In «The Flight (Vôo)», appena ripubblicato dalla Red Records, i condizionamenti afrologici o eurocentrici sono dosati ed equidistanti, così come i moduli latino-brasiliani sono stati emulsionati e separati dal tipico mood «todos a la fiesta» che sovente rischia di occultare il reale valore musicale e intellettuale di molti artisti.

Il Mani Padme Trio costituisce un unicum sulla scena jazzistica – e non è un’esagerazione – se diciamo mondiale: solo tre album in dodici anni, in cui dimostrarono che le dinamiche del piano trio non si fossero del tutto esaurite nella genialità di alcune storiche figure di riferimento, ma che si potesse dire ancora molto suonando jazz a tre punte nella classica configurazione pianoforte, basso e batteria I Mani Padme hanno trovato una propria dimensione, addizionando alcuni elementi di diversità propiziati dal loro certificato di nascita: non essendo Europei e neppure Nord-Americani, s’intuì subito che il trio non intendeva essere lo specchio dell’una o dell’altra tradizione jazzistica, ma neppure vittima di un eccesso di localismo autoctono, in cui Brasile o Cuba avrebbero potuto prendere il sopravvento.

Nel loro terzo album, «The Flight (Vôo)», appena ripubblicato dalla Red Records, i condizionamenti afrologici o eurocentrici sono dosati ed equidistanti, così come i moduli latino-brasiliani sono stati emulsionati e separati dal tipico mood «todos a la fiesta» o «toda na festa» che sovente rischia di occultare il reale valore musicale e intellettuale di molti artisti, sotto un eccesso di loisir o di un’esibita e carnascialesca attitudine al ballo. Per intenderci, la musica del Mani Padme Trio è un costruzione jazz di fine architettura con qualche variante al piano regolatore. È alquanto importante comprendere la scelta del nome, come spiegano le note di copertina: «Letteralmente Om Mani Padme Hum, «colui che porta gioielli e loto», si riferisce all’aspetto del Buddha compassionevole (Chenresig). Ogni sillaba di questo mantra contiene un profondo significato di rinnovamento. Om rappresenta la purificazione del corpo, Ma quella del linguaggio, «Ni» quella della mente, «Pad» quella delle emozioni, Me quella del subconscio e «Hum» quella della saggezza». La scelta del nome in relazione a questo particolare mantra, denota già di per sé un marcata componente spirituale.

La loro parabola ascendente inizia grazie ad un’intuizione italiana, quando Sergio Veschi, allora produttore e titolare della Red Records, nel 2004, decide di pubblicare il loro primo album: «It’s A Rainy Day (Um Dia De Chuva)» che ricevette subito il plauso della critica e di un pubblico di raffinati cultori del piano trio, i quali si avvidero subito di come il batterista brasiliano Ricardo Mosca, il bassista Du Moreira ed il pianista cubano Yaniel Matos, brasiliano di adozione, si muovessero in un habitat di estrema originalità espressiva e compositiva, al netto di calligrafismi, virtuosismi dimostrativi e stereotipi da basso impero del jazz. Tre anni più tardi, «Depois», sempre in casa Red Records, sancì le capacita di un trio pianistico in grado di unire i punti cardinali del jazz moderno, senza mai rimanere intrappolato negli schemi di un manuale a fascicoli per eterni studenti-vassalli alla corte dei Nord-Americani. Il terzo capitolo della storia dei Mani Padme, che si compendia in un trittico di album diventati un cult, si conclude nel 2016 con l’uscita di «The Flight (Vôo)», attualmente ristampato, in cui c’è un variazione nel line-up, determinata dall’ingresso di Sidiel Vieira al contrabbasso che assicura un apporto ritmico più creativo rispetto al predecessore, instaurando un efficace e mutualistico scambio con il kit percussivo di Ricardo Mosca. Lo stesso modulo stilistico subisce qualche mutazione, nel senso più positivo del termine, con un maggiore affrancamento da un certo jarrettismo o da qualche simbologia legata a quel Chick Corea, unificatore dei due emisferi sonori. In «The Flight (Vôo)» l’evoluzione è lampante, a dodici anni dal primo lavoro, era inevitabile, ma le regole d’ingaggio e l’involucro ritmico-armonico non si discostano eccessivamente dai precedenti, a parte la scelta di un paio di standard della tradizione brasiliani inseriti nella track-list. Nei primi due album il trio aveva agito ed interagito sulla scorta di farina proveniente dal proprio sacco.

«The Flight (Vôo)» si apre con «Partida», un breve preludio – meno di due minuti di durata – scritto a sei mani, che sembrerebbe una sorta di benvenuto al nuovo contrabbassista, a cui viene affidata l’introduzione del tema, quasi un biglietto da visita, un sinossi basata su un’improvvisazione estemporanea, contenente le intenzioni del trio nei brani a venire, dove ognuno dei sodali offre un piccolo saggio delle proprie abilità strumentali. «Gotas De Rocío» (gocce di rugiada), a firma Matos, è una composizione con un inizio delicato, in cui il racconto pianistico descrive alla perfezione gocce di rugiada che si posano ovunque. Lo stile sembrerebbe identico a quello dei due dischi precedenti, ma la sorpresa arriva nel cambio di passo, dove un crescendo ritmico basato su un ostinato, sposta le coordinate a tutto vantaggio della retroguardia ritmica. «Cais» è il primo dei due brani non originali. Il tributo va Milton Nascimento. L’atmosfera iniziale appare quasi sospesa in un dimensione chiaroscurale ed alimentata dal sacro fuoco del pianoforte, mentre dopo l’intermedio, il muscolare walking del contrabbassista ricontestualizzata l’habitat sonoro in una dimensione ortodossamente jazzistica, per poi ritrovare un andamento più disteso e viaggevole. In «Compreensiva» è il pianista cubano Matos a tracciare le carte nautiche del viaggio, portandosi in acque territoriali più tranquille – dalle quali di tanto emerge il basso di Viera – sulla scorta di un modulo espressivo alquanto accattivante e sornione, al limite del ruffiano.

Non manca quasi mai il solito crescendo rapsodico che sembrerebbe essere la caratteristica di questo terzo lavoro, più incisivo e meno contemplativo rispetto ai precedenti. Il medesimo sistema operativo viene perfettamente rispettato da «Cimarron», un componimento duale basato su una sequenza di accordi più accidentata che trascina la melodia in una spirale aspra ed incessante, bypassando il classico crescendo, mentre la retroguardia non fa prigionieri, planando in fase conclusiva su un terreno più regolare. In «Estrada Rural emergono soprattutto le doti da melodista del nuovo arrivato, specie quando il contrabbasso assume il ruolo di Io-narrante. «El Vuelo», è un ritorno alle origini ed alla tipica climatologia sonora dei Mani Padme prima maniera, in cui il flusso costante del pianoforte traccia una melodia facilmente intellegibile ed combustione rapida. In «Farofa» emerge la nostalgia del pianista per Cuba, sua terra natia, in cui il trio si sposta agilmente in un labirinto di flessuosi esotismi, caratterizzati dal desiderio di aprirsi al mondo, un open space dell’anima, ma senza banalizzare l’impianto ritmico con un balletto da trenino di fine anno. A suggello dell’album, un evergreen della canzone di Bahia, «Rosa Morena» di Dorival Caymmi. L’arrangiamento è distante anni luce da quello originario, tanto che del festoso e carnevalesco ritmo samba resta solo un parvenza: si entra in quaresima, mentre il brano viene declinato con passo felpato, in cui la sadness del jazz surclassa la saudate brasiliana. Appena ripubblicato sul mercato, «The Flight (Vôo)» del Mani Padme Trio è un altro piccolo gioiello estratto dal prezioso scrigno della Red Records. Attenzione perché le sorprese non finiscono qui.

Mani Padme / Yaniel Matos

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