“Vanità. Decisamente il mio peccato preferito”, ammette Al Pacino in chiusura del film “L’avvocato del diavolo”.

Suona forse osceno, ma sono del parere che se un peccato va ammesso, tanto vale esserne fieri. Chi, del resto, potrebbe condannare un po’ di vanità perpetrata in tutta coscienza e lucidità senza provare un pizzico di simpatia verso il reo confesso, che sì, si dichiara colpevole, ma poi non si pente affatto del suo piccolo “crimine”? È come guardare in uno specchio e voler a tutti i costi vedere un’immagine limpida di noi stessi. Non vi vorrei così banali, e così banali non vorrei neppure gli artisti.

Ciò che mi piacerebbe, al contrario, non è tanto la mancanza di vanità, quanto la serena rivendicazione della propria simpatica malefatta. Sia chiaro, quando generalizzo (cosa NON politicamente corretta), non mi riferisco alla totalità degli artisti, a quei musicisti che fanno del loro lavoro una vera missione. Ne ho trovati di tutti i colori nei miei 5 lustri in discografia: di quelli che presentano immagini di sé in ciabatte, o di coloro che, di foto, inviano una di 25 anni prima, con molti capelli in più e qualche chilo in meno. Si dirà: “Male! Sono musicisti poco attenti al dettaglio; non sono professionali”. In verità, ho scoperto che non è così, e che la cura, o il disinteresse, verso la propria immagine, è trasversale per fasce d’età e cifre artistiche. Ho avuto modo di conoscere veri Artisti – di quelli per cui la A maiuscola si impone – la cui attenzione per tutto ciò che è apparenza (da apparire, ovvero ciò che si mostra alla vista) è pari allo zero, e altri la cui cura dell’immagine non è secondaria all’accordatura dello strumento.

I giovani sono i miei preferiti, quelli che escono dal Conservatorio e primieramente si lanciano verso uno studio fotografico con strumento sottomano, e poi lo brandiscono in pose plastiche sotto le lenti di un fotografo, il quale, a sua volta, non si limita a fare foto: no, è artista (minuscolo) anch’egli. Risultato: dei giovani D’Artagnan col clarinetto, aggravati da espressioni ora comprese, ora ieratiche (Karajan docet) giù giù fino all’insolenza; quando poi ad apparire nella foto non ci stanno anche un paio di piedi. Nudi.

E qui casca l’asino, signori miei. Perché passi la faccia, ma i piedi… non sono forse, i piedi, un tangibile segno di vanità? E passi anche la giovinezza, l’inesperienza, la ferma convinzione dei vent’anni che il mondo è lì che ti aspetta. Ma a cinquanta… a sessanta, quando la canizie avanza e i giochi, anche i migliori, ormai sono fatti. Pappagorge oscillanti su papillon, pance a rischio di scoppio bottone, volti arati dalle stagioni. E passino allora gli inevitabili segni del tempo (l’alternativa si sa qual è), ma si conservi almeno la dignità: macché! Una volta ci è stato chiesto di aggiungere dei capelli e renderli di un colore più scuro, già su una tinta posticcia, a metà strada tra lucido per le scarpe e laterizi. Vedete voi…

Se l’immagine ha una sua importanza, non varrebbe allora la pena che sia almeno bella? Si dirà: “la bellezza, come la giovinezza, è un dono, non una virtù”; certo, ma se di virtù si vuol dire, si contempli almeno anche il buon gusto. Tutto sommato, un artista dovrebbe vendere la propria maestria, il prodotto tra dote naturale e anni di studio, non la propria faccia. Avete mai notato tutti quei musicisti ingombrare le copertine dei CD? Ora, a meno che non si tratti di nomi universalmente noti, posso garantire che un disco con la foto dell’interprete in copertina, non ha più possibilità di vendita di uno con il quadro di una qualche madonna. Di più: trovo davvero controproducente affidare la copertina a un volto poco gradevole. Non è diplomatico, lo so. Mi si accuserà di essere superficiale, di non meritare la stima di tanti, ma se di accuse si vuol parlare, allora non dovremmo ricordare quel vizietto di cui prima… come si chiamava? Ah, sì la vanità… La si ammetta dunque, senza vergogna. Si smetta di ripetere come una campana rotta che “si è al servizio della musica”. Nessuno di noi lo è: chi come discografico, chi come artista, come critico, come studioso. È prima di tutto la musica ad essere al nostro servizio, fornendoci il mezzo con il quale esprimere noi stessi.

Noemi Manzoni

Iscriviti alla nostra newsletter per rimanere sempre aggiornato.

×