Questo notevole compositore svedese, quasi del tutto ancora sconosciuto nel nostro Paese, è stato uno dei maggiori esponenti della scuola scandinava agli inizi del Novecento, fedele assertore del linguaggio tonale e nemico dichiarato di ogni forma di modernismo. Ce ne parla Edmondo Filippini, il quale suggerisce anche quali opere di questo autore devono essere conosciute e ascoltate.

Per chi ha fatto, come il sottoscritto, della propria passione il proprio lavoro e il proprio lavoro la propria ragione di vita, le peregrinazioni musicali in giro per l’Europa sono quasi inesauribili – senza prendere in considerazione il mondo attorno al vecchio continente. Da qui, definire un confine o un limite temporale di qualsivoglia tipo è impossibile e vi è quindi giocoforza quella sensazione socratica costante di profonda ignoranza a cui utopisticamente si prova a mettere la famigerata pezza, studiando e ascoltando ancora e ancora e provando a capire un po’ di più cosa ci ha preceduto e dove stiamo andando.

Con questo spirito ho deciso quindi di approcciarmi alla figura musicalmente gigantesca e poliedrica di Kurt Atterberg, compositore nonché ingegnere svedese che da quasi completo autodidatta riuscì a diventare direttore d’orchestra, critico musicale ed esponente a dir poco di spicco della musica e della cultura in Svezia del primo Novecento, il cui nome come compositore può essere annoverato oggi senza alcun problema accanto a quelli di Wilhelm Peterson-Berger, Wilhelm Stenhammar, Hugo Emil Alfvén e Ture Rangström.

Nato a Göteborg il 12 dicembre 1887, Atterberg crebbe in una famiglia dove il padre era ingegnere e inventore, mentre la madre era figlia d’arte di un cantante d’opera. Pur avendo sviluppato in gioventù un forte interesse per il pianoforte, fu un quartetto di Beethoven, l’op. 59 n. 2, a spingerlo verso lo studio del violoncello, strumento che iniziò a studiare e ad applicarsi dal 1902. Nel 1908 entrò a far parte della Stockholm Concert Society, poi divenuta la Royal Stockholm Philharmonic Orchestra, e nello stesso periodo completò le sue prime composizioni importanti, tra cui la Rapsodia per pianoforte e orchestra op. 1 e il Quartetto per archi n. 1 in re maggiore op. 2.

Mentre studiava ingegneria elettrica presso il Royal Institute of Technology di Stoccolma, Atterberg si iscrisse anche al Conservatorio Reale di Musica, dove fu allievo di Andreas Hallén per composizione e orchestrazione per un anno dal 1910 al 1911. Nel 1911 conseguì il diploma in ingegneria e, per mantenersi, iniziò a lavorare dal 1912 presso l’Ufficio Brevetti svedese, dove sarebbe rimasto fino al 1968, ossia fino a quasi la fine della sua vita, raggiungendo la posizione di capo dipartimento. Questo lo pone in parallelo con un altro gigante della musica svedese a lui precedente, Franz Berwald, che nella necessità di mantenersi divenne addirittura vetraio in un opificio in Germania per vari anni e poi direttore di un Istituto ortopedico e fisioterapico.

Però, questa doppia vita di compositore e impiegato presso l’Ufficio Brevetti non rappresentò di certo un ostacolo, visto che nel 1912 Atterberg fece il suo debutto come direttore d’orchestra a Göteborg, in un programma che comprendeva anche la sua Sinfonia n. 1. Durante gli anni Dieci, Atterberg diresse spesso opere proprie e di colleghi svedesi, promuovendo attivamente la musica della sua nazione anche all’estero. Nella stessa decade si fece notare come organizzatore e amministratore contribuendo a fondare la Società dei Compositori Svedesi (FST) nel 1918, di cui divenne presidente nel 1924 e dove rimase in carica fino al 1947 e parallelamente collaborò alla fondazione della STIM (Svenska Tonsättares Internationella Musikbyrå), la società per i diritti d’autore musicali in Svezia, di cui fu presidente dal 1924 al 1943. Come se non bastasse, il nostro compositore iniziò nel 1919 l’attività di critico musicale per lo Stockholms-Tidningen, dove non risparmiò critiche e perplessità per le nuove avanguardie e i giovani musicisti nei quali non si riconosceva.

Sebbene la sua figura come compositore e uomo di cultura trovò in patria una rapida affermazione, difficilmente si potrebbe dire che la sua musica sia nota a livello internazionale, per quanto numerose siano oggi le esecuzioni delle sue sinfonie e più recentemente il recupero in disco di una delle sue opere per il teatro musicale. Un momento cruciale nella carriera di Atterberg fu la partecipazione, nel 1928, al concorso internazionale indetto dalla Columbia Gramophone Company per commemorare il centenario della morte di Franz Schubert. I compositori erano invitati a presentare una sinfonia che completasse o fosse ispirata alla Sinfonia Incompiuta del grande compositore austriaco. Fra le circa cinquecento partiture arrivate, la giuria selezionò come vincitrice la Sinfonia n. 6 in do maggiore Op. 31 di Atterberg, che si aggiudicò così il premio di 10.000 dollari (da cui il soprannome di Dollar Symphony). L’opera fu poi diretta da importanti bacchette dell’epoca, compresi Thomas Beecham e Arturo Toscanini, aumentando notevolmente la fama internazionale del compositore.

È il caso di guardare un po’ più da vicino questo particolare concorso, soprattutto su come era formato e quali erano le altre opere in concorso, in quanto i giornali non furono teneri nel giudicare l’opera vincitrice come troppo effettistica e – a torto – come troppo legata alla tradizione: i brani finalisti furono trenta, selezionati a Vienna da dieci Paesi, con ogni nazione rappresentata da un compositore che costituiva la giuria. La stessa fu costituita da figure quali, tra gli altri, Aleksandr Glazunov, Franco Alfano, Carl Nielsen, Donald Tovey e Guido Adler. Delle partiture non vincitrici, ma che andarono piuttosto vicino al premio, ci furono la Terza Sinfonia di Franz Schmidt, la Sinfonia di Czesław Marek, la Gothic Symphony di Brian Havergal e le Variazioni sinfoniche di Charles Haubiel. Secondo voci di corridoio, tutte queste composizioni vennero scartate per il loro spiccato modernismo, in particolare quella di Havergal. Così, alla fine, la Sesta di Atterberg si impose, grazie al voto decisivo dello stesso Glazunov. 

Il musicista inglese Brian Havergal, autore di ben trentadue sinfonie, di cui la Prima, la Gothic Symphony, dura oltre due ore e richiede un organico orchestrale ipertrofico, oltre a quattro cori e ad uno formato da bambini.

Atterberg era da sempre legato al mondo tedesco e austriaco, nonché alle sue istituzioni e questo lo portò purtroppo durante la pagina più buia della storia del Novecento a intrattenere e a mantenere rapporti con la Germania nazista, visto che promosse scambi fra il suo Paese e la Germania, dirigendo personalmente le proprie opere presso orchestre e istituzioni tedesche. Inoltre, dal 1935 al 1938, fu segretario generale del Permanent Council for the International Co-operation of Composers (Ständiger Rat für die internationale Zusammenarbeit der Komponisten), fondato da Richard Strauss. Per quanto non siano mai stati provati una vera simpatia o sostegno al regime hitleriano, alcune lettere abbastanza compromettenti ne illustravano quanto meno posizioni tacciabili come antisemite e questo gettò un’ombra che non riuscì mai più a togliersi e che alla fine della guerra lo misero in una posizione progressivamente minoritaria rispetto alle nuove generazioni che guardavano con sospetto sia la sua figura di compositore – troppo legato alla tradizione passata – sia le sue ideologie politiche.

Atterberg rimase impiegato all’Ufficio Brevetti fino al 1968, come scritto, l’anno del suo pensionamento e si spense a Stoccolma nel 1974, ormai ottantaseienne e musicalmente quasi dimenticato, inumato nel Cimitero Settentrionale della capitale svedese. Ma com’è esattamente la sua musica, al di là della sua tutto sommato normale e mai rocambolesca vita?

Atterberg assimilò in primo luogo i modelli del Romanticismo tedesco e scandinavo, guardando in particolare a Brahms, Alfvén, Reger, Grieg, Sibelius e, sul versante russo, a Čajkovskij e Rimskij-Korsakov. Sul piano formale, le sue nove sinfonie (alle quali si deve aggiungere la Sinfonia per archi op. 53) si distinguono per un’accurata costruzione architettonica e tematica, con frequenti melodie di impronta popolare e l’inserimento di elementi politonali. Questo metodo compositivo appare già evidente in un primo lavoro di ampio respiro come il Concerto per violino in minore Op. 7 del 1913, e si sviluppa progressivamente nelle opere sinfoniche, culminando in alcuni dei suoi assoluti capolavori: la Sinfonia n. 3 op. 10, la Sinfonia n. 7 op. 45 del 1942 (nota come Romantica) e, ancor di più, la Sinfonia n. 8 op. 48 del 1944.

Il grande compositore finlandese Jean Sibelius, ammiratore della Sinfonia n. 8 di Atterberg

Quest’ultima merita un’attenzione particolare per l’intensa forza espressiva e la bellezza che, personalmente, mi portano alla mente alcuni momenti della Terza Sinfonia di Mahler o della Terza di Sibelius, in particolare il secondo tempo. Concepita dal desiderio di fondere in modo originale l’ampio patrimonio folklorico svedese – aspetto che emerge in forma particolarmente evidente nel secondo movimento – l’Ottava colpisce per la sua vena visionaria e per l’intensità con cui i temi tradizionali vengono trattati. Atterberg lavora il materiale folklorico con uno spiccato senso del colore orchestrale e con un occhio alla grandiosità del gesto sinfonico, andando a creare un vero e proprio dipinto musicale della propria terra.

È significativo notare l’apprezzamento espresso proprio da Sibelius per questa sinfonia e, allo stesso tempo, è interessante notare le differenze con quest’ultimo. Sibelius aveva immaginato il genere sinfonico come un percorso di continua evoluzione del proprio linguaggio (basti pensare al profondo scarto stilistico tra la sua Terza e la Quarta), al contrario Atterberg si mantenne sostanzialmente coerente con il proprio orientamento tradizionale, pur rendendo via via più complesso il suo linguaggio. Tale fedeltà a un impianto classico, unita al dichiarato disinteresse per le nuove avanguardie musicali, riflette in parte il pragmatismo derivatogli probabilmente dalla sua professione di ingegnere e dal lavoro impiegatizio; tuttavia, episodi di grande slancio creativo dimostrano che la sua vena visionaria non fu mai soffocata e in nessuna opera rimase in uno stato “dormiente”, anzi. Basti pensare, ad esempio, al terzo tempo, Furioso, del Concerto per pianoforte in si bemolle minore op. 37 (1927-1935), dove si percepisce chiaramente la fusione fra la solidità costruttiva e armonica e la geniale libertà immaginativa che contraddistinguono la personalità artistica di Atterberg.

Oggi le sue sinfonie stanno per fortuna conoscendo una nuova fortuna discografica grazie ad alcune etichette, in particolare per merito della CPO che le ha registrate, insieme con la Chandos e la Sterling che, pubblicazione dopo pubblicazione, stanno facendo emergere l’impressionante bellezza della musica di questo autore.

Edmondo Filippini

Discografia selezionata

Symphonies Nos. 7 & 8 – Radio-Sinfonieorchester Stuttgart des SWR – Ari Rasilainen, CPO

Symphony No. 4 “Piccola Sinfonia” & Symphony No. 6 “Dollar Symphony” – Gothenburg Symphony Orchestra – Neeme Järvi, Chandos

Piano Concerto & Violin Concerto – Dan Franklin Smith (pianoforte), Christian Bergqvist (violino) – Gävle Symphony Orchestra, B. Tommy Anderson, Sterling

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