Facciamo finta di non sapere nulla di Alta Fedeltà, di non avere proprio idea di cosa si stia parlando e allora perché non approfittare dell’ineffabile A.I. per vedere cosa ci dice in proposito? È questa la nuova “provocazione” di Pippo Basile di fronte a una serie di riflessioni che riguardano il nostro mondo di suoni sempre perfettibili, prendendo anche come esempio un sistema rivoluzionario, ma finora poco compreso e apprezzato, quello offerto dalla coppia di diffusori Kef Ls60
Alta Fedeltà (in inglese High Fidelity o Hi-Fi) è un termine utilizzato per descrivere la qualità elevata della riproduzione sonora, progettata per essere il più fedele possibile alla registrazione originale. Si riferisce a sistemi audio che riproducono musica e suoni con un’elevata precisione, riducendo al minimo distorsioni, rumori o alterazioni rispetto alla registrazione originale. Ecco alcuni aspetti chiave legati all’Alta Fedeltà:
- Qualità sonora: I sistemi Hi-Fi sono progettati per offrire una riproduzione del suono dettagliata, equilibrata e chiara. Gli audiofili, ossia gli appassionati di musica che cercano la massima qualità audio, puntano spesso su dispositivi Hi-Fi per avere un’esperienza sonora superiore.
- Componenti: Un tipico sistema Hi-Fi include componenti di alta qualità come amplificatori, altoparlanti, lettori CD o giradischi, sintonizzatori radio, convertitori digitali-analogici (DAC) e cavi audio. Ogni parte del sistema viene scelta per contribuire a una riproduzione sonora impeccabile.
- Bassa distorsione e rumore: L’obiettivo dei sistemi Hi-Fi è minimizzare le distorsioni e il rumore di fondo per rendere l’ascolto il più puro e fedele possibile. Ciò si traduce in una maggiore precisione nella riproduzione dei dettagli e nella separazione dei suoni.
- Vinili e analogico: Molti appassionati di Hi-Fi preferiscono il formato analogico, come i dischi in vinile, che, secondo loro, offre una qualità sonora più “calda” e naturale rispetto ai formati digitali. Tuttavia, i moderni sistemi Hi-Fi possono includere anche lettori digitali di alta qualità.
L’Alta Fedeltà è quindi un concetto strettamente legato alla ricerca di una riproduzione sonora ottimale, ideale per chi desidera un’esperienza musicale che rispecchi il più possibile l’intento originale del compositore o dell’artista.
Giuro che quanto finora ho scritto l’ho preso testualmente da ChatGPT, ma sostanzialmente è la definizione, virgola più o virgola meno, che verrebbe data da chiunque voglia sintetizzare al massimo il concetto di Hi-Fi. Però, se ci fate caso, in questa descrizione mancano due elementi fondamentali, ossia la Musica, da cui si ricava la traccia/file origine da riprodurre, e l’ascoltatore, elemento che più d’ogni altro influenza il risultato finale di qualsiasi catena audio.
Nel primo caso, ossia la Musica, potremmo dire che quella è e resta tale,mentre nel caso dell’ascoltatore la cosa si complica e non poco, perché, a parte la valutazione che lo stesso potrebbe dare del come suona un impianto in termini di mera tecnica, c’è anche da valutare se alla fine un impianto venga apprezzato per la qualità dei suoni che emette ovvero per come possa restituire la sensazione che si sia ascoltando musica. Dando per scontato che un qualsiasi brano musicale per essere restituito da un impianto debba essere poi ridotto sotto forma di traccia o file (nel primo caso se si parla di riproduzione analogica, nel secondo invece se si parla di riproduzione digitale), rimane ovviamente da definire il percorso che lo stesso file/traccia debba fare per giungere alle orecchie dell’ascoltatore, e qui il discorso tecnico, che pure apparentemente dovrebbe presentare soluzioni univoche, invece si trasforma in un bel percorso impervio, degno dei migliori Camel Trophy d’una volta, in quanto i produttori di apparecchi Hi-Fi presentano le loro soluzioni come quelle che possono essere considerate come le uniche degne di nota.
Riprendo per un attimo l’ultima frase creata da ChatGPT: L’Alta Fedeltà è quindi un concetto strettamente legato alla ricerca di una riproduzione sonora ottimale, ideale per chi desidera un’esperienza musicale che rispecchi il più possibile l’intento originale del compositore o dell’artista. Di fronte a tale spiegazione mi verrebbe da sbottare: Ma quando mai??!! Non perché ciò non sia il per così dire quid auspicabile, quanto perché il movimento audiofilo negli anni s’è incaponito su argomenti che puntano decisamente all’estetica del suono piuttosto che al tentativo di restituire musica. C’è da dire che non tutti i progettisti ragionano per così dire, a senso unico, tenuto conto che alcuni di essi mostrano una certa sensibilità verso l’argomento (a tale proposito, ne cito uno per tutti, ossia l’ingegner Enrico Rossi di Norma Audio, che nei suoi video, e non solo, non ha mai fatto mistero di puntare al senso della musica piuttosto che all’estetica dei suoni, facendolo peraltro con ostinazione e con convinzione, ma mi permetto di dire che è la classica “mosca bianca”, per il semplice fatto che la maggior parte degli addetti ai lavori si appoggia letteralmente su mere disquisizioni tecniche che, però, alla fine, non se ne abbia a male nessuno, sanno tanto di pubblicità di detersivi per lavabiancheria anni Sessanta/Settanta con il proclama “Il mio bianco è più bianco del bianco!”).
Ma gli audiofili che si muovono nell’arengo del borbottare si nutrono molto spesso di pseudo acculturamento tecnico e le loro scelte sono figlie di mille teorie e di mille discussioni nate in notti di plenilunio confrontandosi con i “confratelli” frequentatori di Facebook o con i militanti nel forum di turno. Inutile girarci intorno, lo zoccolo duro dell’audiofilia è costituito dall’infinito gioco del leva e metti di apparecchi, cavi, supporti, connettori, trattamenti acustici e chi più ne ha più ne metta.
L’audiofilia stessa probabilmente, intesa come movimento, non esisterebbe se non ci fosse il suddetto gioco del leva e metti e questo ci deve far riflettere su un aspetto fondamentale, vale a dire che l’audiofilo in genere non punta al risultato ma al giro di giostra che si fa per raggiungerlo e, fra l’altro, questo risultato, se ci si fa caso, non è quasi mai il medesimo per due soggetti diversi, il che fa pensare che il senso della riproduzione audio sia quello di puntare all’optimum individuale piuttosto che, scusate l’allitterazione, al risultato reale. Anche se negli anni Sessanta e Settanta gli oggetti rientranti nella categoria dei prodotti dell’Alta Fedeltà erano molti di meno rispetto ad oggi e la stessa Hi-Fi era in un certo senso roba per pochi, c’erano già le prime avvisaglie di come l’abbinamento fra amplificatori e casse (si chiamavano così) non fosse così scontato. Ma è stato a partire dalla fine degli anni Settanta e per tutti gli anni Ottanta (e quelli a seguire) che si è scatenato letteralmente tutto lo “scatenabile” e di fatto le odierne disquisizioni sull’Alta Fedeltà sono figlie delle stesse di almeno quaranta anni fa, ne più e ne meno. Valvole piuttosto che transistors, cavi in rame piuttosto che in argento, accoppiare o disaccoppiare, trattamento acustico attivo o passivo, analogico o digitale, diffusori monovia o plurivia… E se a un certo punto invece si puntasse a eliminare le infinite possibili varianti per puntare con assoluta certezza a quello che dovrebbe essere, lo ripeto ancora una volta, il risultato? Sì, va bene, ma qualcuno giustamente a questo punto potrebbe obiettare: Quale dovrebbe essere questo benedetto risultato? Quella che apparentemente appare una domanda senza risposta, almeno in teoria non lo è, perché poi nella realtà il tutto si disperde allorché si percorre la terra di mezzo costituita dai cataloghi che ogni costruttore propone per consentire all’appassionato di scegliere l’apparecchio che più si confà alle varie esigenze.
Ma se adesso facciamo una breve riflessione sempre sul concetto del risultato, dovremo necessariamente partire dalla traccia o file origine che vogliamo riprodurre, e qui dobbiamo dare per scontato che il lavoro fatto a monte punti a consentire di fruire di musica e non di suoni, differenza non da poco (ma ne parleremo in un’altra occasione). Quindi, l’unica possibile opzione che esiste per parlare realmente di Hi-Fi è che il contenuto di questa traccia/file origine giunga assolutamente intonsa alle nostre orecchie. Non ci vuole molto per capire quanto arduo sia il conseguimento di questo risultato, specialmente se parliamo di analogico, in quanto già l’hardware da riprodurre (vinile/nastro) presenta caratteristiche per cui molto difficilmente si possa ottenere (diciamo pure che è impossibile) una certa costanza di riproduzione (a causa delle opzioni di stampa di un vinile e di registrazione di un nastro), cui oltretutto si aggiunge l’andamento a levare dei sistemi di riproduzione (giradischi/registratore a bobine).
Con il digitale le cose in teoria si semplificano perché il file origine, almeno fino alla sezione digitale del DAC ha ottime possibilità di giungervi in modo perfetto; il tutto comincia a complicarsi a partire dalla sezione d’uscita dei DAC in poi, in quanto la stessa di volta in volta o fa riferimento a un chip o a un circuito a discreti, ovvero a delle valvole, il che inevitabilmente porta la macchina di turno a “interpretare” il segnale audio. Vi faccio un esempio, da qualche anno ho un DAC della Pro-Ject, per la precisione il modello DAC Box RsII che ha come opzione la possibilità di variare l’uscita fra stato solido e valvole. Ebbene, non appena si agisce sullo switch che consente di modificare la modalità d’uscita, la differenza all’ascolto si nota subito, senza contare che se ci si ingegna nell’operare un qualche tube rolling le differenze si fanno più pronunciate. Chissà cosa ne pensavano in quel di Sony/Philips, allorché lanciando il CD, probabilmente pensavano di aver azzerato le differenze fra apparecchio e apparecchio, tipiche dei molteplici set up possibili in ambito giradischi.
Ora pensiamo a che cosa accade dopo, ossia coinvolgendo amplificatori, cavi, ciabatte, tavolini, diffusori, trattamento acustico! Insomma, la possibilità che si possa giungereal risultato, è pressoché nulla.
Alcuni anni fa, produttori come Grundig (con i famosi modelli Studio) e B&O (uno per tutti il Beosystem) proposero dei sistemi all in one dove almeno la parte cavi/amplificazione veniva risolta concentrando in un unico dispositivo sorgente e amplificazione e in cui gli unici cavi erano quelli verso la presa di corrente e i diffusori. Indubbiamente, furono degli esempi concreti, ancorché all’epoca definiti non Hi-Fi, di come si potesse evitare tutta una serie di colli di bottiglia che, alla fine, si voglia o meno, inficiano la qualità di riproduzione di un sistema di Alta Fedeltà. Ma, paradossalmente, sono proprio questi colli di bottiglia che finiscono per alimentare quel clima da sangue e sabbia tipico di certe discussioni sul web che si animano oltremodo specialmente se si parla di cavi di qualunque genere.
Ecco, l’aspetto paradossale è proprio questo, se teniamo conto che l’audiofilo dovrebbe ambire al famoso (fu definito così la prima volta credo alla fine degli anni Settanta) filo con guadagno, ossia a un sistema dove la traccia/file origine non subisca dall’inizio alla fine alcuna variazione significativa, se non un aumento di volume adeguato a poter consentire l’ascolto, ma che alla fine si imbarca in mille complicazioni. C’è da dire a sua scusante che il tutto ha un’origine, come già accennato, e si chiama mercato dell’Hi-Fi, dove le sirene del venditore di turno hanno richiami per alcuni irresistibili al punto tale che questo gioco delle parti, consentitemi la citazione, diventa l’essenza stessa della passione per qualcosa che pian piano con l’Hi-Fi e con la Musica va distaccandosi sempre di più.
Game over (?). Alcuni (diciamo) coraggiosi costruttori, ancorché proporre prodotti per così dire tradizionali, si sono posti un obiettivo che è quello di integrare in un’unica realizzazione tutto ciò che serve per ottenere una riproduzione in regime di perfect matching (traccia/file VS ascolto); ma quanti di questi prodotti ottengono il consenso dei più?
Alert: ora verranno fatti nomi di prodotti HI-FI
Nel giugno del 2022 il noto costruttore britannico Kef (almeno in origine) ha immesso nel mercato un prodotto che è stato presentato come più che rivoluzionario, ossia la coppia di diffusori Kef Ls60. Si tratta formalmente di una coppia di diffusori che non ha bisogno di nient’altro per poter riprodurre musica, visto che il sistema ingloba uno streamer, un’amplificazione e un sistema DSP (Digital Sound Processing) che consentirebbe al segnale origine (via streaming o da Nas per il tramite di Roon es.) di giungere all’ascoltatore esattamente com’è, cui si aggiunge anche la possibilità di una forma particolare di DRC (Digital Room Correction) per consentire il miglior interfacciamento possibile con l’ambiente d’ascolto.
Non entrerò nelle ultra specifiche tecniche, anche perché basta collegarsi al sito web della Kef per sapere tutto ciò che c’è da sapere su questo sistema; aggiungo solo che oltre allo streaming le Ls60 supportano un ingresso analogico e alcuni ingressi digitali per consentire a chi ha un giradischi o un lettore CD/SACD di poterli tranquillamente utilizzare. La risposta in frequenza in ambiente si attesta su un 26 – 35.000 Hz e il suo Spl max a un metro è di 111 dB, quindi nessun problema in ambienti di circa trenta metri quadri; se si volesse essere pignoli, ma proprio pignoli, per essere un sistema virtualmente perfetto la rf dovrebbe partire dai 20 Hz e anche in questo caso non avremmo nessun problema in quanto sarebbe possibile abbinare in modo assolutamente automatico dei subwoofer dedicati che andrebbero a colmare questo possibile gap.
Ora, però, facciamo una piccolissima chiosa, sulla base di tutto ciò che abbiamo premesso, il giradischi e il lettore CD (ma anche un reel to reel) non dovrebbero essere presi in considerazione in quanto la loro resa è prepotentemente condizionata sia dal supporto fisico sia dai sistemi di lettura, per cui se si volesse mantenere il famoso perfect matching file origine/file riprodotto l’unica reale possibilità sarebbe quella di rivolgersi alla musica liquida, quindi in un’ottica in cui le Ls60 venissero intese come un sistema completo capace di abbattere tutte le limitazioni degli impianti compositi, l’inserimento di un qualunque lettore di supporti non dovrebbe essere nemmeno considerato! Dirò di più, l’audiofilo perfezionista, cioè quello che punta al sistema perfetto, dovrebbe esclusivamente utilizzare un file origine virtualmente incorruttibile da tutto ciò che viene utilizzato per riprodurlo.
Dunque, le Ls60 abbattono in un sol colpo il concetto stesso di impianto Hi-Fi tradizionale, in quanto questo sistema annulla qualsiasi diatriba sull’abbinamento amplificatore/diffusori, così come annulla qualsiasi disquisizione su quale cavo/i utilizzare (e hai detto niente!); inoltre, il Dsp on board regola un’infinità di parametri che fanno in modo che il tutto funzioni in un regime di totale assenza virtuale di errori. Ovviamente bisogna dare per scontato, direi accettato per fede, che le scelte dei progettisti della Kef siano state assolutamente congrue all’ottenimento del risultato finale. L’unica variante che si può apportare al sistema consiste solo nella sostituzione dei cavi d’alimentazione originali più o meno assimilabili a quelli tipicamente utilizzati nell’informatica, con altri ipoteticamente migliori ma, oltre a ciò, non bisogna fare nient’altro!
Non farò una recensione del sistema, perché lo scopo di questo inciso sulla coppia di diffusori in questione non è quello di parlare di queste Kef, però mi sembra corretto affermare che dopo un ascolto di un paio d’ore la mia impressione è stata di avere di fronte un sistema con diffusori virtualmente più grandi, dall’impatto sonoro notevole ma, al tempo stesso, molto corretti timbricamente e con una focalizzazione del posizionamento degli strumenti di assoluta eccellenza; insomma, se si dovesse giudicare il tutto utilizzando una metodologia identica a quella utilizzata per valutare un sistema tradizionale, direi che ci troviamo di fronte veramente a un bell’impianto. Ho citato questo sistema perché è quello con cui ho avuto un contatto diretto, ma per onor del vero c’è da dire che prodotti simili, sia dal costo inferiore sia superiore ne esistono un bel po’, visto che si spazia da Dynaudio per giungere a Triangle passando da Yamaha e chissà quanti altri (non sono un frequentatore di cataloghi).
Tornando al titolo di quest’articolo: Game over? Decisamente no! Il motivo? Potrebbe essercene più di uno, alcuni che fanno riferimento ad aspetti tecnici e altri di diversa natura. Dal punto di vista tecnico, benché l’oggetto sia pensato e ingegnerizzato in modo eccellente, il fatto che ci si trovi di fronte a un sistema chiuso (non si può toccare o modificare nulla) può impaurire i più, soprattutto pensando alle continue e repentine evoluzioni dei sistemi di streaming e di fruizione della musica liquida. Paradossalmente tali imprevedibili mutazioni tecniche potrebbero determinare una precoce obsolescenza del sistema e per assurdo, nel tempo, l’unico aspetto che salverebbe questi diffusori dal diventare dei semplici mobili sarebbe offerto dagli ingressi analogici a bordo, ma qui si andrebbe ovviamente a stravolgere la natura stessa del diffusore pensato invece proprio come oggetto stand alone nel completo dominio digitale.
L’altro elemento che a mio avviso ne ha frenato la diffusione è proprio l’impossibilità di giocare con la macedonia di componenti che è alla base di un sistema Hi-Fi tradizionale, perché l’audiofilo vuole essere il protagonista nel plasmare e gestire il suo impianto, visto che per lui non esiste il suono assoluto, ma solo il suo suono, con il risultato, avvilente, che il più delle volte fare il gioco del “cambio componenti” si trasforma nell’aspetto primario, proprio ciò su cui ovviamente fanno leva i produttori e i venditori di apparecchi Hi-Fi.
Insomma, il sistema di cui abbiamo parlato (non l’unico per tipologia) che avrebbe dovuto fornire la risposta definitiva a chi punta sulla riproduzione perfetta (almeno nelle intenzioni e nel tentativo di un approccio ragionato) si è rivelato quasi un flop o quanto meno è riuscito a suscitare soltanto curiosità, ma nulla di più. La dimostrazione è data dal fatto che al momento della presentazione le Ls60 costavano sostanzialmente 7.000 euro e non si riusciva a scucire nemmeno un euro di sconto, mentre oggi, in ambito di street price, si trovano anche a 4.200 euro (40 per cento in meno!), segno che l’invenduto dev’essere ben cospicuo, ma probabilmente segno anche del fatto che quasi certamente si sta già pensando a un nuovo prodotto.
Eppure, se ci pensiamo bene, rimanendo nell’esclusivo ambito della musica liquida, non avrebbe nessun senso cercare di mettere su impianti creativi, visto che parliamo di una traccia audio tel quel. Quindi evidentemente, le opzioni sono due:
- Il cosiddetto suono perfetto, ossia quello che nasce dal matching totale fra file origine da riprodurre e lo stesso una volta riprodotto, non piace per niente;
- La voglia di essere a tutti i costi creativi, di personalizzare oltremodo la riproduzione, travalica ogni possibile opportunità di riprodurre ciò che in realtà andrebbe riprodotto. Il fatto che sistemi di riproduzione quali il giradischi, il lettore CD e i reel to reel siano tutt’altro che desueti la dice lunga in merito.
Ma il suono perfetto perché non piace? Bella domanda! I motivi possono essere tantissimi, uno, per esempio, potrebbe essere determinato dal fatto che la stereofonia non assolve bene il suo compito. Se riflettiamo un attimo, quando riproduciamo un brano, il più bello mai realizzato (anche da un punto di vista tecnico), sul miglior impianto a disposizione, al massimo si riesce a ricreare metà della stanzacontenuta nel brano stesso. Ci si può facilmente accorgere di tutto ciò comparando, per esempio, la riproduzione di un brano in stereofonia e la sua versione su Brd multicanale, con quest’ultima che apparirebbe completamente diversa, visto che per magia rispunterebbe anche l’altra mezza stanza.
Il brano di cui sopra riprodotto in stereofonia, magari passato per il tramite di un’amplificazione a valvole e attraverso diffusori che privilegiano una certa porzione della gamma media, improvvisamente si accende di una certa magia ma, e qui sta il paradosso, un’alterazione palese del file/traccia origine ce lo fa godere ancor più della sua versione perfetta. Avete presente il detto popolare secondo il quale “nessuno nasce imparato”? Ragioniamoci un attimo: da quanti anni facciamo prove d’ascolto sul nostro e sugli impianti altrui? Quante fiere e quanti negozi abbiamo visitato? Tanti, ma proprio tanti e in ognuna di quelle case, di quei negozi e di quelle fiere abbiamo raccolto tante preziosissime indicazioni su cosa andare a cercare nella riproduzione di un brano imparando, per esempio, che le informazioni a basso livello (-50 dB e più) o quelle a bassissima frequenza sono fondamentali per comprendere realmente in che termini si sia voluto rappresentare il corpo vero degli strumenti e la “stanza” che si riproduce insieme con il brano che la contiene; ora immaginiamo di andare di nuovo a scuola ascoltando musica riprodotta da sistemi come le Kef di cui abbiamo parlato, che cosa si prospetta davanti alle nostre orecchie? Una realtà completamente diversa da quella a cui normalmente siamo abituati, ma che in realtà dal punto di vista della congruità è quella che più si avvicina all’ideale di una vera corrispondenza brano riprodotto/brano ascoltato.
Un’ultima considerazione: aggiungeremmo mai del succo di limone o dello zucchero a un vino DOCG per farcelo piacere? Andremmo a giocare sulla sua temperatura di servizio per renderlo più gradevole? Certo che no, eppure quando ci mettiamo a giocare con cavi, punte, valvole più o meno Nos etc. stiamo facendo proprio questo. Aggiungiamoci pure che l’audiofilia si appoggia più sull’estetica dei suoni che sulla musica e il quadro è completo, ergo niente game over… almeno per ora.
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