Fra orrore e meraviglia

Parte 1

Orrore per la liquida, è un’esperienza molto diffusa soprattutto fra gli audiofili più intransigenti (e si tratta di buona fede) e fra i pochi sopravvissuti venditori di vinili e cd (anche qui buona fede?). In entrambi i casi il fondamento del giudizio è un equivoco: l’identificazione della tecnologia con i files a bassa risoluzione, come gli mp3.

Le prime implementazioni della digitalizzazione di un flusso musicale fuori dal supporto fisico del cd (e derivati) dovettero fare i conti con almeno un paio di fattori limitativi: l’esiguità delle memorie disponibili (gli hard-disk di 25 anni fa erano capaci di immagazzinare pochi GB di dati, non andava meglio con quelle contenute dentro gli iPod), l’incapacità della rete di trasmettere grosse estensioni in un breve intervallo di tempo.

IPod family

Occorreva risparmiare spazio, rinunciando a ciò che al momento appariva come superfluo: se un algoritmo di compressione era in grado di tagliare fuori solo ciò che un orecchio umano era fisiologicamente inadatto a percepire, il sacrificio valeva certamente il beneficio di poter trattare un segnale in modo da poterlo rappresentare mediante un tracciato informatico che garantiva di poter stipare dentro uno spazio ristretto grosse quantità di informazioni.

Presto, molto presto, fu chiaro che l’operazione di compressione costava la perdita di materiale sonoro e dunque percettivo niente affatto superfluo: i primi test ciechi sulla superiorità di un file pcm su quello mp3 sortirono risultati apparentemente a favore della sostanziale equipollenza solo fino a quando gli ascolti furono proposti mediante apparecchiature sonicamente insoddisfacenti, di dubbia qualità riproduttiva. Bastava fare ascoltare il materiale del test utilizzando elettroniche dignitose ed ecco che la differenza veniva fuori in tutta la sua tragica realtà: l’mp3 non solo tagliava l’inudibile ma anche rendeva l’udibile una copia molto lontana dell’originale.

Meraviglia per la liquida è l’esperienza che lentamente si è imposta a coloro che hanno continuato a seguirne le vicende, con la mente sgombra da pregiudizi, a partire dalle crescenti possibilità di disporre di una digitalizzazione del segnale che lo restituisse esattamente, senza alcuna perdita di materiale superfluo o meno: gli algoritmi di compressione, appunto, senza perdita.

Sul versante hardware la crescita esponenziale della capienza di memorie (hd, ssd), nel frattempo, garantiva la possibilità di potere immagazzinare quantità enormi di dati, rendendo inutile la corsa al risparmio spaziale. Stessa cosa sul piano della rete: era cresciuta la sua velocità di trasmissione di pacchetti corposi, nella stessa unità di tempo in cui fino a poco prima era stato indispensabile comprimere in maniera drammatica.

HDD vs SSD

La meraviglia si è imposta mano a mano che l’ascolto diretto di files musicali andava restituendo una qualità percepita (e oggettiva) praticamente sovrapponibile a quella di un segnale analogico. In molti casi addirittura superandola.

Oggi nessuno che abbia un poco di sale in zucca può dubitare del fatto che un file DSD (a 2,8 mhz, meglio a 5,6, meglio ancora a 11,2 mhz), ascoltato con la filiera elettronica adeguata, spesso suoni meglio – perfino molto meglio – di un vinile! E ciò a parità di lignaggio degli apparecchi utilizzati.

Centrando, in tal modo, anche un altro elemento fondamentale: il segnale offerto in uscita da un giradischi non è certo la riproduzione più fedele del segnale analogico iniziale.

Certo, la qualità finale percepita dipenderà, anche in questo caso, da molte variabili, alcune di esse di natura soggettiva: il suono “caldo” del vinile (vissuto come valore precipuo) può essere preferito al maggiore “dettaglio” (dagli analogisti ad oltranza decifrato come “freddo”) del digitale. Ciò tuttavia riconduce la questione a una dimensione diversa da quella oggettiva: la dimensione che diremo dell’estetica del mezzo, che si sovrappone a quella che diremo l’estetica del contenuto.

Se la preferenza di un ascoltatore pende dalla parte della riproduzione analogica, poniamo della riproduzione di un vinile, per la sua maggiore musicalità e morbidezza, ciò risponderà a un criterio estetico che appartiene alle caratteristiche del supporto fisico (l’estetica del mezzo, appunto), anche se la registrazione originaria (il mixing, la masterizzazione) del materiale inciso era più incline ad esaltare il dettaglio timbrico (l’estetica del contenuto).

Come si può evincere facilmente (e fatalmente) da queste prime annotazioni, il problema del confronto fra digitale e analogico, che interseca quello fra digitale liquido e digitale fisico (cd, sacd, dvd audio, bluray audio), è piuttosto complicato: se ascoltate un brano digitalizzato in DSD (formato utilizzato originariamente nei super audio cd, ma solo fino alla frequenza di 2,8 mhz) mediante un pc (dove avete riposto il file) non dedicato (e dunque con la parte audio non schermata), facendolo decodificare da un DAC di 90 euro, e confrontate l’ascolto con quello dello stesso brano inciso in un vinile di alta qualità (180 gr.) solcato da un giradischi di 4.000 euro, quale pensate che suonerà meglio…?

Stay tuned.

Sandro Vero

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