L’autore di questo approfondito articolo, Giovanni Acciai, oltre ad essere uno dei più preparati esperti di musica antica a livello internazionale, è anche un acclamato direttore corale, impegnato, tra l’altro, nella registrazione discografica dell’opera del grande compositore clusonese, uno dei musicisti più autorevoli e illuminati del Seicento, ammirato in seguito, tra l’altro, da Bach, Händel e Hasse.

Dalle fonti storiche e musicali in nostro possesso, apprendiamo come nel corso del Seicento, la città di Bergamo, fin dal XV secolo possedimento della Serenissima Repubblica di Venezia, abbia offerto, soprattutto tramite il contributo della Cappella musicale della Basilica di Santa Maria Maggiore, un consistente, fattivo contributo alla formazione e alla definizione di stili e di forme del linguaggio musicale; contributo che si è materializzato in una sterminata quantità di composizioni vocali e strumentali, racchiuse nei fondi musicali delle principali biblioteche italiane e di quelle del mondo intero.


In questo contesto, la figura e l’opera del compositore Giovanni Legrenzi (Clusone, 1626 Venezia, 1690), uno dei massimi rappresentanti della musica italiana del Seicento, splendore ineguagliabile dell’arte vocale e strumentale dell’epoca barocca, si distingue per la sua grandezza artistica, universalmente riconosciuta. Nato a Clusone, borgo della val Seriana, a una trentina di chilometri di distanza da Bergamo, nella prima decade di agosto del 1626 (l’atto di battesimo porta la data del 12 agosto), figlio di Giovanni Maria, violinista presso la basilica di Santa Maria Assunta, la chiesa parrocchiale di Clusone, e compositore di un certo valore, Giovanni Legrenzi ricevette forse i primi rudimenti musicali dallo stesso padre, anche se non possediamo alcun documento in grado di attestarlo. Vero è che il nostro autore dovette manifestare fin da subito non comuni doti musicali se, in un periodo compreso fra il 1639 e il 1643, venne ammesso a frequentare l’Accademia di Santa Maria Maggiore di Bergamo, per prepararsi a ricevere i voti sacerdotali e per completare la sua formazione musicale. L’Accademia di Santa Maria Maggiore di Bergamo era una nobilissima istituzione strettamente collegata sia alla basilica di Santa Maria Maggiore sia alla Cappella musicale della medesima, e aveva come fine non soltanto quello di coltivare e di incentivare la vocazione dei chierici, ma anche quella di richiedere loro una solida preparazione musicale attraverso lo studio obbligatorio del canto e la pratica quotidiana di uno strumento. Non è da escludere che nei suoi anni di apprendistato presso l’Accademia, Legrenzi abbia potuto beneficiare degli insegnamenti di Benedetto Fontana, primo organista della basilica mariana dal 1623 al 1643 e di Giovanni Battista Crivelli, maestro di cappella della medesima, dal 1642 al 1648.

 

Ritratto di anonimo del XVIII secolo di Giovanni Legrenzi.


Si deve tuttavia giungere all’agosto del 1645 per avere notizie documentate sull’attività musicale del compositore clusonese: il giorno trenta di quel mese, infatti, egli viene assunto in pianta stabile e con un contratto triennale, come organista in Santa Maria Maggiore, in sostituzione di Francesco Rogantino, licenziato tempo prima. Come organista della prestigiosa chiesa bergamasca, Legrenzi dovette svolgere il servizio con irreprensibile zelo, se nei sei anni successivi alla sua nomina, il Consiglio della Misericordia lo confermò sempre nell’incarico, gli aumentò lo stipendio e lo nominò «cappellano semplice», cioè senza l’obbligo della presenza in coro, essendo stato, nel frattempo (1651), ordinato sacerdote. Oltre a ciò, era anche stato accolto fra i membri della locale Accademia degli Eccitati, fondata nel 1642 al solo scopo di riunire persone interessate alla letteratura e alla poesia.
Il giovane e promettente musico sembrava dunque destinato a raggiungere in poco tempo ancor più ragguardevoli traguardi, quando, all’improvviso, il 30 dicembre 1654, il consesso direttivo della basilica, lo licenzia in tronco adducendo una colpa tanto grave (gioco d’azzardo in locali malfamati?) da non poter nemmeno essere riportata nel decreto attuativo d’espulsione. Tuttavia, a causa di un errore formale del provvedimento di licenziamento (il consiglio non aveva permesso al musicista di discolparsi), il 23 febbraio 1655, seppur obtorto collo, Legrenzi viene reintegrato nel ruolo di primo organista.

 

Il documento che sanciva gli impegni (Capitoli) e gli obblighi a cui dovevano sottostare i cantori della Basilica di Santa Maria Maggiore, con tanto di ammende pecuniarie per i trasgressori.


Ma ormai il rapporto fiduciario con i governanti della Misericordia e, forse, anche, con i membri della cappella musicale, si era irreparabilmente deteriorato, al punto da non rendere più plausibile la ermanenza in quell’ambiente del maestro clusonese. Con istanza del dicembre di quello stesso anno, Legrenzi chiede ai reggenti, «con tutta l’humiltà del mio cuore, […] una grata e benigna licenza» dal servizio di organista, adducendo problemi famigliari. A leggere fra le righe della domanda di congedo, viene da pensare che il nostro musicista avesse architettato da tempo la sua partenza da Bergamo e conoscesse già nei dettagli quello che sarebbe stato il suo nuovo incarico professionale. Nell’ottobre del 1656 egli è infatti nominato maestro di cappella dell’Accademia dello Spirito Santo di Ferrara, presso la quale rimase fino al 1665. Lasciata Ferrara in quell’anno, cercò di farsi assumere, senza successo, presso la corte degli Asburgo, a Vienna, in quella dei Farnese, a Parma, e di Luigi XIV, a Parigi. Non miglior sorte ottennero anche i tentativi per il posto di maestro di cappella nel duomo di Milano (1669) e in San Petronio a Bologna (1671 e 1673).
Decise allora di trasferirsi a Venezia per accettare l’incarico (1672) di maestro di musica presso l’Ospedale dei Derelitti (o dei Poveri), più comunemente noto con l’appellativo di «Ospitaletto» e poi, sempre con analoghe funzioni, all’Ospedale dei Mendicanti (1676) per insegnare canto alle orfanelle che vi erano ospitate. In quello stesso anno, il nostro musicista concorse per succedere a Francesco Cavalli, come maestro di cappella di San Marco, ma gli venne preferito Natale Monferrato, già vice maestro della cappella marciana. Cinque anni più tardi, nel gennaio del 1681, sostituì Antonio Sartorio nelle funzioni di vice maestro del Monferrato. Venuto a mancare il Monferrato, il 23 aprile 1685 ottiene finalmente l’incarico di occupare quello stesso posto che era stato del sommo Monteverdi, quarant’anni prima.
Giovanni Legrenzi mori a Venezia, nella sua casa di fronte alla Chiesa di San Lio, il 27 maggio 1690 e fu sepolto in Santa Maria della Fava.

 

Il frontespizio di uno dei capolavori legrenziani, l’Harmonia d’affetti devoti a due, tre e quattro voci, opera terza, stampato a Venezia nel 1655.


Si concludeva così l’esistenza terrena di uno straordinario musicista, che con la versatilità del suo ingegno e con la vivacità della sua fantasia, era riuscito a compiere una strabiliante carriera professionale tramite la quale aveva ricevuto onori e riconoscimenti professionali riservati soltanto ai personaggi più illustri del suo tempo. Onori e riconoscimenti professionali attribuiti non solo in Italia, ma in tutta Europa e che perdurarono anche dopo la sua scomparsa. Sappiamo che Johann Sebastian Bach, Georg Friedrich Händel e Johann Adolf Hasse, fra gli altri, non esitarono a scegliere quali temi d’alcune loro pagine contrappuntistiche le idee melodiche del compositore clusonese, a conferma del valore della sua arte cuspidale e del suo ingegno senza confini. A parte un paio di messe, tra le quali la ben nota Missa Lauretana quinque vocibus, un Kyrie a sei voci, alcuni salmi, due Magnificat, un Dies irae a due cori e strumenti, motetti vari e una Liturgia per il Natale, pervenuti manoscritti, l’intera produzione musicale vocale e strumentale di Giovanni Legrenzi, è compendiata in una quindicina di volumi, affidati ai torchi degli stampatori veneziani e bolognesi, in un periodo compreso fra il 1654 e il 1692, dei quali abbiamo già riferito nel corso di questo scritto e accuratamente divisi in musiche strumentali (contrassegnate dal numero d’opus pari) e in musiche vocali (contrassegnate dal numero d’opus dispari). Rimangono manoscritti, com’era consuetudine per quell’epoca, una quindicina di drammi per musica e appena tre degli otto oratori dei quali si ha notizia che Legrenzi abbia composto. Attraverso lo studio e l’analisi di questo vasto repertorio musicale si comprende appieno come l’arte compositiva di Giovanni Legrenzi sia veramente rappresentativa dello stile barocco, ne sia il suo fulgido emblema, incarnandone e riassumendone i suoi tratti caratteristici. Un’arte, quella legrenziana, che in entrambi i generi vocali e strumentali nei quali si manifesta, si eleva a un livello di grande intensità espressiva attraverso un linguaggio musicale caratterizzato da un contenuto sottile e facile da comprendere, da una singolare raffinatezza melodica, da un erudito gusto armonico, da una impeccabile declamazione del testo.

 

La pagina del manoscritto originale dei Salmi a cinque di Legrenzi, con la parte affidata al secondo violino.


D’altronde, Legrenzi possiede un bagaglio tecnico di straordinario valore e dimostra di saperlo adeguare, soprattutto nell’alveo della musica vocale, alle nuove istanze stilistiche del suo tempo, le quali procedendo nel solco della «seconda prattica» monteverdiana, volevano al centro dell’atto creativo la «parola», declinata in tutta la sua forza espressiva, in tutta la sua corposità rappresentativa. Non il contrario, com’era stato in precedenza, nel corso del Cinquecento, per la «prima prattica» di palestriniana memoria. Rendere il suono della parola per il tramite sonoro della musica diventa l’impegno costante che guida il nostro compositore nella realizzazione della sua opera musicale di genere vocale sacro e profano. Esaltare le funzioni espressive della parola, evidenziarne le valenze semantiche attraverso l’intima aderenza del suono verbale al suono musicale è il compito primario da lui perseguito. Legrenzi non fa certo mistero di aver studiato a fondo le musiche di Claudio Monteverdi, di averle assunte a proprio modello di riferimento, di averne assimilato, fin nei recessi più profondi, la dirompente modernità insieme con la possente forza espressiva. Ma la devozione verso il «divino Claudio» non si riduce a mera opera di ricalco. Al contrario, si trasforma in una ricerca continua, in uno scavo incessante volto all’ottenimento di una personale, inconfondibile cifra stilistica.
Proprio per conferire il maggior risalto possibile ai testi poetici posti in musica, il nostro autore dà fondo a ogni espediente di scrittura musicale disponibile e lo adatta al carattere e al loro recinto espressivo. In conseguenza di ciò, i recitativi, gli ariosi, i concertati con poche voci oppure pleno choro, in «stile antico» o in «stile moderno» che affollano tutta la sua produzione polivoca, non sono soltanto semplici «utensili di lavoro» nelle mani di un pur abile artigiano. Essi sono invece dei veri e proprî espedienti retorici, utilizzati scientemente per rappresentare, già a livello stilistico e formale, gli affetti e gli elementi emotivi insiti nel testo intonato. D’altra parte, per il musicista barocco, nessun’arte retorica aveva più forza di persuasione e più potere di asservimento sulla mente umana della musica.


In questo contesto vanno considerate con attenzione le scelte di Legrenzi riguardanti la distribuzione delle parti nell’àmbito dell’ordito polivoco; l’esaltazione di specifici ruoli timbrici affidati a singole voci per la rappresentazione simbolica del portato emozionale delle parole; l’idea melodica sempre chiara, incisiva, elegante, sorprendente, caratterizzata da una vena inventiva e da una volontà di comunicazione espressiva inesauribili; la tessitura di una trama contrappuntistica già matura nella contrapposizione e nel contrasto dei temi che la innervano; le sapide migrazioni da un piano tonale all’altro, per il tramite di raffinate cadenze ora sospese ora d’inganno ora conclusive per esaltare i singoli episodi nei quali i brani sono articolati.
E che dire delle estese sezioni stilo antiquo, nelle quali il nostro autore può dar libero sfogo a tutta la sua maestria tecnica? Nelle sue mani, tutto il repertorio del contrappunto vocale tradizionale fatto di limitazioni, di canoni, di passi fugati perde qualsiasi riflesso di esercizio accademico e si trasforma in veicolo espressivo saturo di contenuti e di significati. Ogni espediente tecnico è sempre finalizzato all’immediatezza espressiva della parola, non certo allo sterile quanto vacuo artificio combinatorio delle linee vocali: non algidi congegni contrappuntistici, ma pulsante volontà di comunicazione e di dialogo affettivo.

 

I componenti della Nova Ars Cantandi, con al centro il direttore Giovanni Acciai e l’organista Ivana Valotti.

Davvero Giovanni Legrenzi è il più significativo e degno rappresentante della nuova era spuntata all’alba del Seicento e annunciata da quel genio titanico che fu Claudio Monteverdi. Egli è il poeta lirico al servizio dell’espressione vocale e dei sentimenti poetici; l’interprete sensibile capace di far vibrare i moti dell’animo umano e di trasmutarli per virtù d’arte; il creatore ardente ed equilibrato. La sua è musica universale e tuttora attuale e vera. Essa, a distanza di secoli, nulla ha perso della sua freschezza e della sua forza comunicativa primigenia, del suo umano accento di verità.
Perché è musica eterna.

Giovanni Acciai

Un momento di un concerto che si è svolto nella scorsa edizione del festival Musica Mirabilis svoltosi a Clusone, in provincia di Bergamo.

Musica Mirabilis, un festival dedicato a Giovanni Legrenzi

Due anni or sono, per diffondere ovunque la conoscenza dell’opera legrenziana, l’Amministrazione comunale di Clusone, in collaborazione con l’ensemble vocale e strumentale «Nova Ars Cantandi», si è fatta promotrice di un’iniziativa culturale, unica nel suo genere, fondando il festival internazionale Musica Mirabilis e affidandone la direzione artistica a Giovanni Acciai e a Ivana Valotti. In questi due anni, il festival si è fatto apprezzare per l’originalità del suo progetto artistico, caratterizzato da un’architettura volta a coniugare la ricerca e la valorizzazione del repertorio legrenziano non ancora eseguito con la formazione e con la promozione di giovani talenti esecutivi. L’edizione di quest’anno, oltre ad ospitare nelle chiese di Clusone alcuni fra i migliori ensembles vocali e strumentali presenti sulla scena internazionale, vedrà l’attivazione di due laboratori, uno vocale e un altro per gruppi strumentali, laboratori musicali nei quali, concertismo e didattica troveranno il loro ideale punto d’incontro attraverso lo studio, l’approfondimento e la pratica esecutiva della musica vocale e strumentale di Giovanni Legrenzi. Per raggiungere tali obiettivi, Musica Mirabilis si avvarrà della collaborazione di docenti di chiara fama e di indiscusso prestigio internazionale, quali il violinista Luca Giardini, responsabile del laboratorio per ensembles strumentali, e la cantante Santina Tomasello, responsabile del laboratorio di musica vocale da camera. Il festival verrà inaugurato il 21 settembre prossimo dall’ensemble francese Concerto soave, diretto da Jean-Marc Aymes, che proporrà Musiche a una e due voci, tratte dalle opere XII e XIII (1676-78) di Legrenzi. La settimana successiva, dal 24 al 28 settembre, Luca Giardini aprirà le porte del suo laboratorio agli ensembles strumentali per affinare lo studio di alcune sonate per violino e basso continuo di Giovanni Legrenzi da proporre nel concerto conclusivo di questa esperienza didattica.
Il 5 ottobre, l’organista Maurizio Croci, all’organo della Chiesa di Santa Maria Assunta di Clusone, si soffermerà sui legami che uniscono la musica organistica di Bach allo stile italiano, con particolare riferimento al contributo offerto, al riguardo, da Giovanni Legrenzi. Il 10 ottobre, l’organista e studioso clusonese Giuliano Todeschini, terrà una conferenza volta ad approfondire gli anni di apprendistato, trascorsi in Santa Maria Maggiore di Bergamo, da Giovanni Legrenzi, mentre, due giorni dopo, il 12 ottobre, Fabio Bonizzoni e il suo gruppo strumentale «La Risonanza», eseguiranno Sonate da chiesa e da camera (opera quarta, 1614) di rarissimo ascolto del Clusonese, mentre per il secondo appuntamento didattico della stagione 2024 di Musica Mirabilis, il laboratorio di musica da camera, affidato a Santina Tomasello, è in programma il concerto che il 19 ottobre concluderà anche questa sessione didattica del festival. I musicisti de «La Pifarescha», offriranno, il 26 ottobre, un excursus avvincente sulla prassi esecutiva della musica strumentale «Intorno a Legrenzi», proponendo pagine del suo repertorio sonatistico eseguite «con ogni sorta d’istromento» e poste a confronto con quelle di autori coevi del Clusonese.
Il Collegium vocale et instrumentale «Nova Ars Cantandi», diretto da Giovanni Acciai, il gruppo in residenza del festival, concluderà la stagione del festival con ancora una primizia musicale legrenziana: l’Harmonia d’affetti devoti, a due, tre e quattro voci, opera terza (Venezia 1655).
Per maggiori informazioni: https://www.visitclusone.it/musica-mirabilis/

La cover del doppio CD Naxos dell’Harmonia d’affetti devoti, registrata in prima assoluta mondiale dalla Nova Ars Cantandi diretta da Giovanni Acciai.

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