Gaeta coglie appieno lo spirito e l’essenza del costrutto manciniano con un lavoro sognante, evocativo e divertente, ma decisamente sottile e raffinato.
«Breakfast With Henry Mancini – Feat. Monica Mancini» di Walter Gaeta, edito da Dodicilune, è un lavoro che copre cum grano salis una gamma sorprendentemente ampia della produzione del compositore, dai suoi maggiori successi ad alcune partiture relativamente conosciute. Mancini è stato senza dubbio uno dei più popolari e influenti autori di musica da film, non contiguo al jazz, ma neppure troppo lontano, grazie al mood che si respirava durante il momento di sua massima penetrazione sul mercato. Il riuscito omaggio da parte di Gaeta alla mitica figura del compositore, direttore d’orchestra e arrangiatore statunitense di origine italiana in occasione del 100° anniversario della nascita e 30° anniversario della sua morte, ne è una dimostrazione tangibile. La figura di Mancini è considerata come una delle più autorevoli del ‘900, collocabile in quella zona di confine dove musica popolare, eurodotta e jazz s’incontrano. Famoso per le sue colonne sonore da film – molti dei suoi brani furono cantati da Frank Sinatra, Louis Armstrong, Pat Boone e tanti altri – la sequela di registrazioni di soundtrack di successo rimane, a tutt’oggi, ineguagliata e, forse, senza precedenti.
L’influenza e l’attualità di Mancini è altrettanto importante, almeno per i tanti appassionati della musica sinfonica da film dell’età dell’oro. Henry era un melodista ed un autore talmente bravo da perfezionare l’arte della colonna sonora, in contrapposizione alle più tradizionali partiture orchestrali dell’epoca. Soprattutto, grazie al suo estro, ogni pellicola riusciva ad avere una canzone di successo come parte di una strategia di marketing. Tutto ciò ha agevolato non poco il pianista Walter Gaeta che ne ripropone un’attenta rilettura con un disco che contiene undici arrangiamenti di storici brani del compositore italo-americano (il padre era di Scanno, paesino in provincia dell’Aquila, mentre la madre della provincia di Isernia) ed un brano originale firmato dallo stesso Gaeta, il quale è stato supportato nel progetto da un composito ensemble: Max Ionata (sassofoni), Daniele Fratini (chitarre), Pietro Ciancaglini (basso elettrico e contrabbasso), Nicola Angelucci (batteria), Remo Izzi (corno francese) Paola Filippi (flauti), Domenico Pestilli (vibrafono) ed il quintetto di archi Piemme Project Quintet con Prisca Amori (1° violino, direttore), Daniel Myskiv (secondo violino), Nico Ciricugno (viola), Zsuzanne Krasznai (violoncello), Camilo Calarco (contrabbasso).
Un territorio apparentemente facile quello bazzicato da Gaeta, poiché Mancini, nell’arco della sua carriera si mostrò assai predisposto alla composizione di melodie efficaci e canzoni a presa rapida, pur aspirando ad essere un semplice compositore di musica drammatica per film. Col passare del tempo, i suoi componimenti divennero così acclamati che gli venne imposto dai discografici di produrre ripetutamente album che contenessero almeno una canzone popolare (come «Moon River») o uno strumentale (come il tema della Pantera Rosa) più una serie di brani facili da ascoltare o da ballare. «Colazione da Tiffany» è l’esempio più classico di questa formula vincente. Scrive Davide Ielmini nelle note di copertina: « È una filosofia di vita, questa, che Gaeta esalta con raffinatezza e ferocia espressiva, reimmaginando un suono inestinguibile nel quale si vivacizzano tanto le tecniche del combo jazz (svettano i sax di Max Ionata, con soli ricchi di simmetrie e pienezza timbrica) quanto quelle di un ensemble cameristico – il Piemme Project – capace di incandescenze a volte lunari». Gaeta coglie appieno lo spirito e l’essenza del costrutto manciniano con un lavoro sognante, evocativo e divertente ma anche decisamente sottile e raffinato. L’aura misteriosa ma calorosa è mantenuta per tutto l’album, le melodie principali del materiale trattato sono di certo rispettate, ma notevolmente nobilitate dai vari passaggi improvvisativi e dagli interscambi orchestrali che diventano il tratto distintivo dell’opera. Il lavoro di Gaeta e soci è soddisfacente e, persino, leggermente più interessante rispetto agli assunti originari dei singoli brani, grazie ai ganci improvvisati che si muovono in territori lontani dalla melodia principale. Prosegue Ielmini: «Monica Mancini con le sue sfumature a tratti notturne dimostra quanto il lavoro di suo padre fosse, prima di tutto, quello di uscire dalla propria comfort zone. Soppesando con estrema cautela il muoversi delle parti, e ordinando le sequenze secondo la logica dei flussi e non dei blocchi, Gaeta compone un percorso senza addensamenti e in continua espansione. È l’estasi del movimento e dell’avanzare ostinato, ma senza cedere al citazionismo o alla tronfiaggine della modernità arruffata». Soprattutto non c’è ricalco manieristico o plagio karaokeistico, mentre la compagine guidata da Gaeta si muove agilmente attraverso il sistema dei vasi comunicanti, apportando nuovi valori e significati semantici ed artistici alle partiture del compositore italo-americano. «È l’avanguardia di una narrazione interiore e sofisticata che radiografa il Mancini musicista e uomo». Aggiunge Ielmini. «Sempre così attento all’ironia, al sorriso, se vogliamo anche a quella leggerezza colta che fa della musica un’icona per l’umanità. Quindi, sono quelle indagini sul tempo, quei contrappunti di sensi e quei canti – potrei dire «a la maniera italo-americana» – a stimolare il guizzo di questo giovane pianista abruzzese. Che modella il suo lavoro su armonie che sono esse stesse voci, così ben affilate da trasformare il loro incontro con il blues, lo swing, l’esotismo e un certo languore pop in pennellate di euforia e romanticismo».
L’ensemble diretto da Walter Gaeta aumenta il calore termico e la mistica della struttura armonica manciniana che permette agli strumenti di dispiegare la loro magia e di rinverdire il costrutto con intensità, apportando nuova linfa vitale ad alcuni motivi immortali del maestro, a prescindere dalla composizione in oggetto o del carattere relativamente intimo, piuttosto che estroverso o ballabile della partitura. Basta ascoltare «Arabesque», con la sua atmosfera esotica ed il suo crescendo orchestrale, mentre «Be Happy» ammalia con la sua gioiosa luminosità, così come «It Better Be Tonight», cantato da Monica Mancini, assume un carattere decisamente swing dai contrafforti latini. «Loss In Love» è una ballata intensa e romantica dall’atmosfera mite che rimanda immediatamente ad un set cinematografico degli anni Sessanta. «Lujon» si sostanzia come un altro quadro struggente che esalta la potenza della melodia manciniana, a cui l’imponenza orchestrale consente di non indugiare troppo nel languore; per contro la celebre «Moon River» diventa un brivido lungo schiena ed una carezza avvolta in un arazzo disegnato dagli archi e fuso a caldo dalla splendida voce di Monica Mancini. «Mr. Lucky» è un viaggio appassionante in un swingante plot narrativo, dove l’ascoltatore potrebbe stabilire ed intessere la propria trama a piacere. Il cupo e misterioso incedere della chitarra in «Peter Gun» con i suoi triangoli metallici è davvero trascinante. La scrittura vorticosa degli archi e le lancinanti e aggressive battute dei fiati in cui svetta il sassofono di Max Ionata, fa esplodere la versatilità e la modernità compositiva di Mancini in tutta la sua potenza, magnificata oltremodo dagli accordi dorati e scintillanti del pianoforte di Gaeta, il quale, per contro, ne esalta la vena poetica in «Royal Blue, complice un sassofono da mille e una notte. «Theme Song From The Molly Maguires», con i suoi emozionanti passaggi ritmici e la «religiosa» riscrittura per gli archi, conserva una piacevole aura da colonna sonora, in osservanza ai dettami del maestro. «The Day Of Wine And Roses», con il suo groove incalzante, che porta il sassofono ad alta quota, è sicuramente uno dei climax dell’album, in cui gli archi iniettano un sapore vagamente esotico-retrò. L’atto conclusivo, eufonicamente in in linea con il mood di Mancini, è l’unico originale a firma Gaeta, in cui la struttura ondulata e setosa lascia che la voluminosità degli archi si alzi e si abbassi rendendo il pezzo superbamente avvolgente. «Breakfast With Henry Mancini – Feat. Monica Mancini» è un disco di pregio e coeso al limite concept, dove tutti gli undici brani sono imbastiti sulla medesima trama espressiva, con minime alterazioni strumentali e di mood, in cui la coesione assume un valore aggiunto quanto le composizioni trattate, perché non si può dire che il materiale non sia stato scelto con saggezza.
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