Julian Edwin Adderley, tutti i nomi appartengono a una persona sola, suonava il sax contralto, solo in qualche rarissimo caso il sax soprano, era nato in Florida e aveva dentro di sé il sole, che faceva esplodere ogni volta che prendeva il suo strumento tra le sue mani carnose.
Tutti gli esperti sanno che CANNONBALL era una storpiatura del nomignolo CANNIBAL, datogli perché lasciato solo avrebbe mangiato anche le gambe del tavolo, ma queste sono bagatelle inutili, per esperti del particolare irrilevante. Musicista dalla articolazione strumentale prodigiosa, ogni volta che suonava irrideva i limiti tecnici del suo strumento perché per lui, fortunato, non esistevano limiti tecnici. Aveva portato una bella borsa di pelle piena di blues nel gruppo di Miles Davis che l’aveva accolta senza guardare cosa c’era all’interno, intuendo che c’era un intero ecosistema. Voglio solo parlarvi, con un severo esercizio di retorica e di contenimento, di tre pezzi di Julian Edwin, scelti ubbidendo a una selvaggia, incoercibile etica personale: per me sono i più rappresentativi, per il resto del mondo non lo so perché non lo conosco tutto.
1. Stars fell on Alabama, dal disco Cannonball Adderley Quintet in Chicago, pubblicato dalla Mercury Records nel 1959 (quante notiziole inani, nevvero?), disco che uscirà, identico, anche nel 1964 col titolo Cannonball & Coltrane, perché c’era anche Coltrane che in questo brano, bontà sua, non suona. Questo non è un pezzo, non è un assolo, ma è una enciclopedia di suoni, di ritmo, di invenzione musicale: è una scalata verso le stelle, forse per evitare che cadano tutte al suolo, che Cannonball fa usando il suo sax contralto, piegandolo, contorcendolo, imprimendogli un ritmo accelerato, fermandosi, inserendo del sangue blues, per poi tornare alla felina calma iniziale. Se le stelle fossero cadute che so a Bergamo probabilmente non sarebbe stata la stessa cosa.
2. Waltz for Debby, registrato con Bill Evans il 13 marzo 1961. Inizia come un acquerello, a metà cambia ambito espressiva diventando quasi una statua, poi torno a essere un acquerello: Bill Evans, lo sanno tutti, suonava il pianoforte, lo sapevo anche Edwin che non essendo uno sprovveduto se lo era scelto come pianista in questa incisione. Il pezzo, di Evans, è delicato, leggiadro, a tratti etereo, e il sax contralto entra in punta di piedi, come quelle scarpe a punta che si infilano nelle porte socchiuse; una volta entrato si guarda intorno, dilaga con eleganza, e con la stessa eleganza con cui era entrato se ne va. La porta la apre e la chiude Bill Evans, un privilegio spesso accordato ai pianisti.
3. A little taste, contenuto nel primo album di Julian Cannonball Adderley, pubblicato dalla Savoy Records nel 1955. Dovrebbe essere un medium tempo, ma di medium, qui, non c’è niente. Dopo l’esposizione del tema all’unisono con la cornetta del fratello Nat, comincia a entrare in campo il suo contralto, dapprima con qualche nota rugosa e pienotta nel registro grave, e poi comincia la danza. Pur cercando di trattenersi, come le sue mani fossero controllate da qualche filo invisibile agli altri ma non a lui, come se si dicesse QUI PIANO SE NO SI SPAVENTANO, in nuce c’è già tutto quello che poi diventerà, una esplosione cosmica di gioia, luce, suono e colore. Se avete una cosmogonia personale Julian Edwin “Cannonball” Adderley dovrebbe essere messo più o meno al centro; se non ce la avete, peggio per voi.
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