Marco Lincetto ha voluto recentemente rimasterizzare uno dei primissimi titoli prodotti all’inizio dell’avventura discografica della Velut Luna, i Dieci Studi sul Trillo di questo grandissimo e ancora sconosciuto compositore e pianista padovano, nella definitiva lettura fatta da Giovanni Tirindelli. Un’opera con la quale il musicista seppe elevare un semplice abbellimento a elemento cardine attraverso il quale esplorare la timbrica del pianoforte mediante il severo e “didattico” genere musicale dello Studio
Provate a chiedere a un giovane di oggi, e badate bene, non mi riferisco alla moltitudine di giovinastri senza arte né parte che capiscono di Musica con la m maiuscola come il sottoscritto può capire di uncinetto giavanese, ma magari a uno studente al primo o al secondo anno di conservatorio, chi sia stato Silvio Omizzolo. Nel novantacinque per cento dei casi (e oggi mi sento meravigliosamente ottimista) vi guarderà con occhi da merluzzo impanato, cercando di comprendere chi cazzo possa celarsi dietro questo nome e questo cognome. E siccome, oltre a sentirmi ottimista, mi sento anche stranamente buono, vedo di toglierlo dalle ambasce, rispondendo che Silvio Omizzolo è stato un notevolissimo compositore e pianista padovano dello scorso secolo, unitamente al fatto di essere stato dapprima docente di pianoforte principale in quello che all’epoca era ancora l’istituto musicale pareggiato Pollini e che poi, proprio grazie a Omizzolo, quando quest’ultimo assunse la carica di direttore, divenne conservatorio statale a tutti gli effetti. Certo, qualcuno potrebbe anche argomentare che Omizzolo appartiene a quel folto sottobosco di artisti e compositori che hanno contribuito a mantenere viva la tradizione musicale nel nostro paese, e dei quali non necessariamente si devono ricordare i loro nomi e i loro cognomi. Sacrosanta verità, certo, se non fosse per il fatto che, come in ogni cosa, ci possono essere anche delle eccezioni che confermano la regola, e Silvio Omizzolo, per i motivi che andrò a spiegare, appartiene ipso facto proprio a questa ristretta categoria delle eccezioni, per le quali è quantomeno doveroso, per chi si occupa di Musica, sempre quella con la m maiuscola, conoscere il suo nome e il suo cognome.
E se intendo, con questo scritto, parlare di questo compositore e pianista padovano, nato nel 1905 e morto nel 1991, quindi attraversando di fatto quasi tutto il ventesimo secolo, è perché Marco Lincetto e la Velut Luna hanno ripubblicato recentemente una “storica” registrazione, quella effettuata nell’ottobre del 1997, quando la casa discografica veneta stava muovendo i suoi primi passi professionali grazie alla passione e alla volontà del suo mentore e deus ex machina, e che riguardava proprio una composizione pianistica di Omizzolo, per l’esattezza i Dieci Studi sul Trillo, eseguiti da Giovanni Tirindelli (come ha ricordato lo stesso Lincetto nelle note di accompagnamento a questa nuova edizione, «la prima edizione del ‘97 portava come numero di catalogo CVLD009, mentre questa di oggi il numero CVLD380… »), la quale, tra l’altro, oltre a una nuova veste editoriale, viene presentata con un Gold CD, che ha permesso di passare dal formato originale in 48kHz/20bit a quella, grazie a una mirata rimasterizzazione effettuata dallo stesso Lincetto, a 88.2kHz/24bit.
Ora, a favore non solo del nostro sprovveduto studente al primo o al secondo anno di conservatorio, ma anche di tutti coloro che non conoscono Silvio Omizzolo, cominciamo a delineare la sua figura di uomo e di musicista, prima di affrontare la presente registrazione della Velut Luna; la prima cosa che colpisce è che Omizzolo, laureatosi in Giurisprudenza all’Università di Ferrara, fu praticamente, in campo musicale, un autodidatta, pur facendo tesoro degli incoraggiamenti e dei preziosi consigli del compositore e didatta vicentino Almerigo Girotto. Come compositore, Omizzolo si fece notare già a ventitré anni, quando pubblicò i suoi primi lavori per pianoforte (tra i quali vanno segnalati almeno Elegia, Sogno, Fantasmi, PreludioeFuga), seguiti da altre opere sia per lo stesso strumento, sia per vari complessi vocali e strumentali. Nel 1943 ottenne il primo premio al Concorso del Sindacato Musicisti, seguito da numerosi importanti riconoscimenti, tra i quali un terzo premio al concorso internazionale Regina Elisabetta di Bruxelles, esattamente nel 1969, grazie al suo Concerto per pianoforte e orchestra, unica opera italiana prescelta fra duecento concorrenti. All’attività di compositore, affiancò anche una ricca attività concertistica in qualità sia di solista, sia in formazioni cameristiche. Da un punto di vista didattico, Omizzolo fu titolare della cattedra di pianoforte principale al Conservatorio Pollini di Padova dal 1933 al 1974 e poi, come già accennato, suo direttore dal 1966 al 1971.
La personalità di questo musicista, così come la sua originale capacità compositiva, possono essere riscontrate, a tutto tondo, proprio da quello che è da considerare il suo capolavoro creativo, ossia i Dieci Studi sul Trillo, composti nel 1936, pubblicati da Ricordi nel 1939 ed eseguiti per la prima volta dal leggendario Carlo Vidusso a Milano nel 1940. Omizzolo, dando vita a questa impervia e ardua partitura pianistica, volle in un certo senso non solo perpetuare quella linea a favore di una “classicità atemporale” (all’epoca in cui questi Studi furono scritti, si era già consumata nel vecchio continente la frantumazione del linguaggio tonale), ma soprattutto per aggiungere un ulteriore tassello ad un genere pianistico, quello dello Studio per l’appunto, la cui funzione squisitamente didattica è sempre stata in grado di stemperarsi nell’atto artistico ed espressivo (basti considerare, in tal senso, il filone che va da Fryderyk Chopin fino ad Aleksandr Skrjabin), attraverso una struttura tecnica la cui enorme difficoltà porta inevitabilmente la scrittura, come accade negli Studi di Liszt, ad essere realmente trascendentale non per nulla, lo stesso Omizzolo, anni dopo aver composto questi Dieci Studi sul Trillo, ebbe a commentare: «Ho scritto gli Studi perché mancava un lavoro del genere, ma, come al solito, non ho voluto dar loro troppa importanza. Il titolo è debole, sciatto. Avrei potuto chiamarli Studi da Concerto, come sono in realtà».
In effetti, gli Studi di Omizzolo sono indubbiamente e implacabilmente trascendentali, anche se, rispetto ai precedenti esiti di questo genere pianistico, vantano una particolarità che li differenzia dal resto della produzione, vale a dire quella di basarsi, come già evidenziato dal loro titolo, sul fenomeno musicale del trillo, come si definisce, in materia musicale, quell’abbellimento formato dal rapido alternarsi della nota reale con la nota a distanza di seconda superiore o inferiore, ossia maggiore o minore. Il compositore e pianista padovano, prendendo il fenomeno del trillo come denominatore comune ed elemento costitutivo di collegamento, diede così vita a questi dieci Studi, la cui caratteristica precipua risiede nella solidità del loro impianto architettonico, che si articola in una vera e propria suite pianistica suddivisa in tre Fascicoli, di cui i primi due “ospitano” tre Studi, mentre il terzo ne contiene quattro, in una struttura espressiva che non ha soluzione di continuità, ma rappresenta una sorta di unicum del quale si possono osservare dieci diverse “sfaccettature”, ognuna delle quali si concretizza e si offre all’interpretazione e al relativo ascolto mediante il canonico utilizzo di tempi lenti e veloci che contraddistinguono altrettante danze o generi.
Così, il Fascicolo I è formato da una Mazurka (Moderatamente animato), una Marcia Funebre (Molto lento) e da uno Scherzo (Presto. Più tranquillo. Presto), il Fascicolo II da una Canzone senza parole (Non troppo lento), da una Habanera (Lentamente) e da una Polacca (Moderato maestoso), mentre il Fascicolo III da una Barcarola (Un poco sostenuto), da un Minuetto (Moderato, Musetta: Più mosso. Moderato), una Marcetta (Allegro) e da una Toccata (Vivo: sonoro, con molto pedale, quasi campane).
Sono Studi, lo ricordo ancora, quindi la loro scrittura avviene mediante un rigoroso disegno formale che si dipana con un preciso senso logico, “geometrico”, che sfocia quasi in un inconscio ricorso a quelle che potrebbero essere definite delle variazioni, il cui tema subcosciente è dato proprio dall’ossessivo ricorso del trillo, che Omizzolo rinnega nell’annoso utilizzo di abbellimento per tramutarlo in cuore pulsante, nucleo essenziale che assume, progressivamente, ossia nei dieci piani/Studi, un andamento prodigiosamente centrifugo. Ognuno di questi piani/Studi rappresenta così un preciso modo di esplorazione e di sviluppo da ciò che viene offerto dallo strumento musicale stesso, con la tastiera che diviene, in ossequio alla “filosofia compositiva” dello Studio, una tavolozza timbrica capace di esprimere una paletta di sensazioni, di emozioni, di stati d’animo che non debordano di una nota dalla tipologia di genere o di danza incarnati dal loro titolo. Ecco perché un possibile sottotitolo di questo capolavoro pianistico potrebbe essere Immagini semantiche dimostrate secondo l’ordine geometrico, andando a parafrasare il titolo completo dell’Etica spinoziana, in quanto anche questi Studi di Omizzolo sono strutturati e composti sul medesimo metodo assiomatico-deduttivo, con l’ultimo sviluppo, dato dalla Toccata finale (si noti come il compositore padovano utilizzi come “chiusura mai conchiusa” di questa mirabile opera il genere della Toccata, con il quale, nel cuore del Rinascimento, prese avvio il meraviglioso e articolato sviluppo dell’arte tastieristica occidentale!).
Anche chi non conosce il linguaggio della musica non potrà non avvertire, fin dal primo ascolto, l’immane e terrificante difficoltà di questi Dieci Studi e da ciò si può comprendere per quale motivo siano ancora pochissimo conosciuti, poiché fin dal loro apparire la stragrande maggioranza degli interpreti se ne tenne alla larga, come si fa con chi è colpito dalla peste nera. Come ricorda giustamente ancora Marco Lincetto nelle note di accompagnamento al disco, solo tre pianisti osarono avvicinarsi ad essi e a eseguirli nel corso di concerti pubblici, ossia il già ricordato Carlo Vidusso, seguito da un altro grande interprete, Franco Angeleri e, da ultimo, Adriano Lincetto, padre di Marco e allievo dello stesso Omizzolo, fino a quando nel 1997 Giovanni Tirindelli decise di registrarli in prima assoluta mondiale per la Velut Luna, ossia nell’incisione riproposta da Lincetto con questa nuova masterizzazione analogico-digitale.
Lo stesso Marco Lincetto, apparentemente con un moto di superbia, ma che non è assolutamente tale, ha definito questa registrazione come «una sorta di pietra tombale su qualunque altra interpretazione o registrazione che potrà essere proposta» dei Dieci Studi su un Trillo, in quanto l’interprete Giovanni Tirindelli, prima di affrontare questa incisione, ebbe modo non solo di confrontarsi con Omizzolo, ma ebbe da lui la partitura sulla quale il compositore e pianista padovano aveva vergato con precisione maniacale tutte le indicazioni inerenti la corretta interpretazione da offrire in sede esecutiva. Una partitura che, quindi, a ben vedere, ne rappresenta la “bibbia ermeneutica”, grazie alla quale Tirindelli ha potuto e saputo restituirne tutto il fascino e tutta la profondità.
Da parte mia, per mancanza di opportunità e per motivi anagrafici non ho potuto ascoltare la “trimurti” degli interpreti già citati nell’esecuzione di questa straordinaria pagina, ma mi sono potuto consolare con quella immaginifica e fonte di lucidità rappresentata dalla lettura di Giovanni Tirindelli, al punto che non posso sinceramente dare torto alle parole proferite da Marco Lincetto, poiché ci troviamo di fronte a un’interpretazione “totale”, paradigmatica, punto ineludibile di non ritorno. E non ritengo nemmeno che, basandosi sulla partitura dello stesso Omizzolo, ricco delle sue annotazioni e delle sue indicazioni, quella del pianista veneto, il quale prosegue felicemente la grande tradizione dei docenti per pianoforte al Conservatorio Cesare Pollini di Padova, sia una restituzione semplicemente pedissequa, strozzata da quanto Omizzolo annotò a livello di consigli e di disvelamenti interpretativi; semmai, e questo un orecchio allenato lo può percepire chiaramente, vi è una completa e commovente compenetrazione della materia musicale, la grande e nobile umiltà di essere depositario di una traccia indelebile della quale ha saputo rendere e restituire ogni minima sfumatura stilistica, oltre ad aver saputo padroneggiare e domare le tremende asperità tecniche e stilistiche (oltre alla già citata Toccata, si ascolti lo Scherzo, autentico e terrificante campo minato in fatto di difficoltà, che costringe, chi lo esegue, ad attuare articolazioni e passaggi da farsi preventivamente il segno della croce).
Per quanto riguarda la presa del suono, ho potuto ascoltare sia la versione rimasterizzata in questo Gold CD, sia quella originale del 1997, che Marco Lincetto mi ha messo gentilmente a disposizione. Per catturare il suono del pianoforte, posto nella sala dell’Auditorium Pollini, la cui felice acustica è frutto della lungimiranza musicale e tecnica di Adriano Lincetto e Wolfango Dalla Vecchia, Marco Lincetto utilizzò due microfoni omnidirezionali Schoeps MK 2s Linear posti in linea A – B, in modo da poter catturare sia la spazialità della sala, con le sue volte, sia la ricca timbrica dello strumento. Inoltre, in quella occasione Lincetto impiegò un preamp Lake People F35II collegato a un convertitore A/D Lexicon 20/20. Se quel risultato fu già ottimo in fatto di dinamica e di ricostruzione del palcoscenico sonoro, la nuova masterizzazione effettuata nel maggio di quest’anno da Lincetto va ad apportare ulteriori migliorie. Prima di tutto, si avverte una maggiore messa a fuoco e di velocità della microdinamica, come se i due microfoni fossero stati in grado di lavorare meglio nel catturare ciò che proveniva dalla cassa armonica dello strumento e poi la stessa ricostruzione del soundstage assume un maggior respiro, se si tiene conto che la timbrica del pianoforte si fissa con una maggiore altezza e una maggiore ampiezza rispetto al posizionamento dei diffusori. Si avverte anche un ulteriore, leggero miglioramento relativo all’equilibrio tonale, in quanto la separazione che si può ascoltare tra il registro medio-grave e quello acuto è più marcata, permettendo così di apprezzare meglio il fraseggio. Il dettaglio è l’unico parametro, a mio avviso, che non presenta variazioni di sorta tra le due versioni: era e resta squisitamente granitico e supremamente materico, al limite del “carnale”.
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- Silvio Omizzolo – Dieci Studi sul Trillo
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- Giovanni Tirindelli (pianoforte)
Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 5/5
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