Il primo lavoro discografico del graphic designer e musicista Roberto Mares, intitolato Something’s About to Happen, coniuga l’ambient music con richiami minimalistici e new age, impreziosito dai contributi di artiste come la violoncellista canadese Julia Kent e la chitarrista Sara Ardizzoni

Una necessaria premessa: quando ho ricevuto questo disco, non ho potuto fare a meno di aggrottare le sopracciglia. A parte qualche rarissimo caso, ho abbandonato da svariati anni quel mondo musicale che non appartiene alla cosiddetta classica (ogni volta che mi tocca utilizzare tale termine, rabbrividisco al pensiero di quanto non significhi e non identifichi nulla) e, in minor modo, al jazz. Quindi, quando ho dato un’occhiata al musicista in questione, ossia Roberto Mares, sinceramente, tenuto conto dei lidi sonori con i quali abitualmente mi confronto, oltre ad aggrottare le suddette sopracciglia, mi sono incuriosito, confidando sul fatto che chi me lo aveva inviato conosce esattamente i campi musicali dei quali mi occupo.

Quindi, conscio del fatto che tale nome e tale cognome non mi dicevano nulla (mi sia quantomeno riconosciuto tale atto di sincerità, in un mondo popolato di adulatori del faire semblant, i quali pur di non ammettere la loro ignoranza sarebbero disposti non so a che cosa), mi sono immerso nella cartella stampa, prima ancora di ascoltare i brani del disco in questione, intitolato Something’s About to Happen, e che rappresenta il primo progetto discografico di Roberto Mares, completamente autoprodotto. Dalle note che accompagnavano il dischetto argentato, ho potuto capire che, oltre ad essere musicista, Mares è anche un graphic designer e che le influenze musicali che lo animano prendono spunto dall’elettronica, dalla nuova classica, dalle colonne sonore e dalla sperimentazione, con un uso sia di strumenti elettronici, sia di quelli acustici. Inoltre, il suo lavoro è influenzato dal minimalismo e dalla ambient music.

A livello di excursus artistico, Mares ha iniziato a studiare da autodidatta all’età di diciannove anni e in gioventù ha fatto parte di gruppi che appartenevano al genere “new wave/post-punk”, prima di sistematizzare il suo rapporto creativo con il mondo dei suoni studiando a Roma, tra gli altri, con il pianista jazz Andrea Alberti. Anche per via della sua specializzazione di graphic designer, Mares nel corso degli anni si è focalizzato nel campo delle installazioni artistiche, collaborando non solo con musicisti, ma anche con attori e ballerini, dando così vita a spettacoli e a performances anche a livello sperimentale.

Il cammino che ha portato alla realizzazione di Something’s About to Happen inizia nel 2021, nel quale, come fece già ai tempi Mike Oldfield in Tubular Bells, Mares suona diversi strumenti, utilizzando il pianoforte, il sintetizzatore, gli electronics, i samples, i nastri magnetici, la tromba, il flicorno e il basso. In realtà, il risultato di questo progetto discografico non può essere ascritto al solo Mares, in quanto diversi altri artisti vi hanno attivamente collaborato, soprattutto a livello vocale, a cominciare dalla violoncellista canadese Julia Kent, la chitarrista e vocalista Sara Ardizzoni, meglio conosciuta con il nome d’arte Dagger Moth, oltre alla presenza di Elena Strada, Alessandra Aricò, Germana Giannini, Antonella Talamonti e Massimo Fantoni, ognuno dei quali ha fornito un contributo di idee, di spunti, di visioni sonore, che poi Roberto Mares ha assemblato, dato corpo e sostanza in dodici tracce, in cui a primeggiare sono soprattutto le voci femminili, le quali parlano, cantano e vocalizzano, incontrandosi, di brano in brano, con gli strumenti musicali, in un continuo processo di stratificazione.

In alto, la violoncellista e compositrice canadese Julia Kent e, sopra, la chitarrista Sara Ardizzoni, in arte Dagger Moth. Entrambe hanno collaborato a questo disco.
Indubbiamente, ci troviamo di fronte a un gruppo di artisti che ci sa fare, sia tecnicamente, sia espressivamente, capaci di fornire adeguatamente quelle strutture sonore che sono state poi confezionate, a livello “sartoriale”, dal musicista bellunese. Musicalmente ci troviamo di fronte a un pot-pourri composto principalmente da una base di ambient music, di minimalismo, di new age (questo soprattutto per ciò che riguarda i testi), in cui risulta fondamentale l’elemento ritmico che, dato il contesto in cui si sprigiona il tutto, assume un afflato che definirei “cardiaco”, palpitante, vitale. In alcuni casi, come nel brano Dotted Heart, il prologo puramente declamato dalla voce femminile rischia di essere troppo pervasivo, quasi invadente, ma il progetto in sé è apprezzabile.

É indubbio che un tale genere musicale, strutturato in elementi ritmici sui quali soventemente intervengono aspetti elettronici, porta inesorabilmente a una dimensione proiettante del suono evocato, sia a livello vocale, sia a livello strumentale; ciò significa che la sua musica vive esclusivamente di visioni, di immagini generate (se l’artista bellunese fosse vissuto nella seconda metà dell’Ottocento, sarebbe stato messo al bando dai tanti formalisti che popolavano il mondo musicale dell’epoca), immagini proiettate che devono essere spesso alimentate da immagini reali, ossia mediante l’utilizzo di videoclips, come nel caso di Dotted Heart e di Monte Clérigo, che possono essere visti sul canale YouTube. Fateci caso, se avrete modo di ascoltare prima questi pezzi, per poi ascoltarli/concretizzarli attraverso il medium visivo, in cui l’immagine proiettata canalizza il flusso sonoro in un processo di identificazione semantica.

Il violoncello di Julia Kent si fa ammirare, così come i contributi chitarristici di Sara Ardizzoni e di Massimo Fantoni; il loro uso della chitarra mi ha fatto tornare in mente il Robert Fripp di quel magico e leggendario album condiviso con Brian Eno che è No Pussyfooting, anche se naturalmente qui non è stata utilizzata la cosiddetta tecnica del time-lag accumulator.

Brian Eno e Robert Fripp all’epoca in cui crearono quel capolavoro sperimentale intitolato No Pussyfooting

Anche per via del genere e delle modalità tecniche con cui è stato realizzato questo disco diviene assai difficile parlare di qualità o meno della presa del suono, effettuata dallo stesso Roberto Mares. In linea di massima, tenendo conto che ci troviamo di fronte a un esempio di ambient music, il coinvolgimento uditivo è buono, in quanto tecnicamente il mix di strumenti acustici con quelli elettronici non mostra pecche di sorta, con una più che discreta ricostruzione dello spazio sonoro, anche se le voci sono naturalmente e comprensibilmente molto avanzate rispetto agli strumenti utilizzati.

Andrea Bedetti

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