Marco Lincetto ha ascoltato l’ultimo CD registrato dal cantautore milanese, intitolato La caverna di Platone, e ne è rimasto entusiasmato. In questo articolo ce ne spiega i motivi, con la sua solita verve passionale, soffermandosi anche sulla qualità della presa del suono
Era da molto tempo che non mi entusiasmavo così per un disco nuovo. Sì, intendo dire proprio nuovo, pieno di canzoni nuove, inedite, tutte scritte apposta. È successo questa mattina, ascoltando il nuovo disco di Enrico Ruggeri, La caverna di Platone. E ho fatto bene ad acquistarlo in pre vendita tre settimane fa, perché appena uscito è andato esaurito praticamente ovunque, sia nei pochi negozi di dischi fisici rimasti, sia in quelli virtuali. E questo è un fatto non irrilevante che fa ben sperare per il futuro. Perché dentro questo disco c’è il meglio della creatività di uno degli ultimi artisti della musica, quella vera.
Enrico Ruggeri, il cantautore rock, quello che all’inizio faceva il punk, ma che facendolo mostrava anche di saper suonare (quasi un ossimoro, per il genere… ), ma che poi subito marcò il suo percorso con i tratti caratteristici del miglior cantautorato italiano. Un artista sempre coerente con le sue idee e quindi con le sue scelte, che sempre hanno raccontato la realtà, quella vera, venandola di poesia segnata dai tratti della malinconia, e a volte, perché no, del rimorso e del rimpianto – perché le persone vere hanno sempre un po’ di rimorsi e di rimpianti, perché non esistono gli eroi senza macchia e senza paura, se non nella narrazione dei “vincitori”.
Già, i vincitori… Ruggeri da sempre, ma in particolare in questo disco, riflette e ci racconta il suo punto di vista sui presunti vincitori, quelli che purtroppo, soli e sempre, scrivono la storia, e gli uomini veri, quelli che vivono veramente la Storia, che è sempre caratterizzata da una varietà infinita di toni di grigio, molto diversa da quella narrata dai vincitori, tutta o in bianco o in nero. La storia siamo noi cantava uno dei migliori De Gregori di sempre, e gli risponde Ruggeri con il brano che apre il disco Gli Eroi del cinema muto, che poi siamo noi – sì mi ci metto anch’io dentro – che da sempre, ma in particolare dal 2020 in poi, ci siamo schierati dalla parte di coloro che pensano, che si rifiutano di adagiarsi sulla narrazione del potere di turno, qualunque sia la narrazione e qualunque sia il potere.

Con questa dichiarazione di intenti, il disco procede per i quarantacinque minuti e rotti in cui con dodici più una canzone, il milanese DOC Enrico Ruggeri affronta i temi più differenti, con l’occhio critico del moderno Platone, ma anche con l’ansia della ricerca di un moderno Diogene.
Ne Il Poeta affronta il tema, lancinante, dell’analfabetismo funzionale delle nuove starlette della cosiddetta musica popolare moderna e a ruota, quindi, della cosiddetta cancel culture, partita da un luogo non luogo che è poi una certa intellighenzia di area statunitense, che probabilmente neppure conosce il significato della parola cultura. E fa il paio con questo tema, qualche traccia dopo, con il brano Das ist mir würst dove senza se e senza ma, su una musica assonante con alcuni temi popolari bavaresi, dichiara senza mezzi termini il suo – e il nostro – amore per la cara vecchia Europa, quella appunto della millenaria Cultura europea che non a caso descrive, cito letteralmente il verso: Tra le cattedrali e i castelli del nord/Tra Vienna e la Scala, tra Londra e il Bolscioi [che sta a Mosca, aggiungo io, perché anche Mosca è Europa]… per poi, abbandonando il recitar-cantando che è il tratto interpretativo di tutto il disco e passando a uno scultoreo recitato (cito ancora letteralmente la strofa): “L’Europa delle banche, delle multinazionali/Dei centri di potere,/Della manipolazione del pensiero/Non è la mia Europa/Non è l’Europa che voglio.
Insieme e non disgiunta dalla sua autentica presa di posizione politica, Ruggeri non dimentica di regalarci canzoni struggenti, legate a un lirismo minimalista dedicato per lo più agli ultimi della Terra (le Anime Salve di De Andréeiana buona memoria… ) in brani come Zona di guerra o La bambina di Gorla, in cui – in quest’ultima – ricorda le tragedie assurde e inutili arrecate dai portatori di libertà, ricordando qui l’episodio del bombardamento di Milano da parte dell’aviazione americana che il 10 ottobre 1944 colpì una scuola elementare nel quartiere Gorla, uccidendo 184 bambini – nell’ambito del disegno alleato di colpire esplicitamente la popolazione civile italiana, per fiaccare il sostegno degli italiani al regime fascista: una serie di bombardamenti che colpirono indiscriminatamente le grandi città del centro nord, da Roma a Firenze, da Padova a Milano a Torino, a Cagliari…
Nell’ultima parte del disco, il cantautore milanese si dedica a temi ancora più intimistici, fra cui svetta innanzitutto quel capolavoro che è Cattiva compagnia. Ricordate il vecchio adagio popolare che ci raccontavano da bambini, ovvero “meglio solo che in cattiva compagnia”? Ebbene, qui Ruggeri mescola le carte e ribalta il punto di vista, affermando nel finale come in realtà: Se soffri di solitudine probabilmente sei in cattiva compagnia./Se vivi nell’abitudine – sei solo. Un verso finale, questo, che arriva dopo una lunga confessione in poesia di molti tratti, probabilmente, della sua esistenza, sempre ai margini di una benedetta “cattiva compagnia” fatta di scelte, di errori e di tanta unica umanità possibile.
Ruggeri gira ancora attorno a questo tema anche in due bellissime ballate; nella prima, intitolata Le notti di pioggia, in cui esplicitamente cita le parole “rimorsi e rimpianti”, con la consapevolezza del valore dei medesimi, differentemente dal vincitore di turno che normalmente si vanta di aver vissuto una vita senza rimorsi e senza rimpianti… E poi, arrivando all’ultimo brano che chiude il disco, in Arrivederci addio, dedicato a una morte tanto inevitabile quanto onesta nella sua essenza: Arrivederci addio/Abbracciami e respira la mia pelle/La notte è illuminata dalle stelle/Abbiamo riso insieme e insieme abbiamo pianto/Il fuoco non è ancora spento/Anche il paradiso può aspettare/Eppure prima o poi bisogna andare/Arrivederci addio/È stata un’emozione volta nello spazio/
Nell’ultima canzone c’ero io/Arrivederci addio. … E sull’ultimo Arrivederci addio, la musica sparisce e il disco finisce.

Dunque, tredici brani che disegnano un affresco di un’umanità tanto possibile, quanto ormai oggi minoritaria, ma… forse in controtendenza… in fase di risveglio. Risveglio di cui Ruggeri si elegge cantore e mentore, e lo fa a buon diritto. Non ho parlato del brano che dà il titolo al disco, ovvero La caverna di Platone: ebbene… se non sapete di cosa si tratta, andatevi a studiare un po’ di filosofia, che male non vi farà, e ne capirete al meglio il significato! E la musica?
È rock ad ampio spettro, con tante citazioni e concessioni ad altri mondi della cultura popolare, come appunto in Das ist mir würst. La cifra interpretativa di Ruggeri si caratterizza attraverso un piacevole, diffuso, recitar cantando, con poche ma significative scalate verso un lirismo emozionante, che gli è tipico e peculiare. Non vorrei dirlo, ma la musica, comunque solida, a tratti geniale, suonata in modo impeccabile da una schiera di musicisti fantastici, fa in questo disco da cornice nobile ai testi che credo mai come in questo caso sono tutti tanto fondamentali, quanto imprescindibili, nel tratteggiare la realtà di oggi, vista dalla parte di chi non si è mai piegato alle narrazioni imposte dall’alto, da chi ha subito la scure del potere per la propria dissidenza, da chi rivendica il diritto inalienabile e intrattabile alla libertà personale e, in seconda consequenziale battuta, alla libertà dei popoli, quelli veri, quelli ancorati alla proprie radici affondate in una tradizione millenaria, molto differente dai minestroni, dai melting pot farlocchi che vorrebbe imporre chi ancora, purtroppo, guida il vapore.
La registrazione, il mix e il mastering di questo disco sono semplicemente perfetti, il disco, nella versione in CD, che ho utilizzato per questo ascolto, suona in modo spettacolare e appagante. Fra quelli che bazzicano il mainstream, come si usa dire, Enrico Ruggeri è l’unico artista italiano in attività, insieme con Edoardo Bennato, con il quale oggi mi sento affine e in piena sintonia. E, mannaggia, quanto mi sarebbe piaciuto poter produrre io questo disco!
Ultima nota a margine, che mi porta a una lacrima di commozione, è di leggere nei credits, chiaramente sottolineato, come la voce di Enrico non abbia subito lo strazio dell’autotune (NO AUTOTUNE). Altro tratto distintivo di chi la musica ancora la suona e la canta veramente.
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