Mi è stato chiesto di scrivere delle memorie su Bè Yamamura, certamente ci sono persone che lo hanno conosciuto e frequentato più di me, che ne hanno condiviso assieme più tempo, più pranzi e più cene, dal canto mio posso dire di essermi confrontato con lui, di aver cercato di coglierne intenzioni e metodi, specialmente negli ultimi periodi della sua vita, al crescere della mia consapevolezza ed esperienza professionale. Spesso ho ribadito e ribadisco ancora che l’ascolto della musica, dal vivo o riprodotta che sia, è carico di mille sfumature alle quali ognuno di noi attribuisce la precedenza e, per tale ragione, si creano spesso dibattiti e contraddizioni nelle discussioni tra gli appassionati. Questo, a mio avviso, non significa che al nostro orecchio arrivino informazioni diverse, ma bensì che è estremamente difficile riuscire a cogliere l’interezza del messaggio musicale che ascoltiamo, indirizzando di conseguenza l’attenzione ai parametri ai quali dedichiamo maggiori attenzioni. Nel mio percorso professionale, ad esempio, ho notato quanto sia differente il metodo di ascolto tra le varie categorie di professionisti, fonici da studio, fonici da live, musicisti, dibattendo su alcune registrazioni sembrava che avessero ascoltato cose diverse tanto le loro attenzioni si focalizzassero su parametri molto distanti tra loro. Detto questo ritengo completamente insensato discutere su prodotti senza conoscere perfettamente l’intenzione del progettista come ritengo ogni progettista bravo per quanto riesce a trasferire sui suoi prodotti il proprio stereotipo di ascolto. A mio avviso qualsiasi marchio che propone prodotti, seppur di fasce diverse, che non mantengano una spiccata caratteristica di base, o non ha idee chiare oppure cerca di fare fatturato a qualsiasi costo, non ottenendo di conseguenza la mia stima.

Bè aveva idee molto chiare di come voleva ascoltare, come ho potuto constatare in pochissimi altri progettisti e andava nella sua direzione riuscendo a raggiungere i suoi obbiettivi, e questo per me è sinonimo di grande professionalità.

Cerco di argomentare, per quello che sono riuscito a cogliere, quale fosse il “suo” suono. Per lui il parametro fondamentale e irrinunciabile era che non si dovesse riuscire a percepire i diffusori, che dovessero scomparire dalla sala di ascolto e che il timbro degli strumenti fosse quanto più naturale possibile, ricordo sempre la sua affermazione “la musica deve essere no stress”. Effettivamente quel suono aveva un fascino particolare e abbastanza singolare, al primo ascolto ammaliante. Ricordo la sua soddisfazione di quando venne a casa mia a farmi l’avviamento del sistema con le sue Dionisio di ultima generazione che montavano driver a compressione, effettivamente il suono si percepiva da ogni dove nella stanza. Venendo al progetto di quelle trombe è tutt’ora il più straordinario mi sia capitato di misurare, con un ALE ACOUSTIC 7550 DEP, gola quindi da 1, ¼ di pollice la risposta in frequenza era perfettamente lineare da 120 Hz a 5000, a mio avviso ottenuto con una tromba lunga circa 7 metri (se la memoria non mi tradisce) era un risultato da extraterrestre.

In seguito mi accorsi di non essere totalmente allineato a queste sue convinzioni perché quel risultato comprendeva anche l’ascolto di molte riflessioni ambientali, in effetti a memoria non ricordo un ambiente con un sistema Yamamura che fosse trattato acusticamente e di conseguenza fase acustica e possibili cancellazioni non erano di certo quelli che io oggi ricerco. Come la riproduzione del palcoscenico non era di certo il parametro che più entusiasmava.

Altre sue innumerevoli qualità erano la conoscenza dei componenti, sapeva esattamente quale condensatore, transistor, resistore ecc. inserire nel progetto di un apparecchio per ottenere l’impostazione timbrica che cercava, come la scrupolosità nel realizzare le sue opere, ricordo che un giorno stava montando un connettore RCA da pannello, abbondantemente isolato, sul telaio di un amplificatore e dopo averlo stretto meccanicamente prese il tester per verificare se fosse veramente isolato dalla massa del telaio, tutte cose che si danno talmente tanto per scontate che vederle fare ti lasciano di stucco e sono un chiaro segno della meticolosità e pignoleria della persona.

Un altro argomento, forse quello su cui più ci siamo confrontati, era l’utilizzo del tipo di filtri digitali, ebbene si, Bè, il re degli analogisti fu uno dei primi a comprendere l’efficacia e la necessità di utilizzare dominio digitale per allineare sistemi multivia. Nel suo software di gestione in realtà i punti di intervento non erano moltissimi in quanto era dotato di automatismi che aiutavano l’operatore quindi il dibattito era focalizzato in prevalenza sulle pendenze più efficaci da utilizzare. Ricordo sempre una cena dove eravamo seduti accanto, in cui io gli espressi la mia contraddizione alla sua idea di utilizzare filtri a pendenza molto verticale, scelta che comunque aveva alcuni vantaggi, sostituendoli con altri decisamente più morbidi e con tovagliolo di carta e penna alla mano e con grafici e disegni, gli spiegai le mie motivazioni. Al termine della mia spiegazione mi disse “Mirko quando avresti un po’ di tempo da passare con me per discutere di questa cosa”. Inutile dire che ricordo spesso quella sera con orgoglio e soddisfazione, anche perché in quel momento non ero certo quello che sono oggi e non avevo ancora realizzato quello che ho realizzato fino ad ora, quindi rendermi conto del suo interesse alle mie teorie fu per me molto commovente.

Ci sono altri aneddoti da raccontare che fanno comprendere la persona, ricordo che eravamo ad una fiera a Milano, io giovane e curioso lui nel pieno della sua ricerca e fama, iniziammo a parlare di cavi, a quel punto iniziò a spiegarmi dettagliatamente quale fosse la sua idea del miglior cavo possibile e nel mezzo della spiegazione lo chiamarono in quanto alcune persone avevano bisogno di lui. Dopo diverso tempo, almeno un’ora, venne a cercarmi e mi disse “Mirko vieni che non avevo finito di spiegarti quella cosa”, proseguì quindi nella descrizione. Bè era persona estremamente generosa, secondo le tradizioni giapponesi, chi conosce quella cultura sa bene che non è loro abitudine trattenere per se esperienze e ricerca ma amano condividere le loro informazioni e Bè era un chiaro esempio di questa cultura. A quel tempo mi meravigliavo di quel suo atteggiamento, solo in futuro, lavorando più spesso con persone giapponesi scoprii che per loro fosse la normalità.

Uno dei primi incontri lo ricordo con stupore e simpatia, ero in un famoso negozio di Milano e Bè presentava il suo giradischi top, quello con la sospensione ad aria senza perno e per dimostrate la bontà della macchina chiese un martello di gomma alla sua compagna Keko, persona dolcissima, e mentre la testina stava leggendo una traccia sferrò una martellata sullo stabilizzatore in grafite posto sopra il disco tanto da far rimbalzare lo stesso, non si percepì nessun rumore dall’impianto. Ricordo che a fianco a me era seduto il compianto Bebo Moroni con il quale ci guardammo con facce incredule a quella bizzarra e incredibile dimostrazione.

Un’altra nota di colore fu un giorno a casa mia, ricordo che avevo regalato una pista per le macchinine a mio figlio e ci stava giocando. Bè, che aveva un percorso professionale legato alle auto da corsa, gli diede consigli su come fare per bilanciare meglio le macchinine in maniera che fossero più stabili sulle rotaie della pista, non vi sto a raccontare le risate.

L’ultimo incontro, 2015, alla fiera di Monaco di Baviera, mi chiese la disponibilità per trasportargli e montargli i materiali per la fiera, io arrivai il giorno prima preparai montate le Dionisio grigie e gli prestai i miei driver ALE e un sub, purtroppo non riuscirono poi a far funzionare il sistema e si tradusse in una demo statica. Il giorno dopo arrivò allo stand e quando mi vide mi saluto con uno scherzoso “ciao maestro”

A pranzo mi chiese di fargli compagnia, ci trovammo soli faccia a faccia, l’ultima occasione per strappargli qualche consiglio e cercare di capire quale fosse per lui il santo Graal, la risposta non fu lapidaria, non rientrava nei suoi canoni, come per tutti i geni il miglior progetto deve ancora venire, solo gli stolti hanno tutte le risposte a portata di mano. In quella occasione, amante del buon vino, alzò un tantino il gomito e quando se ne rese conto mi chiese di accompagnarlo allo stand, alla mia domanda “ Bè ma stai bene, hai dei problemi” la risposta disarmante come sempre “ No Mirko io sto benissimo, mia moglie Keko ha problemi adesso” lo accompagnai allo stand sottobraccio con un sorriso sotto ai baffi, scoprendo un altro lato della sua persona, era anche simpaticissimo.

Dopo quel giorno qualche scambio di email e messaggi, niente più, mi rimarrà sempre il suo ricordo che conservo gelosamente, nonostante oggi la mia idea sia parecchio distante dalla sua, ma in fondo siamo tutti figli dei nostri tempi e i giudizi vanno sempre contestualizzati, ciao Bè.

Mirko Marogna

Iscriviti alla nostra newsletter per rimanere sempre aggiornato.

×