: www.esotericproaudio.com
Posta elettronica: info@esotericproaudio.com
Telefono mobile 347 5265629
Dati tecnici Mini Caravaggio SCHEDA
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