Un recentissimo CD della Glossa vede il mezzosoprano José Maria Lo Monaco, con Stefano Aresi e l’ensemble Stile Galante, eseguire pagine sacre del grande compositore partenopeo, il quale ebbe modo di collaborare con tre dei quattro Grandi Ospedali della Serenissima tra il 1729 e il 1747, formando musicalmente gruppi corali e componendo brani che fecero conoscere e apprezzare il suo impareggiabile stile

Per dirla in termini cinici, ma reali, ciò che fecero i quattro enti di beneficenza durante la storia della Repubblica di Venezia, può essere racchiusa nell’espressione “unire l’utile con il dilettevole”. Questo perché per cercare di ovviare alla grave piaga sociale causata dalla presenza di migliaia di orfani, mendicanti, malati di peste e di coloro che non avevano un tetto sulla testa, si diede vita nel corso del tempo ai cosiddetti Ospedali Grandi, che fecero della Serenissima un caso unico nella storia occidentale grazie al suo capillare sistema di welfare che per secoli riuscì a garantire alla città una certa sicurezza sociale, un soddisfacente controllo igienico-sanitario e un contenimento della povertà. Questi quattro enti di beneficenza furono la Pietà (che ha mantenuto l’antica denominazione), dove vennero accolti gli orfani, gli Incurabili (attuale sede dell’Accademia di Belle Arti), nel quale trovarono rifugio i malati di sifilide e di peste, i Derelitti ai Santi Giovanni e Paolo, in cui ebbero ospitalità i senzatetto e i Mendicanti (che ora fa parte del complesso dell’Ospedale Civile di Venezia), che si prese cura appunto dei questuanti.

Ritratto di anonimo di Nicola Porpora.

La preziosa utilità di questo servizio si diluì nel dilettevole allorquando, con il preciso scopo di arricchire il servizio liturgico delle chiese che facevano parte degli Ospedali Grandi, fu progressivamente sviluppata una formazione musicale capace non solo di educare le ospiti femminili, ma anche di fornire loro un’attività retribuita con modestissime spettanze. Si vennero così a creare gruppi vocali e strumentali, composti dunque esclusivamente da interpreti femminili, che si specializzarono e si fecero apprezzare per la loro qualità artistica e per la capacità di eseguire un ricco repertorio musicale. Ciò portò diversi e affermati compositori del tempo, soprattutto nel corso del XVIII secolo, a lavorare e a scrivere musica per questi gruppi femminili, come nel caso del musicista napoletano Nicola Porpora, che trascorse una parte consistente della sua carriera lavorando presso tre dei quattro Ospedali Grandi, vale a dire agli Incurabili tra il 1729 e il 1738, alla Pietà tra il 1742 e il 1743 e ai Derelitti tra il 1742 e il 1747.

La facciata della Chiesa di Santa Maria dei Derelitti a Venezia.

Una recentissima novità dell’etichetta discografica Glossa, che vede protagonisti il mezzosoprano José Maria Lo Monaco, accompagnata dagli elementi dell’ensemble Stile Galante diretto da Stefano Aresi, prende in esame proprio tre brani che Porpora compose appositamente durante il periodo di lavoro trascorso ai Derelitti. A questi brani, due mottetti solisti per contralto, il Placida surge, Aurora S232, risalente al 1744, e Qualis avis cui perempta S234, scritto l’anno successivo, e una Salve Regina, sempre del 1744, il CD vede anche la registrazione di uno dei due concerti per violoncello e orchestra che gli sono attribuiti, quello in sol maggiore.

Il mezzosoprano catanese José Maria Lo Monaco (© Mood photostudio).

Prima di fornire qualche dettaglio più preciso su queste composizioni, è il caso di far comprendere meglio, grazie anche alle interessanti note di accompagnamento redatte dallo stesso Stefano Aresi, come si svolse l’attività del musicista napoletano all’interno dei Derelitti e la sua permanenza veneziana in quel preciso lasso di tempo.

Il direttore e musicologo Stefano Aresi, a capo dell’ensemble Stile Galante (© Mood photostudio).

Nel luglio del 1742 Porpora venne invitato dal governatore dell’Istituto, Vincenzo da Riva, ad entrare a far parte del personale dei Derelitti in qualità di insegnante volontario di canto, incarico che il compositore napoletano accettò, nonostante che il compenso fosse assai basso. Non per nulla, lo stesso musicista ebbe modo di annotare: «[Da Riva] mi ha spremuto in modo tale che mi sono rassegnato momentaneamente a istruire per carità nel canto al massimo quattro membri del coro per qualche mese». Il momentaneamente, però, si trasformò in un periodo di diciassette mesi, durante i quali, Porpora, che all’epoca era considerato tra i più grandi insegnanti di canto al mondo, lavorò gratuitamente, formando un numero sempre crescente di allieve. Ad un certo momento, però, l’esasperazione ebbe la meglio sulla buona dose di carità cristiana, visto che Porpora, il quale, non dimentichiamolo, era impegnato anche nell’attività di operista, reclamò con successo che venisse stipulato un contratto con i membri del comitato dell’ente benefico, un contratto che, in un certo senso, pagò a caro prezzo, visto che nel 1744 il comitato direttivo dei Derelitti giunse al punto di diffamarlo, mettendo in dubbio l’originalità delle sue composizioni.

Eppure, pur dovendo affrontare amarezze, incomprensioni e accuse ingiuste, Porpora non rinunciò al suo lavoro, chiedendo e ottenendo che i membri del coro fossero sottoposti preventivamente ad un’accurata selezione e facendo in modo che le voci seguissero un preciso metodo pedagogico per migliorare la qualità del loro canto. Non solo, ma il compositore partenopeo insistette affinché venisse potenziato il numero degli strumenti a tastiera sempre per motivi pedagogici, mentre Martinelli, insegnante di violino dell’istituto, obbligò la sezione degli archi dell’orchestra ad assimilare una maggiore tecnica esecutiva, in modo da far fronte alle crescenti difficoltà proposte dalle composizioni porporiane, basate sul tipico stile napoletano/galante che aveva già raccolto così tanti successi sui palcoscenici operistici di tutta Europa.

Ma la musica di Porpora non avrebbe mai potuto essere esaltata se non ci fossero state le voci capaci di riprodurla nel modo più acconcio; così, tra le Figlie del Coro dei Derelitti ci fu una cantante, il contralto Angiola Moro, chiamata con il diminutivo di “Anzoletta”, per la quale il compositore napoletano scrisse alcune delle pagine solistiche più impegnative composte durante la sua permanenza all’ente benefico. La storia di questa cantante sembra riecheggiare quella che esattamente cento anno dopo George Sand descrisse nel romanzo, apparso a puntate, dal titolo Consuelo, che vede al centro una cantante veneziana, la cui meravigliosa voce sopranile aveva incantato lo stesso Porpora, al punto da volerla esaltare componendo appositamente per lei alcuni brani.

Nella realtà dei fatti, però, che cosa sappiamo di “Anzoletta”? Ben poco, a dire il vero. Un’annotazione del 6 dicembre 1734 in un documento amministrativo dei Derelitti la annovera tra le bambine che imparavano la musica. Le sue qualità artistiche le permisero così, quattro anni più tardi, di entrare a far parte del coro, dove si distinse come “soprano”. Inoltre, il 4 maggio 1744 Porpora propose al consiglio dell’ente benefico di consentire ad “Anzoletta” di dedicarsi esclusivamente alla musica, liberandola da ogni altro incarico, con il permesso di potersi esercitare anche con l’aiuto di una spinetta. Le ultimissime notizie riguardanti la cantante risalgono dapprima alla seconda metà del 1746, quando la giovane si ammalò gravemente e poi, dopo la partenza di Porpora da Venezia, avvenuta l’anno successivo, troviamo il nome di Angiola Moro legato alle partiture di due mottetti (datati 1747 e 1748) scritti dal musicista modenese Antonio Gaetano Pampani.

Stefano Aresi fa notare come, tra il 1744 e il 1746, Porpora compose due impegnativi mottetti solisti per contralto, quelli appunto registrati in questo disco, oltre ad una Lamentazione seconda del Venerdì Santo per voce sola e basso continuo (S403, senza data), una Salve regina (anch’essa presente nella registrazione), un’Ave regina (1744, perduta) e sette assoli e tre duetti in salmi e cantici corali per più voci, coro e orchestra. Analizzando queste partiture, si può comprendere che furono destinate per la voce di un contralto dotato di grandissime qualità canore, quelle che appartenevano indubbiamente proprio ad “Anzoletta”.

Il destino, però, volle che all’inizio di marzo del 1747 Porpora lasciasse per sempre la Serenissima, in quanto il comitato accolse la richiesta del musicista di tornare subito nella sua città natale, in quanto, come motivò egli stesso, «imminenti catastrofi e spargimenti di sangue gravano sulla mia famiglia in Napoli». Forse fu solo una scusa, poiché pochi mesi dopo il compositore partenopeo fu accolto dalla corte di Dresda, dove dapprima divenne insegnante di canto di Maria Antonia Walpurga Symphorosa di Baviera, figlia dell’imperatore ed elettore di Baviera Carlo VII e di Maria Amalia d’Asburgo, destinata a diventare un’apprezzata musicista, e poi in qualità di Kapellmeister dell’orchestra di corte.

Maria Antonia Walpurga Symphorosa di Baviera, nel ritratto fatto da Anton Raphael Mengs nel 1752.

Come poter valutare la lettura effettuata da José Maria Lo Monaco e dall’ensemble Stile Galante? Con un solo termine: strepitosa! Le peculiarità canore dell’artista catanese le permettono di padroneggiare magnificamente la tessitura del registro medio-grave, mediata dall’agilità e dalle sfumature tipiche di un mezzosoprano, quindi muovendosi a proprio agio in quella acuta. Il risultato? La perfetta quadratura del cerchio, all’interno del quale la cantante presenta la sua favolosa tavolozza di colori, in un continuo alternarsi di luci ed ombre, sorrette da un’intonazione che è semplicemente un esercizio di stile. Quando poi si deve destreggiare nel registro medio, sul quale vengono imbastite le coloriture dalle quali dipartono ascensioni sull’acuto e digressioni con cui esplorare il registro grave, la paletta espressiva raggiunge vertici assoluti. Non sapremo mai se “Anzoletta” ottenne lo stesso esito canoro, ma non possiamo meravigliarci se, ascoltando José Maria Lo Monaco, coloro che ascoltarono al tempo il contralto veneziano si commossero fino alle lacrime (si ascolti come il mezzosoprano catanese riesce a rendere l’emozionante Salve Regina sotto il tappeto timbrico dato dagli archi che portano il canto fino alle sfere empiree). Raramente, ho potuto ascoltare una cantante capace di giocare con l’atto della respirazione che si tramuta magicamente in canto come mi è capitato con l’artista siciliana, capace di trasformare passaggi impervi come pareti di sesto grado in piacevoli passeggiate da jeunes fille en fleur. Stupefacente…

L’ensemble Stile Galante con al centro Stefano Aresi e José Maria Lo Monaco (© Mood photostudio).

Volete capire che cosa sia la musica vocale barocca? Bene, ascoltate questa registrazione. Volete come si deve rendere artisticamente questo atto canoro? Ascoltate sempre questo disco. Inoltre, volete assaporare i vertici delle sonorità strumentali sempre in chiave barocca? Idem con patate, ascoltate questa incisione!

A proposito di musica strumentale, capitolo a parte merita la violoncellista polacca Agnieszka Oszańca, artefice di un’impeccabile rivisitazione del delizioso Concerto in sol maggiore (Porpora non fu solo un grande operista e autore di musica sacra… ), la quale, avvalendosi di una copia di violoncello barocco italiano del Settecento, confezionato appositamente per lei da Jan Bobak nel 2017, riesce a dipanare sonorità che sono in realtà esplorazioni nello spazio e nel tempo attraverso i due movimenti lenti e gli altrettanti veloci della pagina concertistica. Colpisce come la scrittura del compositore napoletano sia sempre votata a un continuo dialogo tra le parti, fornendo una proiezione di unitarietà sonora, al punto che ci troviamo di fronte a una vera e propria sinfonia concertante, nella quale lo strumento solista è fondamentalmente primus inter pares, soprattutto quando il dialogo avviene con il primo violino.

La violoncellista polacca Agnieszka Oszańca.

Stefano Aresi riesce a infondere sempre un inesauribile senso ritmico a tutta la componente orchestrale, sia quando si è trattato di addentrarsi mano nella mano con José Maria Lo Monaco all’interno delle partiture sacre, sia allorquando ha saputo con i membri dello Stile Galante incastonare sfumature timbriche che sono andate ad arricchire la pagina concertistica. Ma su questo non dobbiamo stupirci, visto che siamo di fronte ad una delle migliori compagini filologiche in circolazione in campo internazionale. E questo straordinario progetto discografico lo dimostra pienamente.

La presa del suono è avvenuta nel Seminario Maggiore di Bressanone per opera di Andrea Friggi e Davide Corsato, autori di un lavoro con i controfiocchi, che va ad impreziosire ulteriormente il tutto. La dinamica è la prova di forza di un pugno in un guanto di velluto, quindi energia e velocità a volontà in cui, però, la naturalezza della voce di José Maria Lo Monaco e quella del violoncello di Agnieszka Oszańca viene presentata in un modo che rasenta la perfezione riproduttiva. E lo stesso avviene per la setosità degli archi e per la cristallinità emanata dal cembalo, cui fa da contraltare il timbro sontuoso, soprattutto nel registro grave, dell’organo. Il parametro del palcoscenico sonoro permette di apprezzare pienamente la ricostruzione la voce del mezzosoprano che si erge in mezzo ai diffusori contrapposta, con una maggiore profondità, a quella dell’ensemble, mentre in occasione del concerto il violoncello risulta essere correttamente, proprio dando l’impressione della sinfonia concertante, più inglobato al resto della compagine orchestrale. L’equilibrio tonale risalta per la grandissima pulizia dei registri, il che aumenta la percezione delle sfumature e il correttissimo decadimento degli armonici, mentre il dettaglio, oltre ad essere contraddistinto da un’encomiabile matericità, permette di effettuare un ascolto mai affaticante, tenuto conto che ci avviciniamo ai settanta minuti di durata.

Andrea Bedetti

  • DISCO DEL MESE DI APRILE

  • Nicola Porpora – Music for the Venetian Ospedaletto

  • José Maria Lo Monaco (mezzosoprano) – Stile Galante – Stefano Aresi (direzione)

Giudizio artistico: 5/5

Giudizio tecnico: 4,5/5

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