Al solito, capita che finisca per irritarmi nel leggere un cumulo di imprecisioni, fantasie e corbellerie varie su temi strettamente attinenti alla mia professione; in particolare capita di leggere pareri positivi su cose negative e magari, peggio, pareri negativi su lavori eccezionali. Capita, quindi, che sorga in me l’impellente necessità di cercare di fare chiarezza su come stanno realmente le cose nel merito.

Oggi vi parlerò del cosiddetto “Remastering“.

Come dice la parola stessa si tratta di una pratica, abbastanza diffusa, tramite la quale qualcuno decide di rimettere mano al master di una produzione discografica precedentemente già pubblicata. E’ una procedura delicata, spesso necessaria soprattutto nel momento in cui si dec ide di ripubblicare vecchie registrazioni, magari da tempo fuori catalogo. La qualità del risultato finale dipende da alcuni fattori importanti e non sempre abbiamo la garanzia di ottenere un risultato di qualità.

A questo punto però è necessario fissare alcuni concetti fondamentali, indispensabili per guidare ad un corretto approccio a questa pratica da parte di chi la intraprende e per far capire all’utente finale quali sono i parametri da tenere d’occhio se proprio ci si vuole improvvisare “critici audio”…

CHI OPERA SUL REMASTERING

Ci sono sostanzialmente due casi ben precisi:

1 – il remastering viene realizzato sotto la supervisione di, o addirittura direttamente dal produttore e/o dall’artista che realizzarono il master originale;

2 – il remastering viene realizzato da un tecnico incaricato tipicamente dalla casa discografica che detiene i diritti del master in oggetto ed opera autonomamente, senza contatti con chi realizzò il master originale.

Nel primo caso c’è ben poco da dire: QUALUNQUE sia il risultato del remastering, che possa piacere oppure no all’utente finale o a chicchessia, va accettato per buono. Anche se dovesse non piacere, anche se si preferisse la versione originale, il nuovo master avrà la DIGNITA’ ASSOLUTA derivante dal fatto che rappresenta l’attuale visione, l’attuale idea di suono dell’artista. E quindi, semplicemente, non c’è spazio alla discussione. Va accettato, o rifiutato, ma nessuno ha titolo per discutere le scelte dell’artista.

Nel secondo caso il discorso è invece più complesso e articolato. In questo caso infatti, l’obiettivo primario è – o meglio DEVE ESSERE – far emergere nel nuovo master la migliore rappresentazione possibile oggi del contenuto musicale voluto dall’Artista all’epoca. Attenzione, perchè questo è un concetto chiave e assolutamente imprescindibile: i supporti servono a veicolare MUSICA non semplici suoni più o meno accattivanti. Il punto di partenza di tutto il lavoro sarà dunque quello di confrontare innanzitutto i supporti orginariamente prodotti con il master oggi disponibile (tipicamente un nastro analogico). Ma prima ancora di effettuare questo confronto, andranno verificate le condizioni fisiche del master analogico: in molti casi questo infatti potrà presentare i tipici segni dell’usura del tempo e nei casi peggiori (tipici spesso di una conservazione non attenta) ci sarà il rischio concreto che addirittura il nastro non sia leggibile a causa dello scioglimento del collante presente sullo strato superiore del supporto (il collante serve a far aderire le particelle magnetiche), che finisce così con l’incollare le spire del nastro, rendendone impossibile la riproduzione. In questo caso sarà necessario procedere ad un “riscaldamento” del nastro stesso in appositi” forni” a controllo digitale, specificamente progettati per questo scopo.

Una volta rigenerato e reso riproducibile il nastro, questo va acquisito in formato digitale ad altissima risoluzione: a questo punto si potrà agevolmente e con comodo confrontare il suono del master originale rigenerato con i supporti dell’epoca, tenendo sempre presenti anche le schede di lavoro originali e se disponibili le partiture e ogni notazione musicale a margine. Questa è la fase delicatissima in cui l’operatore dovrà valutare con attenzione, mediando gli ascolti e confrontando i documenti scritti, qual è il contenuto musicale “profondo” del master. Una volta valutati tutti i parametri potrà procedere, se necessario, con qualunque accorgimento ritenga utile, a valorizzare il messaggio musicale presente nel master. Attenzione ancora una volta: in questo caso il tecnico di remastering deve avere NECESSARIAMENTE competenze musicali professionali, perchè, di fatto, diventa il nuovo produttore musicale del progetto. Addirittura, spesso, al remastering si affianca il remix, partendo dai nastri multitraccia se disponibili…

Un esempio eclatante di questa importante figura di “Tonmeister” è rappresentata oggi da Steven Wilson, notissimo artista neoprog inglese, leader del gruppo Porcupine Tree, che nel corso degli ultimi anni è diventato anche il sound engineer di riferimento per tutti i più importanti lavori di remastering dei titoli più leggendari del prog inglese anni ’70: dagli YES ai Jethro Tull, giusto per citarne un paio di clamorosi. E i suoi lavori sono GIUSTAMENTE osannati come riferimenti assoluti.

Proprio ascoltando il lavoro di Wilson si capisce bene cosa io intendo per lavoro di eccellenza: i master originali non sono mai stravolti, ma il nuovo master è complessivamente differente in senso positivo. Appunto: valorizzazione della Musica, senza nè sentirsi schiavi del suono del master originale, ma neppure sentirsi improvvisamente dio, così da stravolgerne l’essenza.

In questi giorni, ultimo in ordine di tempo, sto gustando con inusitato piacere il lavoro di remastering fatto da Steven Wilson su “Songs From The Wood” dei Jethro Tull: un capolavoro assoluto, un suono sublime, nel rispetto totale della Musica voluta da Ian Anderson e Martin Barre nel lontano 1977. Un lavoro certosino che appaga e soddisfa pienamente e, personalmente, mi autorizza ad archiviare definitivamente la mia amata copia in vinile, originale del 1977.

I CATTIVI REMASTERING

Ma allora, è tutto bello, ogni volta che si legge “remastered” sulla copertina si può comprare a scatola chiusa? PURTROPPO NO! Esistono ancora troppi lavori di remastering fatti in modo che definire approssimativo è un semplice eufemismo. In tanti casi, temo la maggior parte, il remastering consiste nel prendere un supporto a caso, magari un vecchio riversamento digitale per far prima, e comprimere brutalmente il suono, con il solo scopo di far suonare “più forte” il nuovo CD o più spesso direttamente il file MP3 ad uso streaming. Rientriamo a buon diritto anche con questi lavori nella famigerata e cosiddetta “loudness war” che tanto male ha fatto, e fa, alla Musica.

COME SCEGLIERE?

Ancora una volta bisogna scegliere… il “manico”: ovvero è indispensabile andare a vedere, a scoprire chi ha realizzato il remastering, quale tecnico, almeno quale studio. Un piccolo percorso ad ostacoli, ma necessario se si vuole avere la certezza di cosa si sta acquistando.

Oppure vi fate un giro di roulette… Buoni ascolti!

Marco Lincetto

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