L’autore di questo articolo, Edmondo Filippini, oltre ad essere il patron di una delle etichette discografiche più attive e interessanti, la Da Vinci Edition, è anche un raffinato musicologo, specializzato in musica barocca. Il suo contributo ci permette di conoscere questo compositore francese, che si formò all’ombra di Jean Baptiste Lully, e la cui discografia è una testimonianza della sua genialità per nulla intaccata dalle mille avventure delle quali fu protagonista

Non è sorprendente constatare, per un appassionato di musica che, accanto al lungo regno di Luigi XIV di Francia, ci fu un altro regno, altrettanto profondo e radicato, che dominò il mondo musicale in modo pressoché autocratico, quello incarnato da Jean Baptiste Lully, il quale fu tale fino a quasi la fine della sua vita. Un regno che alla sua scomparsa si lasciò dietro un solco talmente profondo che coloro che vennero dopo di lui riuscirono non senza fatica a colmare e soprattutto a superare. Questa storia parla di uno di questi compositori, forse di quello che più di altri riuscì in qualche modo a distaccarsene e che molto meno di altri poté godere appieno di questo successo, ossia Henri Desmarest (talvolta scritto Desmarets – come sulla pagina del titolo originale di uno dei suoi capolavori, Circé – o ancora Desmaretz oppure Desmarais).

Nato a Parigi nel febbraio del 1661 da una modesta ma economicamente solida famiglia, la madre parigina, il padre un huissier – vale a dire quello che oggi definiremmo un portinaio – presso il Grand Châtelet. I primi anni non sono molto documentati, nel 1674 però – all’età di soli 13 anni e con il padre scomparso pochi anni prima – Desmarest riuscì a entrare al servizio del re Luigi XIV come uno dei six pages de la musique, paggio e cantante del coro presso la Chapelle Royale, ricevendo una prima formazione generale insieme con un’istruzione musicale sotto la guida di Pierre Robert e Henry Du Mont e, molto probabilmente, studiando anche con Jean-Baptiste Lully, il quale era solito impiegare i paggi della cappella come esecutori nelle sue opere. Divenuto a 17 anni ordinaire de la musique du roi – anche se non ci è noto oggi cosa questo titolo implicasse effettivamente -e con un primo tentativo pochi anni prima di composizione di un proprio Te Deum, riuscì ad ottenere il suo primo successo a corte con una composizione celebrativa dal titolo Idylle sur la naissance du duc de Bourgogne (oggi perduta). Sebbene avesse solo 22 anni, il suo talento era evidente e i successi riscossi a corte lo portarono a prendere la prima di quelle decisioni che segneranno per sempre la sua vita. L’anno successivo, il 1683, con l’insediamento ufficiale della corte francese presso la nuova reggia a Versailles, Henri partecipa a un concorso per la selezione di quattro nuovi sous-maîtres – o compositori di corte – per la nuova Chapelle Royale. Sono trentacinque i partecipanti (tra cui anche Charpentier, Lorenzani e Nivers), tutti con l’obbligo di mettere in musica il testo del Salmo Beati quorum. Sulla base di queste composizioni (di cui sopravvive solo quella di de Lalande), ne furono scelte quattro per condividere le responsabilità mensili: Goupillet (gennaio), Collasse (aprile), Minoret (luglio) e de Lalande (ottobre). Desmarest, dopo il passaggio della prima selezione, si vede bloccato dal re in persona che seppur valutandolo positivamente, pone il veto proprio pare a causa dell’età troppo giovane, riconoscendogli però una buona pensione per la qualità del lavoro presentato e preferendogli in ultima istanza de Lalande, che scelse personalmente.

 

Jean-Baptiste Lully nel ritratto di Paul Mignard.

Frustrato, Henri chiede al re di poter lasciare la corte e la Francia per studiare in Italia, ma ancora una volta entra in gioco Lully che si oppone, sostenendo che ciò avrebbe diminuito la sua padronanza dello stile francese. Che questa fosse una scusa per non lasciarlo partire o per intralciarlo non è noto, sta di fatto che incapace di avanzare di grado o di seguire il suo desiderio, e sentendosi in qualche modo bloccato nella sua creatività, il nostro non si perde d’animo e convince Nicolas Goupillet, uno dei compositori che avevano partecipato e vinto il concorso – immeritatamente peraltro, dato che dietro a questo successo ci fu la raccomandazione di Bossuet, vescovo di Meaux, e non certo per particolari meriti musicali che non poteva vantare – evidentemente giudicato da Desmarest tra i meno se non per nulla musicisti talentuosi, di diventare per lui quello che oggi definiremmo un ghost writer, iniziando una collaborazione piuttosto fruttuosa che si interromperà bruscamente solo dieci anni dopo, nel 1693, ma su questo ci torneremo a breve. Da questa collaborazione nacquero alcuni dei migliori grand motets mai scritti in quel periodo, oggi giustamente riportati alla giusta paternità, tra cui un eccezionale De Profundis.

Dopo un altro successo ancora a corte con la sua prima effettiva opera, Endymion (anche questa perduta) nel 1686 – e definito ormai da tutti come “il piccolo Marais” e un possibile successore di Lully a tutti gli effetti – finalmente avvenne quello che molti autori dell’epoca stavano aspettando, la morte di Lully nel 1687. Quello che era stato de facto un monopolio sull’Académie Royale de Musique di Parigi svanì definitivamente, permettendo così a Desmarest e a una vasta generazione di nuovi compositori di scrivere finalmente per un palco più ampio.

Il problema era però rappresentato ancora da Lully, sebbene fosse ormai morto, visto che il pubblico era ormai abituato a quello stile e veniva in qualche modo cercato in altri autori che potessero prendere il suo posto. Desmarest non rimase con le mani in mano, raccolte le forze e intuita la situazione, dal 1693 al 1697 pose in essere alcuni tra i suoi migliori lavori operistici, dando prova di sapersi distaccare a poco a poco dallo stile di Lully in favore di uno totalmente proprio, giustificando perfettamente la nomea che aveva acquisito a corte. Didon (1693), Circé (1694), Théagène (1695), il balletto Les amours de Momus (1695) e Vénus et Adonis (1697), Les festes galantes (1698).

Inizierei a parlare di Didon, un’opera in tutto e per tutto figlia dello stile lulliano, fatto che non sfuggì anche alla critica dell’epoca e che gli permise infatti di ottenere il successo, di fatto il primo vero successo operistico – dopo vari tentativi da parte di altri autori – dalla morte di Lully. Fatto ancor più interessante è che il libretto fu affidato a una delle prime donne librettiste della storia francese, Louise-Geneviève Gillot de Saintonge che, dopo aver ottenuto un certo successo a corte grazie a un testo celebrativo per Luigi XIV, riuscì a vedersi riconosciuto uno status come a nessun’altra femme de lettres era capitato prima, lavorando per le rappresentazioni teatrali dell’Académie.

 

Un possibile ritratto della poetessa e librettista Louise-Geneviève Gillot de Saintonge, che collaborò con Henri Desmarets.

Dopo altri tentativi non andati esattamente a segno. come la splendida Céphale et Procris dell’allora giovanissima Élisabeth Jacquet de La Guerre (29 anni), la direzione dell’Académie decise di puntare per la successiva produzione nuovamente sul duo Desmarest-Saintonge, commissionando la Circé, anche se qualcosa nella collaborazione tra i due era cambiato. Le prove non andarono proprio benissimo e ci furono varie turbolenze, anche se all’opera sappiamo arrise comunque un notevole successo di pubblico, con almeno due mesi di permanenza nel cartellone. Ma che cosa era successo? Innanzitutto, da un punto di vista musicale Desmarest aveva iniziato ad allontanarsi dal modello lulliano per una strada più personale, e questo è ancora più evidente nei suoi lavori successivi che si distaccheranno sempre di più, con una conseguente e costante diminuzione del successo di pubblico.

Ma a minare in parte la sua reputazione contribuì anche uno scandalo a corte avvenuto l’anno della Didon (1693). Ricordate che per oltre dieci anni era stato ghost writer del “compositore” di corte Nicolas Goupillet? Bene, proprio in quell’anno Desmarest fece quello che oggi definiremmo un coming out, denunciando direttamente al re che Goupillet non remunerava adeguatamente i suoi servizi, ammettendo di conseguenza la tresca orchestrata dieci anni prima. Risultato: il 13 settembre 1693 Goupillet fu licenziato (anche se il re gli garantì una nomina come canonico della chiesa collegiata reale di Saint Quentin, con la concessione di una pensione), mentre Desmarest fu allontanato definitivamente dalla corte. Quale che fosse il risultato che Desmarest sperava di ottenere da questa denuncia – ottenere il posto di Goupillet che sentiva spettargli di diritto o altro – ancora una volta aveva dato prova di non accettare passivamente gli eventi attorno a lui e di essere parte molto attiva nelle vicende che in qualche modo erano destinate poi a travolgerlo.

 

Frontespizio della prima edizione dell’opera lirica Didon, uno dei capolavori musicali di Henri Desmarets.

Ma eccoci al 1696, un altro anno cruciale di questa vita, ma prima un po’ di contesto. Desmarest, nel frattempo, si era sposato e aveva una figlia già da alcuni anni, e sia lui sia la famiglia avevano l’abitudine di soggiornare presso Senlis, alla casa di un amico di lunga data. Proprio in questa piccola cittadina a nord di Parigi, nel 1689 venne avvicinato dal president de l’élection – potremmo definirlo un amministratore delle tasse – Jacques de Saint-Gobert, che lusingato dalla presenza di un così importante visitatore, gli propose di diventare insegnante di musica di sua figlia, Marie-Marguerite, allora undicenne. Saltiamo ora nuovamente al 1696, anno in cui si verifica la morte improvvisa della moglie, Élisabeth e un Desmarest rimasto solo con la figlia di sei anni. In quell’anno divenne un frequentatore assiduo dei Saint-Gobert, che si erano offerti di aiutarlo a prendersi cura della piccola Élisabeth-Madeleine, mentre lui continuava ad impartire lezioni alla loro figlia. Non tardò moltissimo che lui, trentacinquenne e Marie-Marguerite, ora diciottenne, si presentarono al padre di lei annunciando l’intenzione di sposarsi e con Marie-Marguerite già incinta alla fine del 1697. Se all’inizio Saint-Gobert sembrò lusingato ed ogni cosa pareva volgere per il meglio, all’improvviso i due non ancora novelli coniugi citano a giudizio il padre di lei e lui in tutta risposta cita Desmarest per seduzione e poi anche per rapimento! La situazione si fa grottesca, con il processo celebrato nel 1699, con la richiesta di arresto per Desmarest e la fuga di entrambi al di fuori dei confini francesi per evitare quella che era poi divenuta, nel 1700, una condanna a morte in contumacia per impiccagione per lui. Evidentemente a poco valsero le testimonianze di Marie-Marguerite, che rimase del resto fino all’ultimo a fianco dell’uomo che effettivamente amava. Lasciato tutto in fretta e furia, compresa un’opera, Iphigénie en Tauride, successivamente finita dall’amico André Campra, iniziò per entrambi un lungo esilio.

La coppia viaggiò per un periodo in Europa e a Düsseldorf Desmarest scoprì finalmente la musica italiana che gli era rimasta quasi completamente sconosciuta durante la sua permanenza a Parigi. Il suo amico di lunga data sin dal periodo in cui era paggio della cappella reale, il compositore Jean-Baptiste Matho, riuscì ad ottenere per lui una lettera di raccomandazione dal Duca di Borgogna per il nuovo Re di Spagna, Filippo V, e Desmarest si trasferì alla corte spagnola nel 1701 dove riuscì finalmente a convolare a giuste nozze con Marie-Marguerite e ad ottenere il titolo di Maestro de musica de la Camara (tutta la musica di questo periodo sembra sia andata perduta). Sei anni dopo, nuovamente con il supporto di contatti francesi, ottenne un incarico come surintendant de la musique alla corte di Lorena, modellata strettamente sulla corte di Luigi XIV. Insieme con Marie-Marguerite, dalla Lorena non si mosse più, inviando costantemente richieste di grazia a Luigi XIV, tutte richieste puntualmente rifiutate. Durante il suo esilio, amici come Jean-Baptiste Matho, Danican Philidor, così come la stessa Gillot de Saintonge mantennero viva la sua reputazione in Francia e i rapporti con lui grazie a un fitto scambio di lettere, e il successo dell’Iphigénie nel 1704 e il successivo revival di Didon sono la prova dell’alta stima in cui veniva ancora tenuto dal pubblico e soprattutto dai colleghi.

Dopo la morte di Luigi XIV, avvenuta nel 1715, Desmarest ricevette finalmente l’agognata grazia sei anni dopo e vide il suo secondo matrimonio ufficialmente riconosciuto. Con la possibilità di ritornare a Parigi, gli fu commissionata quella che è la sua ultima opera, Renaud, ou La suite d’Armide nel 1722. Quando Michel-Richard de Lalande morì nel 1726, Desmarets cercò nuovamente di ottenere un posto come sous-maître alla corte di Luigi XV, ma ancora una volta senza successo. Tornato in Lorena, morì a Lunéville il 7 settembre 1741 ormai ottantenne, mentre l’amata seconda moglie Marie-Marguerite se ne era già andata nel 1727. Desmarets fu sepolto nella chiesa del convento delle Suore di Sant’Elisabetta. Solo due dei loro numerosi figli sopravvissero: François-Antoine (1711-1786), che divenne un alto funzionario a Senlis, e Léopold (1708-1747), che divenne un ufficiale di cavalleria e per molti anni fu l’amante della scrittrice e drammaturga Françoise de Graffigny. Élisabeth-Madeleine, la figlia di prime nozze, si prese cura di lui nella vecchiaia e morì pochi mesi dopo suo padre.

Edmondo Filippini

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