...la raffinatezza armonica, il tocco ed il controllo delle dinamiche rappresentano i punti salienti del concept. Nelle tracce originali, il flusso delle idee è sempre circolare e condiviso con particolare regolarità degli assoli, così come come il compito di scrittura viene affrontato in maniera collegiale…

In altre circostanze abbiamo definito Marc Copland come il jazzista dalle due vite: dopo un abbrivio di carriera nei panni del sassofonista, il musicista di Filadelfia, sparì dalla circolazione e, dopo una decina di anni di studio e d’incubazione, si ripresentò sulla scena divenendo, a metà degli anni Ottanta, uno dei pianisti più acclamati del secondo dopoguerra, quale perfetto anello di congiunzione fra l’energia zampillante di Bud Powell e l’introspezione poetica Bill Evans, ma dotato una personalità esecutiva così marcata, un’immaginazione compositiva, una drammaticità armonica ed un modus agendi cosi peculiare da annullare qualunque punto di riferimento preciso e pregresso all’interno del proprio elaborato sonoro.

Al netto di ogni suggestione, la dualità di «Dreamland», registrato in Germania, il 4 e 5 dicembre 2022, alla Fattoria della Musica di Osnabrueck, va ricercata in una sorta di metodo applicativo che getta sistematicamente un ponte fra passato e presente, tradizione e contemporaneità, i cui punti cardinali sono rappresentati dai due standard contenuti all’interno del disco: l’iniziale «Eronel» di Thelonious Monk, simbolo dell’evoluzione del jazz moderno, restituita al mondo degli uomini con una grazia ed una classe rispettosa del modulo monkiano, traslata in una lingua dalle accentazioni meno ispide ed idiosincratiche, per quanto nella fase pianistica il corredo genetico del «Monaco» rimane quasi intatto nei suoi filamenti genetici, dal canto suo, il soprano di Robin Verheyen, per nulla languido, aggiunge dei contrafforti giocosi, quasi ironici, tipici della filosofia di Thelonious; per contro, la conclusiva «Yesterdays» di Jerome Kern, rappresenta l’altro estremo del jazz post-bellico alle prese con gli standard dell’AmericanSongBook. La composizione di Kern, già utilizzata in passato da Copland, diventa, nella prima parte, una lezione di pianismo di alta scuola, a cui il sax di Robin Verheyen fa da contrappunto con il placet dei controllori del ritmo: il bassista Drew Gress ed il batterista Mark Ferber. Due perfetti sodali per tutta la durata del concept, in cui la raffinatezza armonica, il tocco ed il controllo delle dinamiche ne rappresentano i punti salienti. Nelle tracce originali, il flusso delle idee è sempre circolare e condiviso con particolare regolarità degli assoli, così come il compito di scrittura viene affrontato in maniera collegiale, quasi una sinergia di gruppo inter pares.

«All Thats Left», a firma Copland, si snoda per quasi dieci minuti attraverso una ventaglio di atmosfere cangianti innestate in un’ambientazione che, a tratti, ricorda Brubeck, sia pur calato in una dimensione più angolare ed accidentata sul piano armonico. Un esteso e fertile terreno di coltura, in cui i quattro soci, a rotazione, trovato ampio spazio e spunti molteplici per il loro assoli. «La title-track, «Dreaming», scritta da Drew Gress, è una ballata sotterranea e profonda, avvolta dal piano e dal sax in un involucro quasi cameristico e con un finale riservato al bassista-autore. «LST», composta da Copland, si sostanzia come un piacevole mid-range dal sapore vagamente retrò, insanguato di swing e dirottato verso lidi più ardimentosi dal sax di Robin Verheyen. «Destination Unknown» di Verheyen, introdotta dal piano, si solidifica come una moderna romanza, serpentina e flessuosa, in cui la melodia con uno strascico di spleen baudeleriano, sembra impiantarsi lentamente nelle meningi del fruitore come un piacevole stillicidio. «Passing Through» ancora a firma Verheyen, si muove sulle medesime coordinate, ammanta da un’aura intima e crepuscolare, una rapsodia lirica, in cui pianoforte e sassofono si scambiano promesse per l’eternità, alternandosi in un perfetto gioco delle parti. «Figment», un altro componimento scritto da Drew Gress, pur nella sua narrazione lenta ed introspettiva, mostra una progressione risoluta e segnata da ripetuti cambi di mood e di passo dettati dalla retroguardia ritmica, a sostegno della fitta trama cromatica tracciata dal pianoforte di Copland su carta millimetrata. «Dreamland» di Marc Copland è un album di forte impatto emozionale, senza eccessi virtuosistici, giocato su una progressione rilassata, nonché distesa su un impianto ritmo-armonico ed una sequenza narrativa condivisa e coabitativa: più che un’attitudine, un marchio di fabbrica assai distintivo nel fragoroso caos del jazz contemporaneo

Marc Copland Quartet

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